Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5854/2025 del 7 luglio 2025, ha stabilito che i dipendenti pubblici possono svolgere attività agricola occasionale con partita IVA, se priva di fini imprenditoriali
La decisione nasce dal ricorso di un maresciallo della Guardia di Finanza, sanzionato per aver aperto una partita IVA legata a un’attività agricola occasionale. Secondo i giudici di Palazzo Spada, nessuna legge vieta a un dipendente pubblico di dedicarsi alla coltivazione di terreni di proprietà, anche se dotato di partita IVA, quando l’attività non ha carattere professionale.
Il Consiglio di Stato ha confermato che la normativa vigente non vieta l’attività agricola occasionale ai dipendenti pubblici. L’art. 60 del D.P.R. 3/1957 e l’art. 53 del T.U.P.I. vietano lo svolgimento di attività commerciali o industriali, ma non includono nel divieto la coltivazione di terreni propri, se priva di carattere imprenditoriale.
In riferimento al contenuto, in senso contrario di alcune circolari interne diramate dalle amministrazioni pubbliche, il Consiglio di Stato ha precisato che queste ultime, non avendo forza di legge, non possono introdurre divieti che non trovano fondamento in una norma primaria. Pertanto, il semplice possesso di una partita IVA, se legato alla gestione di un fondo rustico per uso personale o familiare, non costituisce violazione disciplinare.
Il Consiglio di Stato ha ricordato che il diritto di proprietà, garantito dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, include anche la possibilità di coltivare la propria terra. Restringere questo diritto senza una base normativa solida significherebbe comprimere in modo irragionevole le libertà del cittadino lavoratore.
Diversamente opinando, si arrecherebbe un vulnus al nucleo essenziale delle prerogative dominicali e all’effettività del diritto fondamentale di proprietà, tutelato dall’art. 42, comma 2, della Costituzione e dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, imponendosi, invero, senza espressa copertura normativa, una ingiustificata e irragionevole limitazione al pieno godimento di un bene immobile e alle sue potenzialità reddituali, contrastante con l’utilizzo redditizio da parte di un pubblico dipendente (anche militare) di altri tipi di beni immobiliari, quali, ad esempio, appartamenti, villette e ville, che, infatti, possono essere legittimamente concessi in locazione.