Procedimento disciplinare: bisogna tenere conto della personalità dell’incolpato – Cons. Stato sent. nr. 3616/08 del 27 maggio 2008

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Procedimento disciplinare: il Consiglio di Stato, con la citata sentenza, ha stabilito come bisogna tener conto, nell’irrogare una sanzione disciplinare ad un agente della Polizia di Stato, della complessiva personalità dell’incolpato nonché della sua condotta successiva al fatto addebitato. Più dettagliatamente l’organo amministrativo ha sostenuto come “deve infatti ritenersi che, anche in caso di accertata legittimità della valutazione di colpevolezza sul piano disciplinare… la personalità complessiva dell’incolpato debba costituire oggetto della medesima valutazione, nel senso di condizionare l’espressione in concreto del potere discrezionale di apprezzamento dell’Amministrazione sul piano della graduazione della sanzione da applicare”.

 

Cons. Stato, sez. VI, sent. nr. 3616/08 del 27 maggio 2008 – dep. 23/07/2008

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N. 3616/08

Reg. Dec.

N. 849 Reg. Ric.

ANNO 2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 849/2003 proposto da

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi, 12;

contro

………., rappresentato e difeso dall’Avv. ….. ed elettivamente domiciliato presso il ….. in Roma Via …………..;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Bari, Sezione I, n. 5119 del 22 novembre 2001;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 27 maggio 2008 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo. Udito l’Avv. dello Stato Stigliano;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe il Tar della Puglia ha accolto il ricorso proposto da …………., agente della Polizia di Stato, avverso il decreto del Capo della Polizia del 21 dicembre 2000, di applicazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio con decorrenza dal 31 maggio 1999, nonché avverso gli atti presupposti del procedimento.

L’adito Tribunale riteneva che, nel quadro dei doveri incombenti sul dipendente della Polizia di Stato e la cui “grave” violazione determinava la sanzione espulsiva, assumesse particolare valore l’obbligo di rapporto dell’ufficiale o agente di p.s. per qualsivoglia notizia di reato perseguibile d’ufficio, sanzionato penalmente dall’art. 361 c.p., comma secondo, senza che sulla rilevanza disciplinare incidesse l’irrilevanza penale del fatto, scriminato per la causa speciale di giustificazione di cui all’art. 384 c.p. Ne conseguiva che l’atto di incolpazione aveva legittimamente inquadrato la condotta omissiva del ricorrente come violazione dolosa dei doveri d’ufficio, come si rilevava dalla motivazione della deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina, circa la conoscenza di un’attività delittuosa che lo stesso ricorrente aveva l’obbligo di denunciare. Il Tar escludeva perciò la tesi dell’assorbimento del fatto relativo alla dolosa violazione dei doveri d’ufficio nella sfera applicativa della fattispecie di cui all’art. 6, comma 2, n. 8) DPR 737/81 (“uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico legale”). Tale fattispecie, attinente solo al consumo, non “copriva” l’acquisto illegale delle sostanze realizzato con contestuale violazione dell’obbligo di denuncia, essendo ben diversa l’oggettività giuridica delle due fattispecie dell’art. 6 e del contestato art. 7. Erano ritenute pertanto infondate le censure imperniate sulla presunta erroneità dell’inquadramento della condotta dell’incolpato nella fattispecie di cui all’art. 7, nn.1, 2 e 4 anziché in quella dell’art. 6 citt. Inoltre al ricorrente, contrariamente a quanto esposto in ricorso, furono applicate due pene pecuniarie per il mantenimento di relazioni con persone prive di pubblica estimazione. Era invece fondata la censura relativa all’omesso accertamento e considerazione dell’invocato pieno recupero di una condizione di “normalità” a seguito dello svolgimento di specifico programma psicoterapeutico di recupero, poiché in vista dell’irrogazione della sanzione disciplinare, specie se di massimo grado, l’Amministrazione non può esimersi dal valutare anche la complessiva personalità e la condotta successiva al fatto addebitato. Nel contesto giurisprudenziale affermatosi in tal senso, l’apodittico rilievo della Commissione di disciplina circa l’irrilevanza della riabilitazione integrava una specifica carenza motivazionale, potendo incidere tale condotta successiva sulla scelta e graduazione della sanzione disciplinare, con eventuale applicazione di sanzione meno grave conservativa del rapporto d’impiego, annullandosi perciò gli atti impugnati “salvi i provvedimenti ulteriori dell’Amministrazione con riferimento all’integrazione della motivazione in relazione alla specifica valutazione della condotta successiva al fatto addebitato”.

Appella l’Amministrazione deducendo i seguenti motivi:

Il rilievo che ha condotta all’annullamento da parte del Tar si basa su un equivoco di fondo favorito da una disattenta lettura del testo del decreto impugnato, nella cui parte motiva non si fa alcun cenno alla condizione di soggetto dedito all’uso non terapeutico di sostanze stupefacenti quale presupposto ritenuto rilevante per l’irrogazione della sanzione disciplinare. Motivo esclusivo e determinante della destituzione è stata la considerazione della gravità del comportamento del ………, colpevole di avere omesso ripetutamente di denunciare attività illecita della quale era venuto a conoscenza in occasione dell’acquisto di eroina, tanto più che il comportamento omissivo era stato valutato a prescindere dalla pronuncia di condanna penale, sulla base di considerazioni autonome rivolte alla verifica delle condizioni previste dalle norme dell’ordinamento disciplinare. Ai fini della legittimità della motivazione non occorre che tutti i motivi siano contenuti nel provvedimento finale, essendo valida la motivazione per relationem nell’articolazione del procedimento a monte, disponendo l’Amministrazione di un ampio potere discrezionale con valutazione insindacabile nel merito. Il comportamento del ricorrente è stato ricondotto alla fattispecie prevista dai nn.1, 2 e 4 dell’art.7 del DPR 737\81, attesa l’evidenza della sussumibilità del comportamento stesso nell’ipotesi normativa richiamata; dalla lettura di tali disposizioni si comprende come i doveri imposti siano assolutamente “stringenti” e nei fatti contestati vi era stata incontrovertibilmente una grave violazione dei doveri assunti con il giuramento e pertanto la sanzione comminata non poteva definirsi inadeguata e sproporzionata.

Si è costituito l’originario ricorrente opponendosi all’accoglimento dell’appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello non può essere accolto.

Deve infatti ritenersi che, anche in caso di accertata legittimità della valutazione di colpevolezza sul piano disciplinare, relativamente alla commissione di un illecito omissivo costituente grave violazione dei doveri d’ufficio incombenti sull’appartenente alla Polizia di Stato, la personalità complessiva dell’incolpato debba costituire oggetto della medesima valutazione, nel senso di condizionare l’espressione in concreto del potere discrezionale di apprezzamento dell’Amministrazione sul piano della graduazione della sanzione da applicare.

E’ pur vero, cioè, che in astratto, l’omessa denuncia connessa alla conoscenza della cessione abituale di stupefacenti da parte di un determinato soggetto, presso il quale si rifornisca un agente di Polizia per il proprio uso personale, integra la violazione di cui all’art. 7, nn.1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737/1981, come peraltro positivamente affermato dalla sentenza impugnata (pagg. 8, infine, 9, 12, punto 1.2.); tuttavia, il punto sollevato dal giudice di primo grado è relativo all’esigenza, in effetti disattesa nel procedimento disciplinare gravato in prime cure, che la complessiva personalità dell’incolpato e la sua condotta successiva al fatto addebitato (non dunque messo in dubbio nella sua ricorrenza normativamente qualificata) costituiscano un momento necessario del complessivo apprezzamento demandato alla stessa Amministrazione.

Ciò non tanto per escludere una, ormai appurata, responsabilità per illecito disciplinare, ma ai fini di una graduazione della sanzione eventualmente applicabile, in guisa tale che non tanto la condotta successiva al fatto addebitato “debba” condurre ad una vincolata applicazione di una misura più tenue della destituzione, quanto che, piuttosto, debba essere oggetto di attenta valutazione, prospettandosi come uno dei fattori che, espressamente considerato, “possa” condurre all’attenuazione del momento sanzionatorio.

In tal senso va inteso il ragionamento compiuto dal Tar che ha, infatti, da un lato, ritenuto apodittico il rilievo svalutativo svolto dalla Commissione provinciale di disciplina con riguardo al programma di riabilitazione cui si era sottoposto il ricorrente, dall’altro, annullato “fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione con riferimento all’integrazione della motivazione in relazione alla specifica valutazione della condotta dell’interessato successiva al fatto addebitato e, in particolare, alla sottoposizione con esiti positivi, ove accertati come permanenti, a programmi di recupero psicoterapeutico dalla condizione di tossicodipendenza”.

Tali rilievi non sono superati dai motivi di appello, incentrati essenzialmente sulla positiva integrazione della responsabilità disciplinare per grave condotta omissiva da parte del ricorrente, elemento pienamente condiviso nella decisione impugnata, nonché sulla insindacabilità della valutazione demandata all’Amministrazione, aspetto che, invece, è stato censurato correttamente, nei limiti, suoi propri, di un’insufficiente motivazione riguardante un elemento di fatto che doveva essere apprezzato e non, viceversa, ritenuto a priori irrilevante solo perché “verificatosi successivamente alla commissione dei fatti oggetto di contestazione”.

Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va respinto mentre possono essere compensate le spese del presente grado di giudizio attesi gli incerti confini giuridici a fattuali della fattispecie.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 27.5.2008 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Claudio Varrone Presidente

Carmine Volpe Consigliere

Luciano Barra Caracciolo Consigliere, Rel.

Aldo Scola Consigliere

Roberto Chieppa Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/07/2008

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA

 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa

al Ministero………………………………………………………………………………….

a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642

Il Direttore della Segreteria

 

N.R.G. 849/2003a

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