Assenza per malattia: un appartenente della P.S. può ben essere sottoposto a visita senza preventivo avviso da parte della amministrazione di appartenenza. Il Consiglio di Stato ha affermato che un appartenente della P.S. può ben essere sottoposto a visita senza preventivo avviso, avendo certamente facoltà l’Amministrazione di procedere alle visite mediche ritenute necessarie nei confronti dell’interessato, onde verificare la sua idoneità a continuare a svolgere le proprie funzioni. Afferma, inoltre, come il D. Lgs. n.196 del 30.6.2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) sancisce il possibile trattamento dei dati sensibili degli interessati in base ad un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o da una normativa comunitaria e, comunque, quando i dati sono trattati per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, come nel caso di specie dove il trattamento di dati è volto all’applicazione di norme in materia di sanzioni, rientrante tra quelle aventi rilevante interesse pubblico.
Cons. Stato, sez. VI, sent. nr. 3306/06 del 20.12.2005 – dep. 31.05.2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 3306/2006
Reg.Dec.
N. 4272 Reg.Ric.
ANNO 2005
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4272 del 2005 proposto dal Sig……………, rappresentato e difeso dall’avv…………………………. ed elettivamente domiciliato in Roma……………….., presso lo studio dell’avv. ……………………..;
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., non costituito in giudizio;
per l’annullamento, previa sospensiva,
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. I ter, n.1058/05 in data 7 febbraio 2005, resa tra le parti;
visto il ricorso con i relativi allegati;
visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2005, relatore il consigliere Domenico Cafini, udito l’avv……………………. per delega dell’avv. ……………………..;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Col ricorso proposto al TAR per il Lazio, il Sig……………, assistente della Polizia di Stato, impugnava – chiedendone, previa sospensione, l’annullamento – il decreto n.333-D/81583 del 17.12.2003, con cui il Capo della Polizia aveva inflitto nei suoi riguardi la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, essendo risultato, in sede di accertamento medico-sanitario, positivo alla ricerca della cocaina e del suo principale metabolita: la benzoilecgonina.
A sostegno del gravame, il ricorrente deduceva censure di violazione della legge n.675/1996 (artt.9, 10 e 17) e della legge n.196/2003 (artt.11, 13 e 14) nonché di eccesso di potere, sotto vari profili, rilevando, tra l’altro, che l’Amministrazione aveva omesso di comunicargli i motivi della visita medica cui era stato sottoposto, procedendo al trattamento dei suoi dati personali in mancanza di qualsiasi contraddittorio.
Nel giudizio si costituiva l’Amministrazione intimata che si opponeva all’accoglimento del ricorso, concludendo per la sua reiezione.
1.1. Con la sentenza in epigrafe specificata l’adito TAR respingeva il detto gravame, ritenendo infondati in motivi in esso dedotti.
1.2. Avverso tale sentenza il Sig……………….. ha interposto l’attuale appello, con il quale sono stati formulati i seguenti motivi di diritto:
– carenza di motivazione, in quanto la gravata sentenza non avrebbe espresso alcun giudizio sul punto essenziale del ricorso relativo alla denunciata rilevazione dei suoi dati personali in violazione delle norme sopra menzionate, essendosi limitata ad elencare le disposizioni attributive del potere al trattamento dei dati dei propri dipendenti per pubblico interesse;
– travisamento delle risultanze processuali e carenza di motivazione, in quanto i primi giudici avrebbero completamente trascurato di considerare quanto ritenuto da due illustri cattedratici, le cui conoscenze in materia “ragionevolmente offrono maggiore garanzia di affidabilità”.
Alla camera di consiglio del 21.6.2005 la domanda incidentale di sospensione è stata respinta con ordinanza n.2526/2005.
L’Amministrazione appellata non si è costituita in giudizio.
1.3. La causa è stata, infine, assunta in decisione alla pubblica udienza del 20 dicembre 2005.
2. Il ricorso in appello non è fondato.
2.1. Premesso che, per un’analoga infrazione, l’interessato era già stato sanzionato con la sospensione dal servizio per la durata di tre mesi, il Giudice di primo grado ha sostanzialmente osservato nella gravata sentenza:
a) che i contestati accertamenti sanitari erano stati legittimamente disposti ai fini della verifica dell’idoneità del ricorrente (a continuare a svolgere i delicati servizi d’istituto) e che il trattamento dei dati personali del medesimo risultava essersi verificato nel rispetto della vigente normativa di cui al D. Lgs. n.135/1999 (che, tra le finalità di rilevante interesse che consentono, appunto, detto trattamento, ha individuato le operazioni volte all’accertamento delle responsabilità, anche di natura disciplinare) e al D. Lgs. n.196/2003 (che ha definito “di rilevante interesse pubblico” ed ha autorizzato, di conseguenza, il trattamento dei dati sensibili degli interessati per una simile finalità);
b) che, circa la scarsa attendibilità dei risultati delle analisi effettuate nei confronti del ricorrente, bastava rilevare che una struttura altamente specializzata come il “Centro di ricerche di laboratorio e tossicologia forense” del “Servizio operativo centrale di sanità” del Dipartimento della P.S. aveva rinvenuto tracce di cocaina (e del suo principale metabolita) nelle urine dell’agente in questione, utilizzando una particolare tecnica e che lo stesso Centro di ricerche aveva anche ritenuto, in considerazione della natura propria delle sostanze analizzate, di escludere un’interferenza di dati dovuta alla pretesa assunzione di aminoacidi da parte dell’interessato; sicchè doveva concordarsi con quanto rappresentato nel provvedimento impugnato in prime cure, ossia che l’aver fatto ripetutamente uso di cocaina induceva fondatamente a presumere che l’assuntore fosse entrato in contatto col mondo degli spacciatori ed avesse tenuto, quindi, un comportamento inconciliabile con le funzioni proprie di un tutore dell’ordine.
2.2. Nell’appello il ricorrente contesta tali argomentazioni, evidenziando, da una parte, la circostanza che la sentenza de qua non avrebbe espresso alcun giudizio sul punto essenziale del ricorso relativo alla rilevazione dei suoi dati personali ritenuta in contrasto con la relativa normativa e non avrebbe rispettato il principio della necessaria motivazione e nemmeno quanto disposto dalle menzionate norme, essendosi limitata ad indicare le disposizioni attributive del potere al trattamento dei dati per pubblico interesse e rilevando, dall’altra, che i primi giudici avrebbero completamente trascurato di considerare quanto ritenuto da due illustri docenti universitari (prof. ……(Tizio). e prof.ssa ………(Caio) dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore “A. Gemelli”), le cui conoscenze in materia – come da perizia depositata, in cui è affermato che dalle analisi sui capelli del Sig………………….., prelevati il 28.5. 2003 non sono state rinvenute tracce di cocaina – “ragionevolmente offrono maggiore garanzia”.
2.3. Entrambe le doglianze anzi precisate sono destituite di fondamento.
2.3.1. Quanto alla prima di esse, il fatto che il ricorrente sia stato sottoposto a visita senza preventivo avviso appare nella specie irrilevante, avendo certamente facoltà l’Amministrazione di procedere alle visite mediche ritenute necessarie nei confronti dell’interessato e potendo legittimamente effettuare i contestati accertamenti, onde verificare la sua idoneità a continuare a svolgere le proprie delicate funzioni, atteso che nei suoi confronti (nel 2000) era già stata irrogata la sanzione della sospensione di mesi tre per assunzione di sostanza stupefacente.
Peraltro, come emerge dagli atti di causa, l’interessato di certo era a conoscenza del fatto che avrebbe potuto subire controlli periodici, essendo stato sottoposto a sorveglianza medica fin dal 1999, dopo che nel dicembre del 1998, era stato riscontrato positivo a derivati urinari della cocaina, nell’ambito di accertamenti per la valutazione dell’idoneità alla guida di automezzi di polizia.
Va poi osservato che il D.Lgs. 11.5.1999, n.135, concernente “Disposizioni integrative alla legge 31.12.1996, n.675, sul trattamento di dati sensibili da parte di soggetti pubblici”, nello stabilire i principi generali e l’ambito di applicazione delle norme in materia di trattamento di dati particolari, individua, all’art.1, alcune rilevanti finalità di interesse pubblico, per il cui perseguimento è consentito detto trattamento, nonché le operazioni eseguibili e i tipi di dati che possono essere trattati, disponendo quindi (all’art.16) che sono da considerarsi di rilevante interesse pubblico i trattamenti di dati volti all’applicazione di norme in materia di sanzioni amministrative e ricorsi (lett.a) e che siano necessari a far valere il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria (lett.c).
Tra le finalità di rilevante interesse che consentono, appunto, il cennato trattamento, devono ricomprendersi dunque, come rettamente statuito dai primi giudici, pure le operazioni volte all’accertamento delle responsabilità, anche di natura disciplinare.
Del resto, lo stesso D. Lgs. n.196 del 30.6.2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) ribadisce il possibile trattamento dei dati sensibili degli interessati in base ad un obbligo previsto dalla legge, da un regolamento o da una normativa comunitaria e, comunque, quando i dati sono trattati per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria.
In conclusione, poiché il caso in esame riguardava il trattamento di dati volti all’applicazione di norme in materia di sanzioni, rientrante tra quelle aventi rilevante interesse pubblico, appaiono corrette le conclusioni a cui in proposito è pervenuto il Giudice di primo grado e, di converso, infondati i rilievi mossi al riguardo dalla parte appellante.
2.3.2. Quanto alla ulteriore doglianza riguardante l’asserito travisamento delle risultanze processuali e la carenza di motivazione – perché, nella sostanza, il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto in debito conto quanto ritenuto da due illustri cattedratici, le cui conoscenze in materia avrebbero offerto, ad avviso del ricorrente, “maggiore garanzia” – il Collegio deve osservare, innanzi tutto, che il censurato provvedimento risulta adeguatamente motivato sul punto e comunque adottato a seguito di una scrupolosa istruttoria nella quale è stato tenuto conto anche del parere espresso dai menzionati docenti.
Ed invero, come emerge dalla documentazione depositata agli atti del giudizio (v. doc. n. 23 del fascicolo dell’Avvocatura dello Stato nel giudizio davanti al TAR), il Servizio operativo centrale di sanità, Centro di ricerche del laboratorio e tossicologia forense, in sede di supplemento di istruttoria ex art.20 D.P.R.n.737/1981 e in merito agli appositi quesiti avanzati dal Consiglio di disciplina in ordine alla posizione dell’interessato (anche in relazione alla documentazione sanitaria da lui presentata), ha rappresentato quanto segue:
– che il rinvenimento della cocaina e del suo principale metabolita nelle urine era stato eseguito con la tecnica di “gascromatografia spettometria di massa (GCMS)”, che identifica le due molecole senza possibilità di confonderle con altre e che nel caso specifico è stato identificato, oltre alla cocaina, il suo principale metabolita;
– che era da escludersi “un’interferenza” dovuta all’assunzione di medicinali presi in palestra (come asserito dal Sig……………) costituiti da aminoacidi, per la natura propria di tali sostanze;
– che gli elementi forniti dal prof. ……(Sempronio) costituivano dato certo per affermare che il soggetto non aveva fatto uso o abuso continuato e ripetuto di cocaina in un periodo di circa 2-3 mesi antecedenti all’epoca dell’accertamento risalente al 28.5.2003;
– che i risultati analitici emersi dall’esame GCMS, effettuato sul campione prodotto dal Sig………………….. in data 9.4.2003 stavano a significare che il soggetto aveva assunto cocaina nei giorni immediatamente precedenti il prelievo;
– che, in conclusione, il dato urinario positivo consentiva di affermare che era avvenuta assunzione anche singola o sporadica o occasionale, mentre il dato da formazioni pilifere negativo permetteva di escludere assunzioni ripetute e continuative, che avrebbero determinato accumulo della cocaina e del suo principale metabolita.
Sulla base di quanto esposto, appare evidente che l’operato dell’Amministrazione non risulta nella specie inficiato dai vizi di eccesso di potere dedotti, sotto i profili del travisamento e del difetto di motivazione.
3. In ordine alla questione all’esame, deve rilevarsi che la giurisprudenza ha avuto già modo, in ogni caso, di ritenere legittima la destituzione dal servizio di un agente della Polizia di Stato che abbia fatto uso di sostanze stupefacenti, atteso che tale uso altera certamente l’ equilibrio psichico, inficia l’ esemplarità della condotta, si pone in contrasto con i doveri attinenti allo stato di militare e al grado rivestito, influisce negativamente sulla formazione militare e lede il prestigio del Corpo (cfr., in tal senso, in particolare, Sez. IV, 12.4.2001, n. 2259).
Ciò, del resto, è in linea con quanto disposto per il personale della Polizia di Stato dall’art. 7, nn. 2 e 6, D..P.R. 25.10.1981, n. 737, secondo cui la destituzione è inflitta, distintamente, per atti che siano in contrasto con i doveri assunti con il giuramento (n. 2) o per reiterazione di infrazioni o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari (n. 6).
L’uso di sostanze stupefacenti concreta dunque una violazione dei doveri di correttezza e di lealtà assunti con il giuramento prestato e quindi legittima la sanzione della destituzione, che nella specie è anche giustificata dal fatto che, come accennato, la sanzione è stata comminata nella ricorrenza della reiterazione della condotta già censurata (assunzione di sostanza stupefacente), e, quindi, in presenza pure del secondo presupposto normativo richiamato.
4. In relazione alla particolarità della fattispecie, peraltro, la condotta predetta non può essere considerata di tenue connotazione (in quanto episodica ed occasionale ovvero limitata ad un uso della sostanza stupefacente di scarsa rilevanza), giacchè il contestato comportamento presuppone certamente la sussistenza di contatti con un personaggi inseriti in un contesto criminale (i fornitori dello stupefacente), da ritenersi in ogni caso di assoluta gravità e rilevanza.
Pur volendo prescindere da ogni valutazione circa la gravità o meno di un tale comportamento ai fini disciplinari e alla proporzione tra la sanzione disciplinare irrogata e la gravità dei fatti contestati, il Collegio deve rilevare, comunque, che nella specie l’attività svolta dall’Amministrazione costituisce pur sempre manifestazione di un suo discrezionale apprezzamento, suscettibile di sindacato di legittimità soltanto per macroscopici vizi logici, insussistenti nel caso di cui trattasi.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso in appello deve essere, in conclusione, respinto.
Non vi è luogo a pronunciarsi sulle spese non essendosi costituita in giudizio l’Amministrazione appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione VI), pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2005 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Luigi MARUOTTI Consigliere
Carmine VOLPE Consigliere
Giuseppe ROMEO Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere Est.
Presidente
f.to Claudio Varrone
Consigliere Segretario
f.to Domenico Cafini f.to Anna Maria Ricci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il………………31/05/2006……………….
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
f.to Maria Rita Oliva