Abrogazione del reato di abuso di ufficio e effetti

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A seguito dell’abrogazione del reato previsto dall’art. 323 c.p., coloro che siano stati riconosciuti colpevoli del delitto di abuso d’ufficio potranno chiedere la revoca della loro condanna. L’abolizione di una fattispecie di reato, infatti, travolge anche le condanne passate in giudicato. Al riguardo, l’art. 673 c.p.p. (rubricato “Revoca della sentenza per abolizione del reato”) dispone che nel caso di abrogazione (o di dichiarazione di illegittimità costituzionale) della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revochi la sentenza di condanna o il decreto penale, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotti i provvedimenti conseguenti.

Nei confronti dei soggetti attualmente sottoposti ad un procedimento penale pendente per il fatto di reato di cui all’art. 323 c.p., potrà chiedersi l’emissione di sentenza di non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. 

Occorre, tuttavia, precisare con riguardo al futuro, che esistono altri reati contestabili ai pubblici ufficiali che violano la legge svolgendo i loro compiti, a fronte di comportamenti gravi: dal falso, alla truffa, dalla turbativa d’asta al peculato e alla corruzione.

Il reato di abuso d’ufficio è stato modificato in passato almeno tre volte. La prima riforma dell’abuso d’ufficio è stata fatta nel 1990 durante il sesto governo Andreotti, e ha cercato di chiarire meglio l’ambito del reato, prevedendo per esempio che possa essere commesso anche da un incaricato di pubblico servizio. Questo è il caso dei controllori sui treni o degli autisti di autobus, che nello svolgere le loro funzioni sono ufficiali pubblici a tutti gli effetti. Nel 1997 è stata fatta una seconda riforma per limitare il reato, questa volta dal primo governo guidato da Romano Prodi. Questa riforma ha introdotto il principio del cosiddetto “dolo intenzionale”, secondo cui per punire l’ufficiale pubblico sarebbe stato necessario che quest’ultimo avesse come unico scopo della sua condotta quello di procurare un vantaggio a sé o ad altri, o di arrecare un danno, in assenza di un interesse pubblico. L’ultima riforma del reato di abuso d’ufficio è stata fatta nel 2020 dal secondo governo Conte. Quella riforma ha precisato che l’abuso d’ufficio si verifica solo quando c’è la violazione di «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». In altre parole, nell’ultima versione dell’abuso d’ufficio prima dell’abolizione, l’ufficiale pubblico poteva essere punito solo se avesse violato una legge e non altri atti di livello inferiore, come i regolamenti.

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Secondo alcuni esperti ci sarebbero almeno tre situazioni in cui un pubblico ufficiale potrebbe non essere più sanzionato per una condotta scorretta a causa dell’abolizione dell’abuso d’ufficio. 

La prima condotta è il cosiddetto “abuso di vantaggio”, ossia quando il pubblico funzionario agisce intenzionalmente per ricevere o dare un vantaggio ad altri. «È il caso, per esempio di chi vuole truccare un concorso, per assumere magari in un ente pubblico la sua amante o il figlio di un amico, e per questo viola le procedure di concorso», ha spiegato Gatta. L’anno scorso la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per abuso d’ufficio nei confronti di un direttore di un ente pubblico che aveva assunto una candidata con cui aveva un rapporto sentimentale.  

La seconda situazione che potrebbe restare impunita è “l’abuso di danno”, ossia quando un funzionario pubblico procura ad altri un danno, come quando un cittadino che ha il diritto di costruire su un terreno si vede negato questo diritto da un amministratore locale per un motivo futile o ingiustificato. «Oppure è il caso di un magistrato in malafede che fa sparire un elemento di prova a favore di un indagato, recandogli quindi un possibile danno».

La terza situazione di rischio riguarda il conflitto di interessi, dal momento che l’abuso d’ufficio punisce anche il pubblico ufficiale che compie atti in un ambito nel quale ha degli interessi personali. Sul tema del conflitto di interessi è intervenuto l’11 luglio il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), secondo cui l’abrogazione dell’abuso d’ufficio potrebbe lasciare dei vuoti nel controllo dell’imparzialità delle amministrazioni pubbliche, dal momento che senza questo reato potrebbe non essere punito «chi favorisce senza un corrispettivo economico una persona in un concorso, o chi assegna direttamente un contratto».

Secondo alcuni, con l’abolizione del reato di abuso d’ufficio tutte le condotte citate potrebbero essere sanzionate solo dal punto di vista amministrativo con la conseguenza che il cittadino che subisce situazioni del genere può solo rivolgersi — a proprie spese — alla giustizia amministrativa, e quindi al Tribunale amministrativo regionale (Tar), per cercare di annullare gli atti considerati illegittimi», ha sottolineato Gatta. Secondo altri, invece, il reato di abuso d’ufficio potrebbe essere comunque punito con l’applicazione di altri reati. 

È certo che se si abroga l’articolo 323 del codice penale almeno una parte dello spazio occupato dall’abuso d’ufficio sarà coperto da altre incriminazioni, come quella concernente il reato di “omissione di atti d’ufficio”, previsto dall’articolo 328 del codice penale, la “turbata libertà delle gare” e la “turbata libertà del procedimento di scelta del contraente”, puniti rispettivamente dagli articoli 353 e 353-bis del codice penale.

Occorre, infine, precisare che a fronte dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto “Carceri” che prevede anche l’introduzione di un nuovo reato contro la pubblica amministrazione. Si tratta del reato di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, inserito all’articolo 314-bis del codice penale. Questo reato punisce con una pena da sei mesi a tre anni di carcere i pubblici ufficiali che utilizzano denaro o un altro tipo di bene pubblico a loro disposizione per un obiettivo diverso rispetto a quello per cui lo hanno ricevuto. Un esempio è un dirigente pubblico che utilizza un immobile messo a sua disposizione come ufficio per organizzare una festa privata. 

Probabilmente, il governo ha dovuto creare il reato di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” in virtù della direttiva approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea il 5 luglio 2017 impone (art. 4, comma 3) agli Stati di punire gli ufficiali pubblici incaricati di gestire beni e fondi pubblici e che li usano invece per scopi diversi da quelli prescritti.

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