Dimissione dai corsi di formazione per maternità. Importante ordinanza del TAR Lazio

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Il TAR Lazio, con l’ordinanza n. 01008 del 16 febbraio 2022,si è espresso con una importante decisione in merito al ricorso azionato da una frequentatrice dimessa, a causa dello stato di gravidanza, da un corso di formazione per l’accesso ai ruoli direttivi della Polizia di Stato.

L’interessata lamentava il fatto che, pur essendo stata ammessa al successivo corso, e sebbene le fosse stata riconosciuta la medesima decorrenza giuridica degli altri frequentatori del corso da cui era stata dimessa, era stata inserita nel ruolo del personale dopo l’ultima classificata nel corso medesimo. Rivendicava in altri termini il diritto ad essere inserita nella graduatoria del corso da cui era stata dimessa, in ragione del voto finale conseguito al termine del corso di recupero. Nonché il diritto ad essere ristorata per la mancata corresponsione di emolumenti nel periodo di astensione obbligatoria per la maternità.

Della questione la Segreteria Nazionale del Siulp aveva già investito il Capo della Polizia, al quale è stata trasmessa una dettagliata nota (pubblicata nell’edizione speciale del Flash n. 4 del 2022) che sollecitava un intervento del vertice dipartimentale per adeguare le prassi dell’Amministrazione ai principi dell’ordinamento comunitario, siccome interpretati dagli arresti della Corte di giustizia dell’Unione europea.

La Curia comunitaria, infatti, ancora nel 2014, con una sentenza di inequivocabile tenore, aveva chiarito come, alle frequentatrici di corsi di formazione per l’accesso ai ruoli delle forze di polizia in gravidanza, dovesse essere assicurato, in termini giuridici ed economici, il medesimo trattamento riservato a tutti gli altri frequentatori vincitori del medesimo concorso. E come, in ogni caso, quando pure a causa della gravidanza non avessero potuto completare il corso di formazione, dovessero essere approntati percorsi formativi di recupero al termine dei quali le interessate dovevano essere inserite nei ruoli senza alcuna penalizzazione rispetto agli altri pari corso originari.

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Ciò alla stregua di quanto previsto dalla Direttiva 2006/54/CE, la quale, come stabilito dalla Corte europea, in quanto appartenente alla categoria degli atti normativi c.d. self executing, deve trovare diretta applicazione negli stati membri, con conseguente diretta disapplicazione da parte del giudice nazionale della disciplina interna che fosse eventualmente con essa in contrasto.

Avendo eccepito come alla contestata collocazione in ruolo conseguisse un potenziale irreparabile pregiudizio nello scrutinio per merito comparativo previsto a breve termine, l’interessata ha chiesto anche che il TAR Lazio sospendesse cautelarmente l’impugnata graduatoria, assumendo le correlate determinazioni. Tesi che il Tribunale amministrativo capitolino ha apprezzato, accogliendo integralmente le istanze della ricorrente, disponendone l’immediato inserimento nella graduatoria del corso da cui era stata dimessa nella posizione corrispondente al voto finale conseguito al termine del corso successivo dalla stessa frequentato.

Valutata poi la necessità di definire sollecitamente la controversia anche nel merito, il TAR Lazio ha disposto che l’udienza di discussione venisse celebrata il prossimo mese di dicembre.

La soddisfazione per questo risultato, conseguito anche grazie alla consulenza che la Segreteria Nazionale ha offerto allo Studio Legale Pansini che ha patrocinato la causa, compensa solo in parte l’amarezza per l’atteggiamento assunto dall’Amministrazione. La quale non solo è rimasta inerte di fronte alla clamorosa violazione delle tutele in narrativa, che era stata puntualmente segnalata alle competenti articolazioni dipartimentali.

I responsabili delle quali avrebbero quindi potuto, e financo dovuto, attivarsi per una quanto mai opportuna rideterminazione in via di autotutela decisoria.
Ma pure ha sostenuto con rara veemenza la propria posizione, proponendo nelle memorie di causa imbarazzanti eccezioni. La difesa erariale ha infatti affermato che fosse stata correttamente fatta applicazione all’art. 3, comma 7 quater, del D. L.vo 95/2017, introdotto dall’art. 37 del D. L.vo 172/2019. Norma che, secondo l’Amministrazione resistente, riconoscerebbe alle frequentatrici dimesse a causa dello stato di gravidanza il solo diritto ad essere ammesse al corso successivo, e nessuna ulteriore salvaguardia.

Tesi che il patrocinatore della ricorrente non ha avuto difficoltà a demolire. Spiegando al Collegio giudicante come alla parte datoriale pubblica fosse sfuggito un non irrilevante dettaglio. E cioè che il D. L.vo 172/2019, pubblicato sulla G.U. del 5 febbraio 2020, fosse entrato in vigore solamente il 20 febbraio seguente. Cioè due mesi esatti dopo che la ricorrente era stata dimessa dal corso. E non potesse quindi, ratione temporis, disciplinare il caso di specie.

Al netto della censura di questo inquietante svarione, è stato ribadito come, anche a voler ammettere in via di pura ipotesi che fosse possibile fare riferimento alla richiamata novella, la stessa non avrebbe mai potuto superare i principi enunciati in materia dalla Corte di Giustizia UE, stante la prevalenza degli stessi sulle norme del diritto interno, ed il conseguente dovere incombente sul giudice nazionale di dare ad essi diretta applicazione.

Tesi, quella della ricorrente, che, come detto sopra, il TAR ha ritenuto meritevole di apprezzamento, disponendo la concessione della invocata tutela cautelare.

Sarà ora interessante seguire lo sviluppo della controversia per vedere in che termini, in sede di merito, il Giudice adito valorizzerà anche le altre richieste ripristinatorie di natura patrimoniale dedotte nel ricorso introduttivo. E questo perché da un eventuale accoglimento, anche parziale, delle proposte rivendicazioni economiche discenderebbe una responsabilità erariale incombente su chi ha adottato le contestate, palesemente illegittime, determinazioni.

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