Calcolo nel TFS del lavoro straordinario e di altri emolumenti accessori

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Calcolo nel trattamento di fine servizio del lavoro straordinario e di altri emolumenti accessori

Sono stati chiesti chiarimenti in ordine ad una sentenza della Corte di Cassazione secondo la quale i compensi erogati per lavoro straordinario devono essere considerati nel computo della liquidazione.
Si tratta della Sentenza n. 33278 del 10 novembre 2021 che ha definito il ricorso proposto da una Pubblica Amministrazione datrice di lavoro contro la decisione della Corte di Appello di Roma che, in riforma della sentenza del locale tribunale, aveva condannato la stessa Amministrazione a rideterminare in favore di alcuni dipendenti quanto dovuto a titolo di t.f.r. computando anche gli importi corrisposti a titolo di lavoro straordinario.

Nella fattispecie del caso in esame, la Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città, aveva condannato l’Istituto Commercio Estero (ICE) a rideterminare in favore dei lavoratori ricorrenti per il periodo 19.7.1990 – 31.12.2004, quanto dovuto a titolo di t.f.r., computando gli importi corrisposti a titolo di straordinari, diarie forfettizzate, premi di produttività e indennità sostitutiva delle ferie non godute.

La sentenza veniva impugnata dall’I.C.E.-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Agenzia ICE), nel corso del processo subentrata in forza dell’art. 14 D.L. 98/2011 nei rapporti giuridici già facenti capo all’ICE, con un unico motivo di ricorso che denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2120 e 2121 c.c., nonché degli art. 33 del C.C.N.L. ICE 1990 – 1991.

L’Amministrazione ricorrente, quanto allo straordinario, richiamava giurisprudenza che ne consentirebbe il computo solo se risultasse accertato che la continuità di svolgimento di esso denotasse una specifica volontà delle parti finalizzata ad ampliare l’orario normale di lavoro, affermando l’insussistenza nell’ordinamento di un principio generale di onnicomprensività della retribuzione. Stesse considerazioni erano svolte anche rispetto alle altre voci riconosciute dalla Corte di merito, rimarcandosi come non fosse sufficiente la loro continuativa erogazione, essendo necessaria l’indagine rispetto alla natura dell’emolumento. In particolare, poi, quanto al premio di produttività, esso era da ritenere elemento fisiologicamente accidentale e variabile, sicché non si poteva ritenere la sua ricomprensione nel calcolo della retribuzione differita.

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La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione di merito. Nelle motivazioni della Sentenza si legge che “è errata l’impostazione del ricorso per cassazione allorquando con esso si sostiene che, a fronte della continuatività dell’erogazione di determinati emolumenti, si dovrebbero svolgere indagini ulteriori al fine di accertarne la computabilità ai fini del t.f.r., limitando l’attenzione alle erogazioni di tipo retributivo, cui certamente si riportano lo straordinario e i premi di produttività, l’art. 2120, co.2, c.c. esprime una regola diversa e tale per cui «salvo diversa previsione dei contratti collettivi», sono da considerare «tutte le somme … corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di guanto erogato a titolo di rimborso spese;

la regola è dunque l’onnicomprensività per le somme a titolo retributivo corrisposte continuativamente e non viceversa (v. Cass. 21 aprile 2016, n. 8086), né si afferma, per straordinario e premi di produttività, che il contratto collettivo li escluda dal calcolo del t.f.r.; la Corte d’Appello si è attenuta a tale regola e non vale certamente ad inficiare gli esiti di merito il generico riferimento ad una asserita natura «fisiologicamente accidentale e variabile» del premio di produttività;

la variabilità quantitativa non è in sé elemento rilevante, mentre è normale che tali premi siano corrisposti, in ragione dei presupposti che integrano il diritto, a cadenze fisse ed assumano quindi carattere continuativo (v., sul tema, Cass. 27 giugno 1996, n. 5935);

quanto alla diaria, la Corte territoriale ha precisato che la contrattazione collettiva, evidentemente in ragione della natura mista di retribuzione e rimborso spese di essa, ne prevedeva il computo in misura del 40 % e l’affermazione non trova alcuna smentita nel ricorso per cassazione, sicché nulla quaestio;

rispetto all’indennità sostitutiva delle ferie, il ricorso per cassazione è invece inammissibile, in quanto manca una puntuale critica che riguardi in specifico quell’emolumento, con riferimento ad eventuali sue caratteristiche – debitamente evidenziate – che lo portino al di fuori del novero delle erogazioni da considerare ai fini del t.f.r. e che quindi denotino l’esistenza di un errore nella decisione della Corte territoriale”.

Come risulta evidente, la sentenza che ci occupa riguarda il TFR (trattamento di fine rapporto) e non il TFS (trattamento di fine servizio) applicabile ai lavoratori a regime pubblicistico. Le similitudini tra TFR e TFS si limitano alla funzione dei due istituti e alla nomenclatura. In definitiva, entrambi, servono a dare una liquidità al lavoratore che cessa un rapporto di lavoro, anche se si tratta di due trattamenti che hanno molte differenze, soprattutto per quel che riguarda gli elementi di calcolo dell’importo spettante.
Infatti, a differenza del TFR che viene calcolato con la somma delle retribuzioni lorde annue comprensive di tredicesima ed eventuale quattordicesima (il risultato che si ottiene va diviso per 13,5 e sottratto dal contributi INPS (0,5% e la somma ottenuta va, poi, rivalutata con gli indicatori ISTAT anno per anno), il trattamento di fine servizio si calcola solo sull’ultima retribuzione annua percepita, prendendo in considerazione l’80% di un dodicesimo dell’ultima retribuzione annua moltiplicata, poi, per gli anni di servizio prestati.

Con un sistema di calcolo che basandosi sull’ultima retribuzione (che notoriamente è quella più alta), restituisce quasi sempre un importo maggiore rispetto a quello del TFR.

In buona sostanza, la decisione della Cassazione non deve indurre a facili entusiasmi. E’ innegabile che il principio affermato dalla Corte di Cassazione apra un orizzonte che sembrava irreparabilmente chiuso. Ma per quel che concerne i dipendenti pubblici a regime pubblicistico, come i lavoratori del comparto sicurezza, la Giurisprudenza Amministrativa ha sempre affermato il principio che “l’onnicomprensività di tutti gli emolumenti ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita (ai sensi degli articoli 2120 e 2121 codice civile) viene in rilievo soltanto in via sussidiaria, nei limiti in cui la materia non sia diversamente regolata da norme speciali”.  Così il Consiglio di Stato sezione IV con la sentenza n. 909/2017, e la Corte dei Conti che, con numerose decisioni rese negli anni 90, ha respinto una serie di ricorsi (alcuni promossi e patrocinati dal SIULP) per il riconoscimento nel computo del TFS delle ore di straordinario settimanale obbligatorio (fisse) che all’epoca erano ricomprese nella durata settimanale dell’orario di lavoro.

In particolare, il Consiglio di Stato, nella citata sentenza n. 909/2017 precisa che “i principi di cui agli articoli 2120 e 2121 cc non costituiscono espressione di imperativi vincoli costituzionali, e, pertanto, la loro applicabilità al pubblico impiego è ammessa in via sussidiaria e nei limiti in cui la materia non sia diversamente regolata da norme speciali.

Poiché la specifica materia delle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato è disciplinata dal Dpr n. 1032 del 1973, non trova applicazione l’articolo 2120 cc.
In considerazione di tale inapplicabilità, le retribuzioni ricevute in relazioni alle prestazioni di carattere straordinario non rientrano fra quelle di cui all’ articolo 38 Dpr n. 1032 del 1973.

Depone, in tal senso, l’assenza di un’univoca disposizione che consenta di ritenere tali attività lavorative “utili ai fini del trattamento previdenziale”.

Invero, secondo il giudice amministrativo, “a prescindere dalla necessità della verifica sulla duplice condizione, ai fini dell’affermazione della continuità del lavoro straordinario, della regolarità e della non saltuarietà della prestazione, non esiste una disposizione che consente la computabilità, ai fini del trattamento previdenziale, delle prestazioni straordinarie svolte nel corso della loro carriera.
Né, tantomeno, potrebbe ricavarsi un tale principio dall’applicazione estensiva dell’articolo 2120 cc, non applicabile al pubblico impiego non privatizzato”.

Pertanto, la decisione della Corte di Cassazione va considerate come un’affermazione di principio suscettibile di effetti tutti da scoprire e dai quali non è possibile al momento trarre conseguenze in relazione alla situazione di quei lavoratori ancora a regime pubblicistico.

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