Erogazione del Trattamento di fine servizio in forma dilazionata e rateizzata

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Ultimo aggiornamento 10/06/2022

Costituzionale la normativa che prevede l’erogazione del Trattamento di fine servizio in forma dilazionata e rateizzata

Con l’ordinanza n. 06223 del 17 maggio 2022, il TAR del Lazio (sezione terza quater) ha rimesso alla Corte Costituzionale, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 2, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell’articolo 12, comma 7, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla 30 luglio 2010 n. 122, per contrasto con l’art. 36 Cost.

Le disposizioni censurate riguardano l’erogazione in forma dilazionata e rateizzata del trattamento di fine servizio (liquidazione).

L’eccezione di legittimità costituzionale è stata formulata nell’ambito di un giudizio proposto da un dirigente della Polizia di Stato in pensione, finalizzato al riconoscimento del diritto a percepire il TFS senza dilazioni e senza rateizzazione con condanna dell’INPS a liquidare e a corrispondere senza dilazione l’intero importo dovuto oltre interessi e rivalutazione.

È importante precisare che, preliminarmente, il Tribunale ha respinto l’eccezione di incompetenza per territorio con l’argomentazione che la regola del foro del pubblico impiego deve essere letta in ragione dello scopo che, per opinione comune, è quello di render più agevole ai dipendenti pubblici l’accesso alla tutela giurisdizionale.

In particolare, i Giudici amministrativi hanno richiamato la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/1980, secondo cui “nel sistema delineato dalla legge n. 1034 del 1971 istitutiva dei TAR (art. 2 e 3) la competenza di cui al comma 3 dell’art. 3 (identica alla regula juris di cui al secondo comma dell’art. 13 c.p.a.) ha natura generale, ma residuale, nel senso che essa ricomprende tutti i casi di impugnativa di atti emessi da organi centrali dello Stato (o di enti pubblici a carattere ultraregionale) che non ricadano nel foro dell’efficacia territoriale dell’atto, o, rispettivamente, in quello della sede di ufficio; ne consegue che la competenza a decidere dell’impugnativa di un atto – attributivo di pretese patrimoniali in capo al ricorrente – emesso da un organo centrale dello Stato in relazione ad un pregresso rapporto di pubblico impiego alle dipendenze dello stato stesso si determina non già con riferimento al cit. comma 3, sebbene con riferimento al foro dell’efficacia territoriale dell’atto, individuato dal comma 2 dello stesso art. 3, ciò in quanto gli effetti dell’atto, essendo necessariamente riferiti ad un determinato soggetto, acquistano per effetto della soggettivizzazione una ben chiara dimensione territoriale: pertanto la competenza non spetta né al TAR del Lazio, né della sede del pregresso rapporto di servizio, bensì alla competenza del TAR del luogo di residenza dell’ex impiegato”.
Ritenuta ammissibile l’impugnazione, il Tribunale ha poi giudicato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità Costituzionale.

Secondo il Tribunale rimettente, Il dubbio di incompatibilità tra gli artt. 3, comma 2, del d.l. n. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, con l’art. 36 Cost. è alimentato dall’esame della giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, con particolare riguardo alla sentenza n. 159 del 25 giugno 2019, che, nel ritenere non fondate le eccezioni di incostituzionalità degli articoli sopra detti con particolare riguardo ai lavoratori che non hanno raggiunto i limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, ha ritenuto che “La disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto, conquistate attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana”.

Secondo la giurisprudenza della Corte, le indennità di fine rapporto “costituiscono parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita – appunto in funzione previdenziale – onde agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione” (sentenza n. 458/2005), ritenendosi, in sostanza, l’essenziale natura di retribuzione differita collegata a una concorrente funzione previdenziale (cfr. sentenza n. 438/2005).
L’art. 36 Cost. statuisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare e a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa.

La retribuzione, pertanto, da una parte, non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e, dall’altro, deve essere adeguata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., avendo a riguardo non solo alla entità della retribuzione, ma anche alla tempestività della sua corresponsione.
È infatti evidente, secondo il TAR, che una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente.

Anzi, proprio il carattere di retribuzione differita riconosciuta alle indennità di fine rapporto comporta la necessità che anche queste ultime debbano essere corrisposte tempestivamente e non possano essere diluite strutturalmente oltre la fuoriuscita dal mondo del lavoro.

Ciò a maggior ragione se si considera che, notoriamente, il lavoratore, sia pubblico che privato, specie se in età avanzata, in molti casi si propone – proprio attraverso l’integrale e immediata percezione di detto trattamento – di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita, ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti, magari da tempo.

Il Tribunale, infine, ricorda che la Corte Costituzionale ha più volte affermato il principio per il quale una misura quale quella in esame, per superare lo scrutinio di costituzionalità, non può riguardare un arco temporale indefinito, ma deve essere giustificato da una crisi contingente e deve atteggiarsi quale misura una tantum (sentenze n. 178 del 2015 e n.173 del 2016).

La misura in questione, al contrario, pur legata a una situazione di crisi contingente non ha una durata prestabilita ma ha assunto un carattere strutturale.

Sulla base delle considerazioni che precedono il TAR Lazio ha, ritenuto di sospendere il giudizio con trasmissione, ai sensi dell’art. 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87, degli atti alla Corte costituzionale, affinché decida della questione di legittimità costituzionale nei termini in cui è stata eccepita.

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