Legittima la disciplina transitoria dell’inquadramento a Ispettore Superiore ex articolo 2, comma 1 lettera i del d.lgs. n. 95/2017
Con la sentenza n. 07020/2025 del 12 agosto 2025, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha confermato la legittimità della disciplina transitoria relativa al passaggio alla qualifica di ispettore superiore previo scrutinio per merito di coloro che alla data del 10 gennaio 2017 avevano maturato una anzianità pari o superiore a nove anni nel ruolo di ispettore capo.
La questione si può riassumere nei termini che seguono.
Come previsto dall’art. 8, comma l, lettera a) della L. 7 agosto 2015, n. 124 (”Deleghe al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”) i decreti legislativi successivamente emanati (d.lgs. n. 95/2017 “riordino”, d.lgs. n. 126/2018 “primo correttivo” e d.lgs. n. 172/2019 “secondo correttivo”) hanno introdotto un nuovo assetto funzionale ed organizzativo della Polizia di Stato con la revisione della disciplina del reclutamento, dello stato giuridico e della progressione di carriere e previsto le relative disposizioni transitorie per agevolare il passaggio dal vecchio regime (DPR 24 aprile 1982 n. 335) al nuovo ordinamento.
Con la disciplina transitoria di cui all’art. 2, comma 1 lettera i del d.lgs. 2017, è stato previsto che “gli ispettori capo che al 10 gennaio 2017 hanno maturato una anzianità nella qualifica pari o superiore a nove anni, sono promossi, con decorrenza 1° gennaio 2017, previo scrutinio, a ruolo aperto, per merito comparativo, alla qualifica di ispettore superiore”.
Detta norma, in via eccezionale e derogatoria ha consentito a tutti gli ispettori capo all’epoca in servizio in possesso dell’anzianità minima prescritta di transitare senza limiti di ruolo e a prescindere dal titolo di studio, a regime richiesto per l’accesso alla qualifica superiore, mentre nell’assetto normativo previgente di cui al D.P.R. 335/1982 l’avanzamento di carriera dalla qualifica di ispettore capo a quella di ispettore superiore-sostituto ufficiale di pubblica sicurezza avveniva dopo otto anni ma a ruolo chiuso.
Ciò premesso, un gruppo di Ispettori della Polizia di Stato si rivolgeva al TAR del Piemonte chiedendo l’annullamento del decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza del 28 dicembre. 2017 n. 333/-C/2/Sez. 1^/9017-B6, notificato dal 19 febbraio 2018, che aveva disposto la promozione per merito comparativo dei ricorrenti a “ispettore superiore” della Polizia di Stato a decorrere dal 1° gennaio 2017, nella parte in cui non riconosceva loro l’anzianità di servizio maturata nella qualifica di “ispettore capo” quantomeno nella parte eccedente quella minima necessaria per la promozione.
In pratica, i ricorrenti, tutti ispettori capo di polizia con elevata anzianità nel ruolo transitati nella qualifica di “ispettore superiore” avevano lamentato una grave disparità di trattamento rispetto agli ispettori con minore anzianità e di aver subito un danno, per non essere stata loro riconosciuta l’anzianità di servizio eccedente rispetto a quella minima prevista per il transito. Sostenevano che la riforma dei ruoli e delle carriere introdotta dal d.lgs. 95/2017 e la mancata valorizzazione a tale fine dalla disciplina transitoria del criterio “della professionalità acquisita nello svolgimento del servizio” avrebbe reso vano il loro legittimo interesse di raggiungere la qualifica apicale o di raggiungerlo molto prima.
Rappresentavano che con il vecchio regime erano necessari soltanto 17 anni di servizio per raggiungere la qualifica apicale da quella iniziale a viceispettore, mentre con il nuovo regime vengono richiesti 26 anni.
Il Tribunale respingeva il ricorso ritenendolo infondato e i correnti riproponevano la questione in appello a Consiglio di Stato, chiedendo la riforma della decisione di primo grado e sollevando eccezione di legittimità Costituzionale della normativa applicata.
I Giudici del Consiglio di Stato hanno rigettato in toto le domande dei ricorrenti ritenendo anzitutto priva di fondamento la censura sulla mancata valorizzazione, da parte della norma transitoria, della professionalità acquisita nel servizio, perché il legislatore in via derogatoria ha considerato proprio l’anzianità maturata nella qualifica quale unico requisito per dare accesso a ruolo aperto alla qualifica superiore.
Lo stesso dicasi per il rilievo sulla mancata considerazione nel nuovo ruolo dell’anzianità eccedente al minimo richiesto, per il fatto che per la polizia di Stato il suddetto meccanismo non è mai stato previsto nei passaggi di qualifica, né in precedenza né all’attualità, posto che l’anzianità nella qualifica pregressa nei sistemi in esame rappresenta un fattore chiave soltanto per l’accesso alla qualifica superiore e ai fini pensionistici ma non si trascina in quella successiva, anche perché risulta assorbita dall’aumento di stipendio derivante dalla nuova qualifica.
Inoltre, precisano i giudici di palazzo Spada, “va considerato che nel pregresso sistema di progressione a ruolo chiuso non vi era uno sviluppo di carriera sicuro e predeterminato con la conseguenza che non si impone ora – stabilita la progressione a ruolo aperto sulla base di un minimo di anzianità – alcun recupero di anzianità pregressa eccedente il requisito minimo per la progressione a ruolo aperto”.
Infine, il Consiglio di Stato conclude il proprio ragionamento ricordando le considerazioni già espresse dalla Corte Costituzionale con riferimento alla precedente riforma ordinamentale delle forze di polizia. Il giudice delle leggi, con la sentenza 17 marzo 1998, n. 63, ha infatti affermato che l’art. 97 della Costituzione resta estraneo alla tutela di posizioni acquisite alla luce dell’assetto introdotto a partire dalla legge 1° aprile 1981, n. 121, considerato che le variazioni all’assetto organizzatorio della Pubblica amministrazione non sono di per sé indice di un peggioramento dell’andamento dell’Amministrazione e rientrano, invece, nelle scelte di merito del legislatore nell’ambito di un dichiarato disegno di politica normativa non tacciabile di arbitrio o irragionevolezza tendente alla razionalizzazione ed alla omogeneizzazione di situazioni strutturali, quale quelle delle Forze di polizia e delle Forze armate.
Sempre con riferimento alla medesima riforma, la Corte Costituzionale, nella sentenza del 30 aprile 1999, n.151, ha affermato l’esistenza di un’ampia discrezionalità del legislatore in tema di inquadramento del personale e di articolazione delle qualifiche, specie nel passaggio da un ordinamento all’altro (v., da ultimo, sent. n. 217 del 1997; sent. n. 4 del 1994; sent. n. 448 del 1993 e sent. n. 324 del 1993); e ancora che non sussiste un principio alla stregua del quale, in caso di inquadramento in un ruolo superiore o sovraordinato, debba essere garantita la conservazione della anzianità (…); che non si può ravvisare lesione dell’art. 97 della Costituzione per il fatto che siano intervenute variazioni nell’assetto organizzatorio della Pubblica Amministrazione, che non sono di per sé indice di peggioramento anche se accompagnate da minori accrescimenti di posizioni economiche o di svolgimento di carriera di singoli o di gruppi di dipendenti, che pur sempre hanno ottenuto vantaggi e miglioramenti tutt’altro che insignificanti, anche se in misura inferiore a quanto desiderato dagli stessi; ciò quando le variazioni si inseriscono in un disegno dichiarato di politica normativa e in scelte (non palesemente arbitrarie né manifestamente irragionevoli) discrezionali, tendenti alla razionalizzazione e alla omogeneizzazione di situazioni ordinamentali e trattamenti quali quelle delle forze di Polizia e delle Forze Armate, evitando alterazioni settoriali e rincorse di rivendicazioni (sent. n. 63 del 1998).
Secondo il Consiglio di Stato, difetta, infine, l’interesse per la censura con cui è stata denunciata la disparità di trattamento rispetto ai soggetti meno anziani, con conseguente carenza del requisito di rilevanza dell’incidente costituzionale, proprio perché si tratta di accessi a ruoli aperti, senza limiti di posti, e per questa ragione non si comprende quale sia l’effetto negativo derivato ai ricorrenti (aventi anzianità maggiore) dall’accesso reso possibile dalla norma anche colleghi con anzianità minore. Non sussiste, dunque, nessuna correlazione in termini di vantaggio o danno tra le due situazioni. Respinta, perché infondata, l’eccezione di legittimità Costituzionale.





