ll domicilio digitale

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In base al Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005), il domicilio digitale è “un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, di seguito “Regolamento EIDAS”, valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale”.

Il domicilio digitale, obbligatorio dal 1° ottobre 2020 per imprese e professionisti, è un recapito online, un “luogo” digitale, o ancora, un domicilio virtuale che può essere attivato dopo essersi muniti, in alternativa, di un indirizzo di Posta Elettronica Certificata o di un Recapito Certificato Qualificato previsto dal Regolamento europeo EIDAS, servizio di comunicazione elettronica non ancora disponibile per i cittadini italiani.

Si tratta, dunque, del luogo virtuale in cui i cittadini (imprese e professionisti) indicano alla Pubblica Amministrazione di voler ricevere le proprie “comunicazioni” online con valenza legale.
Per eleggere il proprio domicilio digitale la scelta è tra la Posta Elettronica Certificata (la versione digitale della raccomandata A/R) e un Servizio elettronico di recapito certificato qualificato (denominato SERCQ o SERC), anche se di fatto quest’ultima categoria di servizi non è ancora operativa.

Il decreto Semplificazioni (D.L. n. 76/2020) ha reso obbligatoria per professionisti (commercialisti, avvocati, medici, architetti, notai, etc.) e imprese costituite in forma societaria, la comunicazione del proprio domicilio digitale entro il 1° ottobre 2020, una comunicazione da fare, rispettivamente, agli ordini o collegi di appartenenza e alle Camere di Commercio, a pena di sanzione amministrativa, trasformata addirittura in prerequisito per l’iscrizione al Registro delle imprese per tutte le imprese costituite in forma societaria.

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Nell’epoca della dematerializzazione dei documenti, la finalità di questo strumento digitale è di sostituire il domicilio fisico per il recapito delle comunicazioni ufficiali. Per poter essere ricevuta e poi letta, una raccomandata richiede che il destinatario sia fisicamente presente nel luogo di destinazione mentre una comunicazione recapitata presso il proprio domicilio digitale può essere ricevuta e letta mentre si è in qualsiasi parte del mondo, a costo zero per quanto riguarda l’invio/ricezione e senza le attese legate al viaggio fisico che dovrebbe fare la posta cartacea, ma con la stessa valenza legale di una raccomandata A/R.

In sintesi, il domicilio digitale dovrà garantire l’identità di mittente/destinatario e certificare invio/ricezione delle comunicazioni.

Mentre la registrazione del domicilio digitale è già obbligatoria per imprese e professionisti, non vige alcun obbligo per le persone fisiche e gli enti di diritto privato.

Affinché anche queste categorie, infatti, possano utilizzare il domicilio digitale, occorre:
– avere un indirizzo di PEC o un servizio elettronico di Recapito Certificato Qualificato (SERCQ) in linea con la normativa UE;
– registrare il recapito in appositi elenchi che verranno poi messi a disposizione delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi per le comunicazioni con i cittadini.

Tali strumenti sono però ancora in via di definizione e non sono state rese note le modalità di registrazione.

Per questo, al momento, persone fisiche ed enti di diritto privato non possono utilizzare il domicilio digitale vero e proprio.

Tuttavia, anche queste categorie possono iniziare a sfruttare i vantaggi della dematerializzazione utilizzando la PEC come modalità per lo scambio di informazioni con uffici pubblici o altri enti con cui intrattengono rapporti, così da sperimentare fin da subito la semplicità, utilità e i vantaggi di questo mezzo.

Nel quadro normativo attuale, per poter attivare il domicilio digitale, il cittadino deve essere titolare o di una PEC o di un Sercq. Al momento, però, la PEC è l’unico strumento utilizzabile, dato che non è stata ancora emanata a livello UE la normativa esecutiva sui SERC. Per tale motivo, è stata anche sospesa dal legislatore italiano l’abrogazione della PEC (era prevista per il 1° gennaio 2019) in attesa di nuove regole.
Ci sono però alcune differenze anche tra questi due strumenti per il domicilio digitale.

Semplificando, possiamo paragonare la PEC a una comune casella di posta elettronica la quale, però, grazie a certificati prodotti e firmati elettronicamente dai gestori del servizio, ha valore legale, dal momento che viene per l’appunto certificata la data e l’ora di trasmissione e ricezione del messaggio. Il mittente produce il messaggio di posta elettronica e vi aggiunge gli eventuali allegati.
Per poter avere pieno valore legale, però, è necessario che mittente e destinatario siano in possesso di una casella PEC presso uno dei gestori autorizzati iscritti all’elenco pubblico tenuto dall’Agenzia per l’Italia Digitale.

Se, da un lato, la PEC consente al mittente di disporre di una documentazione legalmente valida dell’invio e dell’avvenuto recapito della comunicazione, dall’altro lato non è in grado, da sola, di identificare il mittente del messaggio: la certezza dell’identità può essere certificata solo tramite un utilizzo congiunto della firma elettronica.

A differenza della PEC, il Servizio elettronico di recapito certificato qualificato (SERCQ) renderà certe le identità di mittente e destinatario ma richiederà dei meccanismi di autenticazione (strong authentication) da parte di ognuno di essi (mittente/destinatario) che, come accennato, devono ancora essere compiutamente definiti a livello Ue, conformemente al Regolamento Eidas.

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