Il furto di energia elettrica

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Si tratta di una vera e propria fattispecie di reato, disciplinata con rigore dal Codice Penale. L’energia è considerata a tutti gli effetti un bene che può essere rubato, e le modalità con cui avviene la sottrazione comportano quasi sempre l’applicazione di circostanze aggravanti che rendono la posizione dell’autore ancora più seria.

L’oggetto del reato è l’energia elettrica stessa, che la legge equipara a una “cosa mobile” in quanto dotata di un valore economico autonomo.

La condotta consiste nell’impossessarsi dell’energia sottraendola a chi la detiene legittimamente (la società erogatrice o un altro utente, come nel caso del condomino che collega il proprio appartamento all’impianto delle parti comuni o, peggio, al contatore di un vicino ignaro).

Il reato è permanente poiché la sua consumazione si protrae per tutto il tempo in cui il soggetto continua a fruire illecitamente dell’energia.

Il colpevole deve agire con il “fine di trarne profitto” (è il cosiddetto dolo specifico). Questo profitto non deve essere necessariamente monetario; è sufficiente lo scopo di ottenere un vantaggio, come quello di alimentare la propria abitazione o la propria attività commerciale senza pagare il corrispettivo dovuto.

Le modalità con cui un privato cittadino può commettere questo reato sono diverse, ma tutte riconducibili ad alcune tipologie principali, ciascuna con una sua precisa qualificazione giuridica.

L’ipotesi più chiara di furto è quella di collegare il proprio impianto direttamente alla rete di distribuzione, bypassando completamente il contatore. Questa condotta integra quasi sempre il furto aggravato da violenza sulle cose, poiché richiede una manomissione, anche minima, dei cavi della rete pubblica (Cassazione Penale, Sez. 4, n. 2291 del 20 gennaio 2021).

Lo stesso dicasi per quelle condotte finalizzate a ingannare il sistema di misurazione, alterandone i meccanismi di funzionamento (Cassazione Penale, Sez. 5, n. 7208 del 24 febbraio 2021).

La responsabilità penale investe anche chi non ha materialmente realizzato l’allaccio abusivo, ma ne fruisce consapevolmente, come ad esempio colui che prende in affitto un appartamento con un impianto elettrico illegale e continua a utilizzarne l’energia (Cassazione Penale, Sez. 5, n. 24592 del 23 giugno 2021). Non è quindi necessario essere l’autore materiale della manomissione per essere considerati responsabili.

Con la “Riforma Cartabia”, il reato di furto semplice è diventato procedibile solo a querela della persona offesa. Tuttavia, questa novità non ha avuto effetti sul furto di energia elettrica considerato che questo reato è quasi sempre accompagnato da circostanze aggravanti, che lo rendono procedibile d’ufficio (ovvero lo Stato procede penalmente anche senza una querela formale della società elettrica).

Oltre alle aggravanti già viste (violenza sulle cose e mezzo fraudolento), quella quasi sempre presente è la sottrazione di cose destinate a pubblico servizio (art. 625, n. 7, c.p.). La giurisprudenza consolidata ritiene che l’energia elettrica erogata tramite la rete di distribuzione nazionale sia, per sua natura, un bene destinato a un pubblico servizio. Questa aggravante sussiste sempre, indipendentemente dal fatto che la società erogatrice sia un ente privato (come Enel S.p.A.) o che l’allaccio avvenga in una proprietà privata. È la destinazione pubblica del servizio a contare. Di conseguenza, la contestazione stessa del furto di energia dalla rete implica di fatto la contestazione di questa aggravante, rendendo il reato perseguibile d’ufficio (Cassazione Penale, Sez. 5, n. 2116 del 17 gennaio 2025).

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