Applicazione degli articoli 22 e 33 della legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (legge 5 febbraio 1992, n. 104). Criteri illustrativi

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Circolare Ministeriale – Ministero per la Funzione Pubblica – 26 Giugno 1992, n. 90543/7/488.
Oggetto: “Applicazione degli articoli 22 e 33 della legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (legge 5 febbraio 1992, n. 104). Criteri illustrativi.”
Continuano a pervenire da numerose pubbliche amministrazioni richieste di chiarimenti in ordine alla corretta applicazione di alcune norme contenute nella legge quadro in materia di tutela delle persone handicappate, approvata di recente dal Parlamento.
Ciò ha determinato la necessita’ di un intervento a carattere generale da parte di questo Dipartimento al fine di consentire una uniforme applicazione della normativa in questione.
Al tal fine, si forniscono le seguenti precisazioni.
Una delle problematiche sollevate riguarda il significato che deve essere riconosciuto alla disposizione contenuta nell’art. 22 della legge n. 104 citata, la quale stabilisce che “Ai fini dell’assunzione al lavoro pubblico e privato non è richiesta la certificazione di sana e robusta costituzione fisica”.
La problematica in discorso verte, in particolare, sulla questione della incidenza, o meno, della suddetta disposizione su quella prevista dall’art. 2 dello statuto degli impiegati civili dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, che pone tra i requisiti generali per l’accesso nella pubblica amministrazione quello della “idoneità fisica all’impiego”.
Ad avviso di questo Dipartimento, le due disposizioni sopra richiamate non sembrano tra loro compatibili, mancando peraltro nell’art. 22 ogni disposizione abrogativa del requisito di cui all’art. 2 sopracitato.
Per altro verso l’art. 22 é compreso nella legge di tutela delle persone portatrici di handicap. Pertanto l’art. 22 deve essere interpretato con riferimento alla situazione degli stessi portatori di handicap.
Per questi infatti non sarebbe fondatamente prospettabile una valutazione medico – legale sulla “sana e robusta costituzione fisica”. La presenza dell’handicap contraddice invero alla sana e robusta costituzione
L’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 dispone nel senso dell’idoneità fisica, quale presupposto per l’assunzione all’impiego. Tale idoneità costituisce un requisito eterogeneo rispetto a quello della sana e robusta costituzione.
E’ comunque fuori di dubbio che anche per le stesse persone “handicappate” non possa prescindersi – ai fini del loro accesso ai pubblici impieghi – dal possesso del requisito generale dell’idoneità all’impiego prescritto dal predetto art. 2, compatibilmente – si intende – con la natura dell’handicap.
Questa affermazione è deducibile anche dall’art. 19 della legge n. 104, che affronta il problema degli handicappati psichici.
Per quanto concerne poi le numerose problematiche che pone l’art. 33 della legge in esame, preordinato alla determinazione delle agevolazioni riconosciute ai più stretti familiari delle persone handicappate al fine di garantire loro un’idonea assistenza, si fa presente che alcune di tali problematiche riguardano, in particolare, il primo comma di detto art. 33, la cui formulazione é la seguente:
1. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, hanno diritto al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui all’art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
Il primo quesito riguarda il significato da dare ai termini “lavoratrice” e “lavoratore” usati dal legislatore con riferimento ai genitori, anche adottivi, del minore handicappato”.
L’avviso del Dipartimento al riguardo è nel senso che il termine lavoratore riferito al coniuge del dipendente pubblico, sta a significare l’espletamento di qualunque tipo di attività lavorativa (lavoratore subordinato, attività commerciale, industriale o professionale, ecc.).
Si deve quindi dedurre che il beneficio previsto dal suddetto primo comma non competente qualora uno dei genitori del minore handicappato non svolga alcuna attività lavorativa e non si trovi inoltre nell’impossibilità materiale (in quanto – ad esempio – ricoverato in un struttura sanitaria oppure affetto da una gravissima malattia) di assistere il minore.
Quanto poi all’entità del beneficio previsto, esso non può che consistere – stante il richiamo all’art. 7 (primo comma) della legge sulle lavoratrici madri 30 dicembre 1971, n. 1204 – in un periodo di astensione facoltativa che può giungere, nel massimo fino a tre anni (prolungamento di tale astensione fino atre anni del periodo di sei mesi previsto, durante il primo anno di vita del bambino, dal richiamato art. 7 in favore di uno dei genitori). Tale periodo – salvo il limite insuperabile del compimento del terzo anno di vita da parte del bambino – è suscettibile di frazionamento.
In ogni caso, ai fini del godimento del beneficio in discorso, il primo comma dell’art. 33 richiede il concorso anche delle seguenti condizioni:
a) esistenza nel minore di un handicap grave accertato ai sensi dell’art. 4, comma 1, della stessa legge n. 104;
b) risultanza – in base ad idonea certificazione (atto di notorietà, autocertificazione, ecc., salvo per la pubblica amministrazione la possibilità di compiere eventuali verifiche) – che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
Si segnala con riferimento a quest’ultimo requisito, che l’eventuale difformità rispetto alla realtà delle dichiarazioni sostitutive o degli atti notori implica il rischio della commissione dei reati di falso.
Per quanto concerne poi il trattamento giuridico ed economico da riconoscere al dipendente pubblico in astensione facoltativa dal lavoro quale beneficiario del primo comma dell’art.33, la normativa applicabile è la stessa che disciplina l’istituto dell’astensione facoltativa (articoli 7, terzo comma, 13, secondo comma, e 15, secondo comma, della legge sulle lavoratrici madri n. 1204 del 1971).
Il secondo comma dell’art. 33 prevede, inoltre, che uno dei genitori, ove ricorrano le condizioni richieste per poter beneficiare del primo comma, può usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di “permesso giornaliero retribuito” fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.
Tale disposizione, per la sua linearità, non presenta ovviamente alcuna difficoltà interpretativa.
Rimane solo da evidenziare che, ove il rapporto di lavoro del titolare del beneficio in questione sia a tempo parziale o comunque con orario di lavoro inferiore alle sei ore giornaliere, il permesso retribuito – alla stregua del principio desumibile da quanto previsto dal primo comma dell’art. 10 della legge n. 1204 – è limitato ad una sola ora giornaliera.
Particolare attenzione merita invece la disposizione di cui al terzo comma del più volte citato art. 33, la quale prevede la possibilità per il genitore del minore handicappato grave, che abbia già compiuto il terzo anno di vita (nell’ipotesi in cui l’altro coniuge sia anch’esso lavoratore) , oppure per colui, parente o affine entro il terzo grado, che assista una persona adulta con handicap grave (non ricoverata a tempo pieno)e sia con essa convivente, di ottenere mensilmente fino a tre giorni di permesso non retribuito, fruibili anche in maniera continuativa.
Stando al contenuto letterale della norma, tali permessi non possono essere frazionati in ore, non sono cumulabili con quelli dei mesi successivi, non sono altresì assoggettabili- in mancanza di una espressa previsione legislativa – alla disciplina del recupero, né tanto meno consentono, in quanto non retribuiti (la non retribuibilità degli stessi si ricava chiaramente dalla diversa espressione usata dal legislatore nel terzo comma allorquando ha previsto il caso del “permesso retribuito”), di essere considerati come congedo straordinario.
Inoltre nell’ipotesi della persona maggiorenne handicappata grave assistita dal parente o affine entro il terzo grado, condizione sufficiente per ottenere il beneficio di cui al terzo comma dell’art. 33 è che quest’ultimo, oltre ad essere ovviamente un lavoratore, abbia anche un rapporto fiduciario con l’assistito e sia in grado di assolvere i compiti propri dell’assistenza.
Il quarto comma dell’art. 33 stabilisce inoltre che, in caso di concessione dei permessi previsti dai precedenti commi 2 (due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, in alternativa all’estensione facoltativa prevista dal primo comma) e 3 (tre giorni di permesso mensile non retribuito per il periodo successivo al compimento del terzo anno di vita del bambino), le assenze dal lavoro che essi determinano pur essendo computate nell’anzianità di servizio, incidono negativamente sul congedo ordinario e sulla tredicesima mensilità,
limitandone rispettivamente la durata e l’importo.
Lo stesso comma stabilisce altresì che i predetti permessi sono cumulabili con quelli previsti dall’art. 7 della legge n. 1204 del 1971.
A tale riguardo si precisa che, poiché le assenze dal lavoro previste dal richiamato art. 7 della legge n. 1204 riguardano l’intero arco della giornata lavorativa, e non ne consentono quindi il frazionamento in ore, il termine “cumulo “, usato dal legislatore, ove riferito alla stessa persona, risulterebbe del tutto improprio, in quanto si verrebbe a determinare il totale riassorbimento nel beneficio previsto dall’art. 7 della legge n. 1204 di quello indicato sia dal comma 2 che dal comma 3 dell’art. 33 della legge n. 104.

Per “cumulo” non può pertanto che intendersi la possibilità di attribuire contemporaneamente i benefici recati dall’art. 33 (commi 2 e 3) della legge n.104 e dall’art. 7 della legge n.104 ai due coniugi alternativamente, in modo cioè che a ciascuno di essi competa uno dei benefici in questione.

Quanto sopra presuppone ovviamente la presenza nel nucleo familiare di un secondo figlio di età inferiore ai tre anni.

Qualche problema pone, altresì, l’applicazione della disposizione contenuta nel sesto comma dell’art. 33, soprattutto nella parte in cui essa prevede la possibilità per la persona maggiorenne handicappata grave di usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3.

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Stando infatti alla formulazione letterale della suddetta disposizione, i permessi retribuiti previsti dal secondo comma – così come quelli di cui al terzo comma – possono essere concessi all’avente diritto per tutta la durata del rapporto d’impiego (sia pure con le stesse limitazioni previste dal comma 4 in ordine al congedo straordinario e alla tredicesima mensilità), mentre – come innanzi evidenziato – il permesso retribuito di due ore al giorno previsto dal comma 2 compete – in alternativa al beneficio di cui al comma 1 – al genitore che assiste il minore handicappato grave, fino al compimento del terzo anno di vita di quest’ultimo.

Relativamente poi al diritto, riconosciuto all’handicappato grave dallo stesso sesto comma, “di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio”, è il caso di precisare che trattasi di diritto da far valere soltanto nell’ambito della medesima amministrazione o ente di appartenenza.

A quanto finora evidenziato si ritiene infine opportuno aggiungere che la normativa recata dall’art. 33 della legge n.104 non presenta alcuna interferenza con le disposizioni recanti benefici nei confronti dei portatori di handicap, contenute nei decreti recettivi degli accordi sindacali stipulati per il triennio 1988-90 in favore del personale appartenente ai vari comparti di contrattazione pubblica.

Tali disposizioni infatti, riguardando il caso del dipendente che si sottopone ad un progetto terapeutico destinato al suo recupero, disciplinano fattispecie diverse.

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