martedì 19 gennaio 2010 – ore 10,00
Relazione introduttiva del Segretario Generale Felice Romano
Convivenza, legalità, sicurezza per una comunità unita
Reggio Calabria, 19 gennaio 2010
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PREMESSA
Signor Ministro dell’Interno, desidero ringraziarla di cuore per la sua preziosa presenza a questo convegno.
Signor Presidente della Commissione antimafia, spettabili Autorità, graditi ospiti, colleghe e colleghi della Polizia di Stato, porgo a tutti voi i saluti calorosi e riconoscenti del SIULP. Una particolare riconoscenza alla Regione Calabria per l’ospitalità che oggi ci da e agli amici della CISL e del SIULP Reggino che hanno lavorato alacremente per rendere possibile questo appuntamento.Il convegno di oggi nasce dall’esigenza di riflettere sui recenti fatti di Rosarno, nel tentativo di definirne il più esattamente possibile le cause e le concause, allo scopo di tracciare una linea di possibili soluzioni non dimenticando che, su questi temi non esistono scorciatoie o trucchi ad effetto, come la ricerca di un capro espiatorio.
Ci faremo aiutare durante questo breve excursus dalla logica dei dati e da quella della ragione: l’intenzione del SIULP, come sempre accade in casi come questi è quella di fornire un contributo per valorizzare anche nei momenti più critici della vita del nostro Paese i valori fondamentali posti alla base del nostro stare insieme: la democrazia, la libertà, la partecipazione, la solidarietà,l’unità. Con due avvertenze necessarie;
– la prima è nel fatto che, come diceva Andrew Lang, i dati per alcuni sono a volte come i lampioni per gli ubriachi. Non li illuminano, ma li aiutano a sorreggersi. Perciò cerchiamo di utilizzarli “cum grano salis”, senza conferir loro valori assoluti.
– La seconda è nel fatto che quanto dirò, è frutto di una profonda riflessione su un aspetto importante del nostro essere sindacalisti e contemporaneamente poliziotti: l’equidistanza, l’imparzialità, che contraddistingue necessariamente la nostra attività quotidiana, corre il rischio, a volte, e oggi il rischio è sempre più frequente, di trasformarsi in indifferenza rispetto ai fatti che ogni giorno ci capitano sotto gli occhi.
Noi vogliamo dare un taglio, al nostro intervento che vada oltre l’aspetto di pura cronaca giudiziaria.
I fatti di Rosarno vanno letti nella loro dimensione più ovvia, che è quella dello sfruttamento, dell’illegalità fondamentale in una situazione in cui, come spesso accade, la mafia approfitta, quasi fosse liquida, dello spazio lasciato dallo Stato, e cerca di sostituirsi allo stesso nell’erogazione di un diritto, quello al lavoro, senza disporre le correlate, necessarie garanzie.
Anzi, com’è uso di tutte le mafie, negandole.
E questo vale per gli italiani come per gli stranieri.
La significativa presenza del sindacato confederale, in una delle sue massime espressioni al nostro convegno, è indice della complessità del problema che stiamo affrontando e delle soluzioni che possiamo adottare.
Il SIULP ringrazia la CISL e Raffaele Bonanni, per la preziosa presenza a questo convegno.
Un problema, quello dell’immigrazione in una terra in cui opera una delle più antiche e più pericolose forme di criminalità organizzate del nostro Paese, che deve essere affrontato da più punti di vista: da un punto di vista concernente lo stato dell’integrazione degli immigrati, da un’ottica riguardante l’efficacia delle norme emanate negli ultimi anni sui flussi immigratori; da quello forse più impegnativo del modo in cui l’immigrato viene sfruttato nel nostro Paese dalla criminalità, e non solo da quella organizzata.
Ed infine dall’ottica di chi, come conquista imprescindibile della nostra società civile e moderna ritiene essenziale che ogni cittadino che si trova sul nostro territorio debba godere in maniera incondizionata di tutti i diritti previsti dalla convenzione dei diritti dell’uomo e del cittadino e dalla carta dei diritti della Comunità Europea.
I diritti ad una esistenza libera e dignitosa, nel rispetto della legge, sotto l’unica protezione ammissibile in una società moderna: quella dello Stato.
1) I DIRITTI NEGATI
Oramai da oltre vent’anni gli stranieri sono sul nostro territorio, ma non tutti sono ancora riconosciuti come cittadini.
Il “deficit di cittadinanza” che sarebbe dovuto essere superato con il passare del tempo è ancora presente e rischia di esplodere drammaticamente.
Gli anni trascorsi non solo non hanno accorciato, ma hanno ampliato le distanze tra i diritti di cittadinanza formalmente riconosciuti e quelli concretamente attribuiti.
Le soluzioni politiche messe in campo a livello comunitario e nazionale appaiono essere unicamente di contrasto all’immigrazione, come se fosse questa l’unica strada che tutti gli Stati Europei, non solo il nostro, hanno scelto per affrontare i problemi dei flussi.
Quando noi parliamo di criminalità connessa all’immigrazione, dobbiamo fare concettualmente nostra una distinzione: dobbiamo considerare il duplice aspetto della questione, dobbiamo distinguere i reati commessi dagli immigrati e quelli dei quali gli immigrati sono vittime.
2)STRANIERI CRIMINALI, STRANIERI VITTIME.
Alcuni dei dati, richiamando l’avvertenza di prima, documentano in termini di assoluta evidenza l’impegno delle forze di polizia e della Polizia di Stato in primis nel contrasto alla criminalità straniera.
Negli ultimi anni è aumentato il numero degli stranieri denunciati, arrestati ed incarcerati, tanto nel loro valore assoluto quanto in percentuale rispetto agli italiani.
Il maggior numero di reati commessi da extracomunitari si registrano al Nord: per fare un esempio nel 2003 su oltre 117 mila denunciati, il 56% appartiene al Nord e solo l’11% al Sud.
Molti dei reati commessi sono però, è doveroso notarlo, reati “di esigenza”, connessi cioè ad un risultato patrimoniale immediato tipico delle categorie più povere e disagiate.
In parole povere, i reati di chi delinque per sopravvivere, o per soddisfare impulsi primitivi.
Non mancano ipotesi delittuose più importanti.
La stessa analisi del traffico degli stupefacenti rivela che il ruolo dei clandestini è soprattutto di manovalanza, al servizio di menti strategiche che appartengono ad etnie diverse: magrebini ed africani sono i manovali del crimine, albanesi e mafiosi italiani sono i cervelli.
Non è stata ancora scoperta una sola organizzazione operante sul nostro territorio che sia di esclusiva etnia straniera, senza cioè la partecipazione di italiani nei ruoli di vertice.
Diverso è il discorso quando si passa ai reati subiti dagli immigrati.
Secondo molti osservatori il reato del 2000 è la schiavitù illegale.
Se i progressi culturali dei secoli scorsi hanno segnato la scomparsa della schiavitù legale, appoggiandosi anche al consenso delle popolazioni europee, siamo oggi costretti a denunciare una certa tolleranza della schiavitù illegale.
Secondo le stime di Kevin Bales, che ha studiato l’importanza della” merce umana “ nell’economia globale, in Europa ci sono oggi oltre 200 mila persone che vivono in condizioni di schiavitù e l’Italia detiene il primo posto nella poco nobile graduatoria dei Paesi-negrieri.
3) UNA NUOVA SCHIAVITÙ
Si tratta di una nuova schiavitù che esercita la totale riduzione della libertà personale tramite la violenza e il ricatto, una schiavitù che non ha più niente a che fare con il razzismo ma ha molto a che fare con l’esigenza delle nuove forme dell’economia.
Un economia che si avvale delle incertezze registrate dagli Stati di fronte ad una globalizzazione galoppante, che rende spesso inadeguate le risposte di polizia, per trarre profitti dalle possibilità di sfruttamento di una manodopera a basso costo perché a basso diritto.
Dal Lago definisce gli stranieri come non-persone.
Non solo persone emarginate, ma persone che agli occhi della società non esistono.
Senza rapporti stabili, in situazioni precarie; con il rischio di essere intercettati dalle forze dell’ordine ed espulsi.
Non hanno i documenti e quindi non possono godere degli aiuti dei centri d’assistenza.
Il sistema dei permessi di soggiorno serve per contrastare molti fenomeni criminali collegati alla criminalità straniera ma crea grossi problemi agli immigrati che intendono vivere del proprio lavoro: li priva di riconoscimento sociale e li colloca immediatamente nell’alveo dell’illecito.
Sono vittime di tali violazioni dei diritti umani le prostitute, i minori dediti all’accattonaggio, e soprattutto i lavoratori sfruttati dalle organizzazioni criminali.
Lo schiavo del duemila è il clandestino, una figura che tutti sanno esistere ma la cui esistenza non è riconosciuta dal nostro diritto, dalle nostre leggi, dalla stessa attività di polizia, dall’opinione pubblica, dai benpensanti e persino dal mondo degli intellettuali.
Quante volte una pattuglia “fa finta di non vedere” un clandestino, semplicemente perché sono più i problemi dell’identificazione che quelli della tolleranza forzata di questa esistenza parallela.
Come nell’antica Roma, il clandestino è oggi lo schiavo senza diritti, costretto allo sfruttamento per sopravvivere nel silenzio ignobile di una società pronta ad indignarsi per rivendicare i diritti della razza canina ma spaventosamente silenziosa quando si tratta di pretendere il rispetto dei diritti dell’uomo.
Appare formidabile esempio di questa incertezza anche legislativa il Testo Unico sull’immigrazione, che prevede la possibilità di liberarsi dalla clandestinità e di poter seguire un percorso di integrazione sociale per il clandestino che collabora con la polizia per denunciare i propri sfruttatori.
Una norma preziosa per le vittime della tratta degli immigrati, ma che non prevede nessuna possibilità per le vittime di schiavitù, quasi che il problema non esistesse o che il legislatore non avesse intenzione di affrontare.
Da questa vistosa carenza nella nostra legislazione deriva il fatto oggettivo che i clandestini sono sfruttati come schiavi da un mercato nero sempre più fiorente; senza alcuna tutela giuridica, separati dalla società civile e dalla tutela che possono offrire i sindacati, vivono una vita precaria fatta di lavoro, di umiliazioni, di miseria e di malattia.
Con il rischio, a seconda dei capricci del padrone di essere rinchiusi in un centro di permanenza temporanea e di essere espulsi.
Manca parimenti un’opera di informazione, giacché i mass media appaiono più propensi ad enfatizzare i rischi relativi alla fattispecie di reati consumati dagli stranieri, piuttosto che quelli relativi ai reati consumati sulla pelle degli stranieri.
4)MAFIA E SFRUTTAMENTO
Le indagini di polizia e magistratura hanno svelato la grave situazione del lavoro nero nei campi di pomodori o degli aranceti del Sud.
E’ emersa in maniera incontestabile l’esistenza della schiavitù, dello sfruttamento in un Paese che come l’Italia sostiene e promuove i diritti umani.
C’è anche da dire che molto spesso è la legge, e la burocrazia che la applica, a complicare l’intenzione di quegli imprenditori che vogliono regolarizzare i lavoratori stranieri.
Con la creazione di una situazione assurda: chi vuole dare lavoro e rispettare la dignità del lavoratore si trova per legge nella quasi impossibilità di farlo.
Chi invece decide di violare la legge e di usare i lavoratori come schiavi lo può fare perché la legge non prevede espressamente sanzioni appropriate, o ipotesi di reato descrittive delle fattispecie reali che lo sfruttamento propone.
Inoltre le Forze di Polizia, e la Polizia di Stato in primis, da sempre usate in veste di “tappabuchi” di situazioni emergenti, pur operando in modo encomiabile e rispettoso dei diritti umani (e per questo ringraziamo il Questore di Reggio Calabria Carmelo Casabona che ha guidato con grande capacità e con sensibilità democratica i poliziotti reggini nella gestione difficile dei fatti di Rosarno), non vengono addestrate secondo una cultura professionale e specifica dalla quale possa derivare una seria possibilità di contrasto alle organizzazioni criminali dedite allo sfruttamento, mentre passi da gigante sono stati compiuti nel contrasto alla Tratta e al traffico di esseri umani.
Quindi lo sfruttamento è voluto e ricercato dall’impresa criminale, interessata ai vantaggi dell’ignobile sistema: quello di remunerare il meno possibile il lavoratore clandestino, e di evitare l’aggravio costituito dai contributi previdenziali, assicurativi, e fiscali.
E’ il nuovo dramma della disoccupazione italiana e soprattutto meridionale: non è vero che lo straniero ruba il lavoro agli italiani.
E’ l’impresa criminale che ricerca il clandestino e lo preferisce al lavoratore italiano, soprattutto perché il clandestino non ha diritti, non ha rappresentanza sindacale, ed è molto ricattabile. Realizzando così i peggiori insegnamenti di quel Frederick Taylor che nella seconda metà dell’ottocento elaborò una teoria dell’organizzazione del lavoro basata sull’annullamento della umanità del lavoratore, teoria giudicata troppo “schiavista” ben 130 anni fa.
Si lavora nei campi di pomodori in Puglia e anche nelle vigne del civilissimo Veneto per dieci ore il giorno guadagnando 25 euro. Si lavora nei cantieri, dove i rischi di incidenti sono molto più frequenti, per trenta euro il giorno.
Gli unici assunti sono quelli appena caduti dalle impalcature.
Per l’ingresso in ospedale, che comporta l’intervento della polizia e l’eventuale trasmissione del referto all’autorità giudiziaria, occorre una parvenza accettabile di legalità.
Dei venticinque o 30 euro così duramente guadagnati, cinque vanno ai padroni che si fanno pagare il trasporto fino ai campi e il noleggio delle baracche che servono da alloggio.
Un operaio “in regola” costerebbe 7 o 8 volte di più.
L’indagine condotta da” Medici senza frontiere nel 2006” rivela che le condizioni di alloggio dei clandestini non rientrano neppure nei canoni minimi previsti dall’alto commissariato dell’Onu dei rifugiati, per l’allestimento di campi profughi nelle zone di crisi.
Ancora un po’ di dati: il 50,9% dei lavoratori visitati dai medici volontari sono risultati affetti da patologie infettive e respiratorie a causa delle condizioni di vita disagevole; arrivano sani e tornano malati esattamente come accadeva ai nostri minatori in Belgio nelle migrazioni degli anni 50.
Il 30% di loro ammette di aver subito violenza, nell’82% dei casi da parte degli italiani.
E se interviene lo Stato, l’unico strumento di sicura applicazione è l’espulsione.
Che, si badi bene, per il clandestino è una misura giusta e doverosa, ma non può rappresentare l’unica risposta di uno Stato civile e democratico qual è il nostro a chi cerca un riscatto e una dignità di essere umano e di lavoratore già negata nel suo paese natale.
5) L’IMMIGRATO PERCEPITO COME PERICOLO NECESSARIO
Noi del SIULP continuiamo a ritenere oramai da decenni, che lo sfruttamento dei clandestini sia un grave problema di carattere sociale e non di ordine pubblico .
L’immaginario collettivo spesso fomentato ad arte dai mass media e da una politica che sulla paura e l’insicurezza costruisce spesso la parte fondamentale del proprio programma elettorale, tende a raffigurare nello straniero un pericolo oggettivo per la propria incolumità.
Non sempre sullo straniero criminale, ma spesso sul clandestino.
Anche qui, rammentando le avvertenze fatte in apertura, un po’ di dati si rendono necessari:
secondo il terzo rapporto sulla sicurezza in Italia realizzato da Demos, gli immigrati vengono visti come un pericolo dal 48% degli intervistati (un campione di 2600 persone con età superiore ai 15 anni), per il 37% sono un pericolo per l’ordine pubblico e per il 35% una minaccia per l’occupazione.
Se il primo, in una sequenza dal 1999, è in calo (erano il 46% dieci anni fa e il 51% nel 2007), il secondo aspetto è in crescita rispetto al novembre 2008 (31%).
La paura dello straniero è più forte al sud e nelle isole (quasi il 52%), contro il centro del Paese che ne risente meno (38,7%).
In sostanza, secondo i dati del rapporto, cala la percezione della paura della criminalità tra gli italiani, ma cresce il timore di perdere il posto di lavoro e, una persona su due vive con preoccupazione la presenza degli immigrati nel Paese.
Le Forze dell’Ordine compiono sacrifici notevoli per porre i rimedi possibili, e manca purtroppo ancora un vero coordinamento che permetta di utilizzare al massimo le grandi professionalità e la grande passione oggi esistenti nei vari Corpi di Polizia.
Ma ci risulta che proprio su questo fronte è impegnato in prima persona il Ministro dell’Interno, e noi rinnoviamo fiducia e stima nelle sue elevate capacità d’intervento, riservandoci solo una progettazione di urgenza sui tempi di attuazione.
Forse l’unico miracolo italiano del quale tutti possiamo dare atto è quello compiuto ogni giorno dalle Forze di Polizia, le quali, nonostante i pochi mezzi a disposizione, gli intralci e le duplicazioni derivanti dalla mancanza di un reale coordinamento, un sistema normativo in buona parte ispirato da norme del tutto antiquato create per far fronte a situazioni datate di secoli, con una mentalità operativa che molto risente di un’impostazione burocratica tipica degli anni 70 e 80, in virtù della quale tutto è a posto se le carte stanno a posto, nonostante tutto questo, riescono a garantire un livello accettabile di sicurezza ai cittadini del Paese.
E pensate un po’ cosa si potrebbe fare se arrivassero, oltre alle enunciazioni i segni tangibili di ulteriori investimenti per i necessari turn- over, e per gli adeguamenti economici e soprattutto ordinamentali dei quali, Signor Ministro, c’è tanto, tanto, ma tanto bisogno.
Ma oggi, Signor Ministro il SIULP non le chiederà un impegno concreto sull’aumento degli organici e dei mezzi come in tanti hanno già fatto unendosi alle nostre vecchie e reiterate istanze.
Noi oggi Le presentiamo una premura e Le chiederemo un impegno.
La premura è quella che Lei si faccia interprete presso il governo affinchè nel terzo millennio l’immigrazione non sia trattata esclusivamente come un problema di ordine pubblico e quindi di polizia; non a caso ancora oggi il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno agli immigrati viene fatto dalla polizia anziché dalle Istituzioni (prefetture, comuni ecc) che sono deputate alla garanzia e alla trattazione burocratica-amministrativa dei diritti di cittadinanza che ogni cittadino sul nostro territorio dovrebbe godere.
Ecco perché Le chiediamo che il tutto sia ricondotto in quegli ambiti liberando la polizia solo per il contrasto all’immigrazione clandestina e al suo sfruttamento atteso che chi commette reati, a prescindere dalla propria nazionalità, è un delinquente e come tale va trattato.
L’impegno invece è quello di intervenire concretamente per un coordinamento reale, che consenta la razionalizzazione dei presidi esistenti, di ridisegnare un nuovo modello di sicurezza moderno, adeguato alle mutate esigenze e capace di ricondurre tutte le forze esistenti in un’unica unitaria azione sotto la potestà dell’autorità di P.S. civile.
Perché è l’unica strada possibile, in tempi di crisi di risorse come quella attuale, per rafforzare e migliorare il controllo del territorio, valorizzando e rendendola più efficace, attraverso un coordinamento con la magistratura anche l’attività investigativa e di contrasto al crimine e all’illegalità diffusa.
Ma lo straniero, dicevo, viene comunque visto come pericoloso: e viene visto più pericoloso nelle piccole città di provincia che nelle metropoli, dove la presenza degli immigrati è nettamente superiore.
La questione allora è di percezione più che di oggettivo riscontro.
Soprattutto nelle metropoli dove il contatto con gli stranieri è all’ordine del giorno il rapporto di convivenza si pone sempre più spesso come problema di integrazione piuttosto che come ordine pubblico.
Ma i mass media presentano ogni giorno la violenza degli immigrati come un’autentica emergenza.
La rapina in villa, l’omicidio efferato della signora per bene, lo stupro vigliacco ai danni della sedicenne, vengono proposti non come episodi eccezionali, ma come fatti costanti, correlati addirittura alla cultura ed ai valori di intere etnie.
Lo straniero, il clandestino in particolare, è diventato il nemico pubblico numero uno, quello di cui c’è tanto bisogno in momenti, come quello attuale, per rafforzare una società non molto coesa sui valori fondamentali posti a base delle sue regole.
Ma a Rosarno come a Parigi, il sistema prima o poi crolla.
La sociologia ci rivela che la seconda generazione di immigrati è quella che più crea problemi di ordine pubblico, in quanto questi cittadini non accettano, come i loro genitori il fatto di essere inquadrati come cittadini di serie B.
Buona parte della politica, e di conseguenza buona parte delle leggi, sono cadute nella trappola del panico collettivo creato contro l’immigrazione: il problema è stato collocato nell’alveo dell’ordine pubblico, di competenza stretta delle Forze di Polizia.
Come tale siamo destinati a perdere una grande battaglia di civiltà.
Cos’è successo a Rosarno, in fin dei conti; noi non sappiamo ancora se dietro i fatti di Rosarno ci sia la ’ndrangheta, ma ci da abbastanza fastidio l’idea che si debba seguire sempre la pista della criminalità organizzata anche per giustificare l’aberrazione di una condotta sociale.
Perché ricercando il crimine dietro ogni disfunzione sociale si ha buon gioco nel far diventare il problema un problema di ordine pubblico e quindi di polizia.
A Rosarno non c’era lo Stato, dicono oggi in molti.
Pochi lo dicevano prima degli incidenti.
Il consiglio comunale è stato sciolto per mafia su provvedimento del Signor Ministro dell’Interno, lo stesso presente oggi ai nostri lavori.
Mancano le infrastrutture, mancano le occasioni di uno sviluppo legale in una terra martoriata dall’ndrangheta ma anche da una cultura dell’illegalità nella quale l’ndrangheta opera ma verso la quale tutti abbiamo delle responsabilità.
6) LO STATO POLIZIOTTO
E si invoca pertanto la presenza dello Stato ma rivendicando in realtà un numero maggiore di divise dello Stato, siano esse di poliziotti, di carabinieri o di soldati dell’Esercito.
Si rivendica lo Stato sbirro, lo Stato carabiniere, lo Stato militare.
E si dimentica che lo Stato non è soltanto questo: è molto di più, comprende mille aspetti differenti da questo, per i quali niente si continua a fare, condannando gli immigrati e i cittadini che con essi convivono ad uno stato di soggezione, di mancato sviluppo, di mancato rispetto dei diritti collettivi e individuali.
Eppure le Forze di Polizia funzionano, la magistratura funziona, la Chiesa funziona, i sindacati funzionano, le associazioni di volontariato funzionano.
Perché non intervenire ALLORA su tutto quello che non funziona.
Sulla cattiva politica per esempio, che dovrebbe gestire la cosa pubblica nell’interesse generale dei cittadini, e continua invece a gestirla come se fosse interesse privato dei propri familiari o dei propri affiliati, in cambio di una manciata di voti o dell’assicurazione del perdurare del proprio potere.
Della cattiva Amministrazione, di quella che sperpera i fondi pubblici o i fondi europei per costruire cattedrali nel deserto, opere di pubblica utilità che in realtà si traducono nell’utilità di pochi a scapito di molti.
Non hanno senso gli appelli ad uno scatto di orgoglio della società calabrese, o del popolo siciliano o del popolo campano, se poi permangono strutturate nelle radici di una società malata le basi per una illegalità diffusa, accettata e, in alcuni casi persino convinta.
7) LEGALITÀ OLTRE LA LEGGE
Quando lo Stato non riesce ad assolvere i propri compiti essenziali, (fornire servizi e garantire i diritti) si produce una forma di separatezza tra lo stesso e la società civile e si generano centri non statuali di composizione privatistica degli interessi individuali, che rifuggono i principi di legalità.
La mafia moderna si rafforza su questa spazio di separatezza tra società e Stato ponendosi come garante di quei servizi che lo Stato non riesce a fornire. Svolgendo due funzioni: è snodo tra società e poteri pubblici (facendo avere come favori ciò che spetterebbe come diritto); è garante degli interessi dei propri clienti indipendentemente dalla loro legittimità.
In questo modo la mafia allarga il solco tra la società nella quale opera e lo Stato, inserendosi su difetti di fondo preesistenti.
Ma questi difetti, per effetto dell’ intervento della mafia, sono diventati caratteristiche strutturali delle società dove più forte è la sua presenza”.
La cultura alla legalità ha per oggetto non solo il rispetto formale della Legge, ma la condivisione della natura e della funzione delle regole nella vita sociale, l’esercizio pieno dei diritti di cittadinanza come unica declinazione possibile dei valori di libertà, di partecipazione, di eguaglianza, di democrazia, di unità.
Che vanno rivendicati non solo contro il sistema mafioso, ma anche contro lo Stato se tenta di negarli o limitarli, per colpa strutturale o personale di chi esercita il pubblico potere.
Educare alla legalità significa acquisire cognizione dei propri diritti e dei propri doveri, e dei diritti e dei doveri altrui.
Questo principio, oltre ad essere una premessa culturale indispensabile, si pone come un sostegno operativo quotidiano e necessario all’azione di polizia e magistratura, perché solo un’azione di lotta radicata saldamente nelle coscienze e nella cultura dei cittadini, potrà acquisire caratteristiche di duratura efficienza, di programmata risposta all’incalzare del fenomeno criminale.
Buona parte dei problemi che minacciano la convivenza pacifica non dipendono solo da fattori criminali ma anche da un modo di agire del pubblico funzionario o dell’autorità che trascura l’interesse della collettività per privilegiare interessi particolari.
Il principio di legalità in democrazia rappresenta il rimedio più corretto a tale devianza.
“Se non vogliamo legami con la mafia, chi rappresenta il popolo, la politica, deve garantire trasparenza anche con la forza dell’esempio e del comportamento”, ha di recente affermato il Presidente della Camera Gianfranco Fini in occasione di un incontro con gli studenti di Bagheria.
La presenza dello Stato non può pertanto, ai fini del rafforzamento della legalità, essere soltanto presenza delle divise delle sue forze di polizia, ma costante opera di esempio, di autorevolezza e di credibilità degli uomini che rappresentano tutte le sue Istituzioni.
La legalità riconosce il primato della legge rispetto all’interesse individuale e vieta di tenere comportamenti che ledano interessi altrui.
Il concetto di legalità è strettamente associato a quello di comunità, di responsabilità, e di solidarietà collettiva .
La legalità comporta rispetto per le proprie Istituzioni, per il proprio Paese e per i cittadini.
La condizione di legalità non deve mai risultare dato acquisito in via definitiva, ma bene da sottoporre a continua verifica per evitarne la compressione o la soppressione, e non accetta situazioni di compromesso o di convivenza con la cultura dell’illegalità posta a base dell’etica mafiosa.
8) UNA SICUREZZA PER TUTTI
I fatti di Rosarno sono destinati ad acquisire valenza storica se affrontati nella giusta direzione.
L’intera Europa oggi avverte i sensi di una preoccupazione sempre più crescente per l’ondata di immigrazione che ci sta riguardando e che ci riguarderà ancora per molti anni.
La politica dello struzzo in questi casi non paga: far finta di non vedere il fenomeno infilando la testa nella sabbia non è il modo migliore per affrontare il problema.
D’altra parte c’è già chi fa paralleli tra i fatti di Rosarno e le vicende francesi del dicembre 2005 quando i disordini delle banlieue portarono all’attenzione mondiale un aspetto completamente diverso del tema dell’immigrazione.
Il confluire di elementi quali la disoccupazione, la bassa scolarizzazione, la mancanza di possibilità futura in un contenitore di degrado urbano e di isolamento dalla società civile hanno innescato un ordigno esplosivo dalla portata assolutamente preoccupante.
L’integrazione è un problema che può sfociare in un dramma se affrontata dall’ottica dell’ordine pubblico e non da quella di una politica comune fatta di interventi sociali.
La vera sfida è quella dell’integrazione tra etnie diverse tendenti però ad un’unica cultura, la cultura della legalità.
Un tema che acquista particolare importanza in un territorio come quello del Sud e della Calabria in particolare in cui il perdurare di una mafia e di una mafiosità dei comportamenti ha da tempo diffuso quello che è l’opposto della cultura della legalità, cioè la pratica della illegalità.
Per questo il cocktail di Rosarno può essere ancora più esplosivo rispetto alla banlieue francesi.
A fare la differenza non è tanto il ruolo che la ‘ndrangheta può aver avuto nella rivolta di Rosarno ma il territorio sul quale il tutto avviene.
Il fine è la convivenza pacifica di popoli diversi sul medesimo territorio, lo strumento è quello della diffusione della cultura della legalità.
Oggi la Calabria e il Meridione in generale è chiamato ad affrontare una duplice sfida: deve gestire contestualmente un’ampia operazione di recupero delle condizioni di legalità sul suo territorio e deve favorire un processo di integrazione tra immigrati e cittadini.
Senza dimenticare che siamo da molto tempo in Europa e che l’Europa è nata per accogliere e per promuovere il pacifico incontro tra i popoli.
Compito della Polizia di Stato e delle Forze di Polizia non può essere soltanto l’azione di contrasto al crimine e l’azione di repressione.
L’intervento oggi richiesto non può essere soltanto quello della ostentazione delle divise.
Ci sentiamo a questo punto di condividere le iniziative prese dal Ministro Maroni che depongono a favore dell’idea che la risposta al crimine organizzato e allo sfruttamento si fa con la qualità e non con la quantità.
Il superamento del limite culturale che vede nell’immigrazione un problema criminale e non un fenomeno naturale da gestire è il punto di partenza per ogni iniziativa nel campo della politica, dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Sui canali di ingresso legali dell’immigrazione si deve costruire la cultura del diritto, perché l’immigrazione non si risolve contrastando l’immigrato ma favorendone l’integrazione, valorizzandolo come risorsa della società produttiva, perché il futuro del genere umano è nell’abbattimento delle frontiere e nella creazione di un’unica grande convivenza civile.
I policy maker non possono usare l’insicurezza sociale per trattenere l’immigrazione su un terreno di polizia e di repressione che oggi è destinato a produrre ulteriori problemi rispetto a quelli attuali.
L’identità culturale nazionale deve essere valorizzata in tutti i suoi aspetti positivi, in particolare quelli dell’accoglienza e della solidarietà tra esseri umani.
Valori fondanti di una cultura cattolica che fa parte integrante del nostro DNA nazionale, punto di riferimento della nostra opera e dell’opera di un grande sindacato confederale come la CISL alla quale, più che a noi compete l’azione in prima linea per raggiungere il difficile ma doveroso traguardo di una convivenza pacifica nell’integrazione.
La sicurezza dei cittadini italiani passa necessariamente per la sicurezza degli immigrati onesti.
Mi piace affidare le conclusioni alle parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, il quale verrà a testimoniare la vicinanza ai calabresi del popolo italiano nella giornata di dopodomani.
“Per sconfiggere e sradicare tutte le mafie non può bastare l’impegno dello Stato.
All’azione delle Forze di Polizia e della Magistratura deve accompagnarsi un’ampia partecipazione democratica. Istituzioni e associazionismo debbono collaborare intensamente per educare alla cultura dello stato di diritto e per creare opportunità di lavoro e di progresso sociale”.
Se lo dice il Presidente della Repubblica, vuol dire che gli Italiani lo dicono: e questo dà a noi, donne e uomini delle forze dell’ordine e del SIULP il Sindacato confederale di polizia, la certezza di non essere soli nella nostra battaglia quotidiana contro il crimine per l’affermazione dei valori posti alla base della nostra civiltà: una società che ha rispetto dell’uomo, solidarietà, legalità, integrazione, democrazia, una società più forte ma unita per affrontare le grandi sfide che ci attengono localmente e globalmente.
Grazie
Rassegna stampa
Radio Radicale – audio convegno
TG rai due ore 13,00 del 19 gennaio
melitonline.it Romano (Siulp): «L’immigrazione non è un problema di ordine pubblico»
strilli.it Maroni al convegno del Siulp: ”Il 28 gennaio, a Reggio, Consiglio dei Ministri per piano antimafie”
telereggio Rosarno, Romano (Siulp): “Immigrazione va controllata”
cn24 video giornale del 19 gennaio
conquiste del lavoro –
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ROSARNO: ROMANO (SIULP), IMMIGRAZIONE VA GOVERNATA
(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 19 GEN – Secondo il segretario generale del Siulp, Felice Romano, intervenuto al convegno a Reggio Calabria sui fatti di Rosarno, ”il problema dell’immigrazione non e’ affatto un problema di polizia. Lo diventa allorquando un miscuglio di condizioni e soprattutto di emarginazioni lo trasforma in senso negativo, come e’ successo a Rosarno”. ”Il problema vero – ha aggiunto Romano – e’ che oggi non si puo’ pensare soltanto a contrastare l’immigrazione. Questo processo epocale va governato garantendo l’integrazione dell’immigrato”. Romano facendo riferimento all’uso delle forze dell’ordine ha detto che ”bisogna attuare un intervento per razionalizzare l’utilizzo di quelle che sono disponibili, che nella provincia di Reggio Calabria lavorano bene. Occorre soltanto renderle piu’ efficaci attraverso un’azione unitaria che passa sotto la direzione dell’autorita’ di pubblica sicurezza. Un’azione che sia coordinata con la magistratura in modo da esaltare, oltre alla prevenzione, l’aspetto dell’attivita’ investigativa per il contrasto al crimine”.
Rosarno/ Maroni: E’ successo perchè legge non è stata rispettata
“Con rispetto della Bossi Fini sarebbe andata diversamente”
Reggio Calabria, 19 gen. (Apcom) – I fatti di Rosarno non sarebbero avvenuti se la legge Bossi-Fini fosse stata applicata: lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, concludendo a Reggio Calabria il convegno organizzato da Siulp e Cisl sugli eventi della città i fatti di Rosarno. “A Rosarno, non si e’ rispettata la legge nelle parti che prevedono l’ingresso di immigrati nel nostro Paese legato a un regolare rapporto di lavoro e al possesso di un alloggio” ha detto Maroni. “Se la legge Bossi-Fini fosse stata applicata non si sarebbe creata la situazione di Rosarno”. Secondo Maroni, infatti, la lezione di Rosarno e’ che non ci puo’ essere tolleranza nei confronti di situazioni di degrado che si creano in relazione a presenze di immigrati. “E a Rosarno questo – ha proseguito il titolare del dicastero dell’Interno – e’ successo e un’altra lezione e’ che bisogna intervenire subito per eliminare situazioni come quella. Per questo ci attiveremo subito perche’ situazioni simili vengano rapidamente cancellate come sta accadendo a Castelvolturno. Per questo motivo domani saro’ a Caserta per partecipare a una riunione dedicata ai problemi degli immigrati di Castelvolturno”. Maroni ha sottolineato che “c’e’ stata da parte del Governo Berlusconi un’azione di contrasto forte contro l’immigrazione clandestina. Ci siamo attivati a livello internazionale soprattutto con la Libia e quest’azione ha prodotto risultati concreti. Nel 2009 gli sbarchi di immigrati sono diminuiti del 90% e il centro di Lampedusa non e’ nelle condizioni di sovraffollamento in cui si trovava un anno fa. In piu’ c’e’ stata una forte riduzione dei reati commessi da immigrati”
Immigrati/ Maroni: A Caserta una Rosarno al cubo
Domani coordinerò una riunione in Prefettura
Reggio Calabria, 19 gen. (Apcom) – Secondo il ministro dell’Interno Roberto Maroni, a Reggio Calabria per un convegno organizzato da Siulp, “a Caserta c’è una situazione esplosiva simile a quella di Rosarno: penseremo – ha detto – a come intervenire per evitare gravi problemi di ordine pubblico come già è successo a Rosarno. La situazione va coordinata – ha aggiunto Maroni – con tutte le istituzioni competenti perchè non bisogna militarizzare una zona mandando alla deportazione gli immigrati, per questo motivo – ha concluso il ministro – noi vogliamo gestire l’emergenza tentando di risolvere il problema”
ROSARNO:MARONI,NON CONFONDERE IMMIGRATI LEGALI E CLANDESTINI
(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 19 GEN – ”Non bisogna confondere l’immigrazione legale e quella clandestina, con i legami di quest’ultima con la criminalita’ organizzata”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, parlando con i giornalisti a Reggio Calabria a margine del convegno sui fatti di Rosarno organizzato dal Siulp e dalla Cisl. ”Proprio per tutelare gli onesti – ha aggiunto Maroni – bisogna distinguere bene tra le politiche di integrazione rivolte a chi viene in Italia per lavorare e le politiche di contrasto che noi attuiamo nei confronti di chi viene, invece, per delinquere”.
IMMIGRATI: MARONI, SE LEGGE FOSSE STATA APPLICATA NON SI SAREBBE CREATA SITUAZIONE ROSARNO
Reggio Calabria, 19 gen. – (Adnkronos) – ”Se le leggi fossero applicate avrebbero evitato la situazione di Rosarno”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, intervenendo questa mattina al convegno sulla legalita’ organizzato presso la sede del Consiglio regionale della Calabria dal Siulp e dalla Cisl. ”Nella legge Bossi-Fini – ha aggiunto – ci sono principi che sono stati adottati dalla Spagna. Zapatero limita gli ingressi a un regolare contratto di lavoro”. Maroni ha poi ricordato che ”la legge Bossi-Fini impone al datore di lavoro di dare al lavoratore un alloggio adeguato”. ”E’ chiaro – ha detto ancora – che se le leggi vengono disapplicate, disattese, si creano situazioni come quella di Rosarno. E’ una responsabilita’ di tutti”. ”Noi siamo intervenuti quando la situazione e’ degenerata in una situazione grave di ordine pubblico. Al di la’ delle responsabilita’, che ci sono, vogliamo capire – ha proseguito il minstro dell’Interno – qual e’ la lezione che si impara da Rosarno. Quando ho detto ‘troppa tolleranza’ intendevo chi ha chiuso gli occhi da dieci anni a questa parte nei confronti di una situazione di degrado che non garantisce minimi di decenza abitativa. E’ per questo che anche per le altre situazioni che ci sono noi interverremo imemdiatamente”.
Rosarno/ Bonanni: Situazione già vista in altre parte d’Italia
Non si fa nulla per queste persone
Reggio Calabria, 19 gen. (Apcom) – Secondo il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, parlando a Reggio Calabria in un convegno organizzato dallo stesso sindacato e dal Siulp, il sindacato di polizia, “Rosarno altro non è che la ripetizione di qualcosa già successo e che potrà succedere ancora. Nell’ultimo caso del genere, a Castelvolturno, si sono verificate situazioni che per poco non sono sfociate in tragedia e ancor prima è avvenuto in tante altre realtà”. Lo stesso segretario nazionale ha poi dichiarato: “L’ultimo caso del genere è avvenuto a Foggia, dove sparirono dei polacchi e nessuno, né la polizia italiana né tanto meno quella polacca, sa che fine abbiano fatto. Da indagini da noi condotte – ha detto Bonanni – erano persone schiavizzate che si sono ribellate e sono sparite”. “Non si fa nulla – ha aggiunto – contro il lavoro nero che è la struttura portante, non solo economica, ma anche di potere presente in Calabria rappresentata dalla criminalità. Dietro il lavoro nero e fenomeni come Rosarno – ha proseguito Bonanni – c’è la volontà della mafia di vincere ogni operazione come dominus della situazione che c’è. Chiediamo al governo una commissione d’inchiesta parlamentare su questo fenomeno – ha concluso il segretario della Cisl – e lo sforzo da parte di tutti perchè questa piaga finisca e non si fa nulla per queste situazioni di illegalità e per queste persone che vivono in una situazione gravissima e vengono schiavizzate e insultate”
ROSARNO: BONANNI, CIO’ CHE E’ ACCADUTO PUO’ RIPETERSI
(AGI) – Reggio Calabria, 19 gen.- “Rosarno altro non e’ che la ripetizione di qualcosa di gia’ successo e che potra’ succedere ancora”. Lo ha affermato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, a margine di un convegno in corso di svolgimento a Reggio Calabria, organizzato dallo stesso sindacato e dal Siulp. Il leader sindacale ha fatto riferimento a quanto avvenuto negli anni scorsi a Castelvorturno “dove – ha detto – si sono verificate situazioni che per poco non sono sfociate in tragedia e ancora prima in tante altre realta’. L’ultimo caso del genere e’ avvenuto a Foggia, dove sparirono dei polacchi e nessuno sa che fine abbiano fatto. Dalle indagini che abbiamo condotto noi – ha aggiunto Bonanni – erano persone schiavizzate che si sono ribellate e sono sparite. E’ una storia, purtroppo, drammaticamente di routine. Ecco perche’ chiediamo una commissione parlamentare d’inchiesta su questo fenomeno; chiediamo di applicare la legge sulla tratta della persone; chiediamo un confronto forte con il Governo sulla condizione del lavoro nero e un confronto con gli imprenditori per capire il da farsi, fino in fondo, sull’aspetto contrattuale per evitare simili drammi. Dietro il lavoro nero e fenomeni come quello di Rosarno – ha proseguito – c’e’ una volonta’ della mafia di vincere in ogni situazione. Chiediamo lo sforzo di tutti, perche’ questa piaga finisca e un sforzo umanitario degli organi dello Stato nei confronti di queste persone. Si parla tanti di giustizia, ma non si fa nulla per queste situazioni di illegalita’, per queste persone che vivono in una situazione gravissima e vengono schiavizzate, insultati oltre ogni modo. Non si fa nulla contro il lavoro nero che e’ la struttura portante non solo economica, ma anche di potere presente in Calabria, gestita dalla criminalita’”.
IMMIGRATI: BONANNI, PERMESSO DI SOGGIORNO PER MOTIVI UMANITARI A TUTTI I LAVORATORI MARONI A SEGRETARIO CISL, DISPOSTO A CERCARE SOLUZIONI MA NO SANATORIE
Reggio Calabria, 19 gen. – (Adnkronos) – ”Permesso di soggiorno per motivi umanitari per tutti gli immigrati che lavorano, non solo quelli feriti negli scontri di Rosarno”. Lo ha chiesto il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, questa mattina a Reggio Calabria per un convegno sulla legalita’ promosso dalla Cisl e dal sindacato di Polizia Siulp. Bonanni ha chiesto al ministro dell’Interno Roberto Maroni di pensare al filtraggio degli immigrati attraverso la formazione alla lingua e al lavoro, mettendo in condizione di ”togliere queste persone agli schiavisti”. Il ministro Maroni ha poi replicato al leader della Cisl di non essere disposto a concedere sanatorie, perche’ ”non e’ cosi’ che si risolve il problema”, ma di essere pronto a cercare soluzioni.
‘NDRANGHETA: SCOPELLITI, REGGIO CALABRIA NON SI SENTE SOLA
(AGI) – Reggio Calabria, 19 gen. – “Reggio Calabria non si sente sola in questa battaglia contro l’antistato. Qui sta crescendo sempre di piu’ una nuova coscienza civile, sta prendendo corpo una rivoluzione per la legalita’ e per il rafforzamento degli anticorpi di civilta’, di democrazia di cui Reggio, come insegna la sua millenaria storia, ha sempre posseduto. La magistratura, le forze dell’ordine, le istituzioni locali, le organizzazioni sociali, da tempo sono impegnate a limitare la potenza criminale e di fuoco delle ‘ndrine, a fronteggiare la cosiddetta borghesia mafiosa che opera in una zona grigia, a volte, difficile da identificare, da scoprire”. Lo ha detto il Sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, rivolgendosi al Ministro dell?Interno Roberto Maroni in occasione del convegno organizzato dal Siulp e dalla Cisl. “Siamo di fronte a piccoli segnali – ha aggiunto – che, ne sono certo, saranno in grado di dare vita ad un movimento di liberazione. Un comportamento in cui l’agire prenda il sopravento rispetto alle parole, ai propostiti che spesso rappresentano una sorta di alibi per rimanere immobili di fronte allo strapotere della criminalita’ comune ed organizzata. Quando nei giorni scorsi, dopo l’attentato alla sede della Corte d’Appello e ai fatti di Rosarno, proposi l’istituzione delle cosiddette ronde, qualcuno penso’ che il Sindaco di Reggio volesse dar vita ad un sistema di vigilanza armata sul territorio. Un concetto che ribadisco: le ronde per me sono formate dell’intero corpo sociale in grado di avere occhi ed orecchi contro l’illegalita’ diffusa e contro la piccola e la grande criminalita’. Ronde – ha continuato – intese in senso di denuncia, di collaborazione con le forze dell’ordine e con la magistratura; ronde intese come una nuova presa di coscienza, come un consistente fronte contro il malaffare e le degenerazioni di cui l’attuale societa’ soffre. Ho usato la metafora della ronda per dire che tutti i reggini dovranno sentirsi poliziotti, magistrati, commercianti ed imprenditori che dicono no al “pizzo”, che rifiutano l’idea della giustizia fai da te. Ieri come sindaco e come figlio di questa terra mi sono sentito gratificato, ricevendo nuovi stimoli, dal colloquio con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano quando il Guardasigilli ha sottolineato quanto sia importante proseguire la lotta per liberare il Mezzogiorno dalla criminalita’ organizzata. Le sue parole – ha proseguito – sono un’ulteriore stimolo per la classe dirigente che ha il dovere di contribuire ad affrancare questa terra dalla presenza delle organizzazioni mafiose. Non e’ un’utopia, l’idea che la ‘ndrangheta possa essere battuta. Basta crederci, basta fare fronte comune”.
‘Ndrangheta/ Scopelliti:a Reggio C. risposte concrete dello stato
Intensa collaborazione fra istituzioni
Reggio Calabria, 19 gen. (Apcom) – “Reggio Calabria non si sente sola in questa battaglia contro l’anti-Stato. Qui sta crescendo sempre di più una nuova coscienza civile, sta prendendo corpo una rivoluzione per la legalità e per il rafforzamento degli anticorpi di civiltà, di democrazia di cui Reggio, come insegna la sua millenaria storia, ha sempre posseduto. La magistratura, le forze dell’ordine, le istituzioni locali, le organizzazioni sociali, da tempo sono impegnate a limitare la potenza criminale e di fuoco delle ‘ndrine, a fronteggiare la cosiddetta borghesia mafiosa che opera in una zona grigia, a volte, difficile da identificare, da scoprire”. Lo ha detto il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, rivolgendosi al Ministro dell’Interno Roberto Maroni in occasione del convegno organizzato dal Siulp e dalla Cisl. “Siamo di fronte a piccoli segnali – ha aggiunto – che, ne sono certo, saranno in grado di dare vita ad un movimento di liberazione. Un comportamento in cui l’agire prenda il sopravvento rispetto alle parole, ai propositi che spesso rappresentano una sorta di alibi per rimanere immobili di fronte allo strapotere della criminalità comune ed organizzata”
‘NDRANGHETA:PIGNATONE, BENE INIZIATIVE ANNUNCIATE DA GOVERNO
(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 19 GEN – ”Le iniziative annunciate dal Governo contro la ‘ndrangheta, attraverso gli interventi dei ministri Maroni ed Alfano, sono importanti”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, intervenento al convegno promosso dalla Cisl e dal Siulp sui fatti di Rosarno. Secondo Pignatone, inoltre, ”e’ positivo che si sia presa coscienza che ‘ndrangheta e’ un problema nazionale e come tale va affrontato”. Il procuratore ha sottolineato anche ”l’assoluta sinergia con cui si muovono e agiscono la Procura di Reggio e le forze di polizia della provincia. La repressione, comunque, non basta per battere la ‘ndrangheta perche’ ci vuole uno sforzo da parte di tutte le componenti della societa’ civile”.
‘NDRANGHETA: FIORONI (PD), VIRUS INDIFFERENZA SI COMBATTE CON PARTECIPAZIONE CITTADINI
Reggio Calabria, 19 gen. – (Adnkronos) – ”Il virus dell’indifferenza, del silenzio e dell’apatia viene combattuto con la presenza di tanti cittadini a manifestazioni come questa e come quella chesi e’ svolta a Rosarno”. Lo ha detto Giuseppe Fioroni, responsabile per il welfare del Partito democratico, intervenendo questa mattina al convegno promosso dal sindacato di polizia Siulp e dalla Cisl sulla legalita’ a Reggio Calabria. ”Con la logica del ‘che mi frega’ si diventa complici da un lato e future vittime dall’altro” ha aggiunto riferendosi alla cultura della legalita’ sul territorio. Fioroni ha parlato anche delle ronde, sostenendo ”non ho capito che senso hanno se il cittadino munito di cellulare telefona la caserma vicino casa ma il carabiniere non sa chi mandare perche’ non c’e’ personale o non ha benzina da mettere nelle auto”. Altra battuta sul tema dell’agenzia nazionale dei beni confiscati, annunciata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni: ”Deve funzionare e fare in modo che i beni confiscati non rientrino nel patrimonio delle cosche tramite prestanome”. Infine l’ex ministro ha parlato delle quote degli immigrati nelle scuole: ”E’ giusto e sacrosanto che non ci siano scuole ghetto o clasi ghetto ma non dibbiamo trasmettere la paura ai nostri figli. La differenza, invece che arricchirci, la prendiamo come elemento di minaccia”.