Genitorialità e diritti

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Avanza e si fa strada la sensazione di una aprioristica chiusura del Dipartimento della PS nei confronti dei dipendenti che invocano l’applicazione di istituti normativi essenzialmente riconducibili alla tutela della genitorialità.

Ciò emerge ad esempio rispetto all’istituto dell’assegnazione temporanea ex art. 42 bis del D. L.vo 151/2001. Al riguardo vale la pena di ricordare come il legislatore domestico, con il menzionato contenitore normativo, abbia realizzato una (invero solo parziale) armonizzazione della disciplina interna sulla tutela della genitorialità e sui diritti dell’infanzia derivante dall’adesione alle convenzioni internazionali e, soprattutto, dal recepimento delle direttive e dei regolamenti UE mirate ad incentivare, tra l’altro, una inversione nella curva della denatalità.

Nonostante la chiarezza del quadro di riferimento, da subito l’Amministrazione si è arroccata su posizioni di indistinto e generalizzato diniego, costringendo gli interessati ad agire in giudizio per veder affermati i loro diritti. Tuttavia, non appena si è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale favorevole ai ricorrenti, l’Amministrazione lungi dal prenderne atto non ha esitato a erigere una barriera normativa contro la quale si immaginava si sarebbero andate ad infrangere le pretese degli interessati.

Ciò è avvenuto attraverso, il D. L.vo 172/2019 (c.d. secondo correttivo), che all’art. 40, ha previsto che, per rigettare l’istanza – dei soli appartenenti al Comparto Sicurezza e Difesa – fossero sufficienti “motivate esigenze organiche o di servizio”.

La mano che ha infilato questa subdola e penalizzante clausola in un tessuto legislativo che paradossalmente doveva, giusta la delega parlamentare, perfezionare in melius lo straordinario impatto riformista del riordino delle carriere, contava evidentemente di poter così rendere definitivamente inapplicabile l’art. 42 bis al personale della Polizia di Stato.

In effetti questo rimaneggiamento è stato, in una prima fase applicativa, interpretato dalle corti amministrative come un insuperabile ostacolo alla concessione del beneficio ai poliziotti ed agli altri operatori del Comparto, essendosi i TAR prima facie schierati su un indirizzo che riteneva sufficiente l’eccepita sussistenza di generiche esigenze di servizio da parte delle rispettive amministrazioni.

Contro la superficiale, stereotipata ed apodittica formula utilizzata per sostenere i dinieghi opposti agli interessati si è però man mano evoluto un orientamento che ha alla fine trovato apprezzamento nella superiore giurisdizione del Consiglio di Stato, al quale si stanno allineando anche le corti regionali.
Grazie al lavoro di ricerca svolto dal SIULP che ha assistito alcuni studi legali, è emerso come i dinieghi fossero espressi a prescindere dalle effettive esigenze di servizio o di carenza organica, ed anzi, spesso in aperta e stridente contraddizione con i presupposti di fatto.

Si è così moltiplicato un defatigante contenzioso che attraversando i due gradi di giudizio amministrativo sino all’azione di ottemperanza comporta anche un rilevante danno erariale nella indifferenza di chi, evidentemente, confida in una sorta di immunità da responsabilità alle quali non sarà mai chiamato.

Ci chiediamo, allora, che senso abbia tenere aperto il tavolo di confronto paritetico chiamato ad elaborare strategie per ridurre le cause del disagio degli operatori della Polizia di Stato, nel momento in cui è l’Amministrazione stessa ad esserne fonte primaria.
La necessità di indugiare sulla riflessione che precede risulta ancora più incombente con riferimento alla tutela delle lavoratrici madri, e segnatamente di quelle, vincitrici di concorso (interno o esterno che sia), che entrano in fase di gestazione in concomitanza con lo svolgimento dei rispettivi corsi di formazione.

Si tratta di una questione che, in apparenza, è stata affrontata e risolta con il correttivo di cui già sopra ci siamo occupati. Il D. L.vo 172/2019 ha infatti positivizzato la salvaguardia delle frequentatrici dimesse dai corsi per l’accesso ai ruoli della Polizia di Stato a causa della gravidanza in essere, prevedendo il loro diritto a partecipare al primo corso utile successivo.

Tuttavia, un più approfondito esame dell’argomento rivela come tale intervento additivo abbia soddisfatto solamente in parte la necessità di allineare l’ordinamento della Polizia di Stato alla disciplina, nazionale ed eurounitaria, che presidia la tutela della lavoratrice durante la gestazione e nei periodi immediatamente successivi.

A una tale conclusione si perviene prendendo in esame un fondamentale arresto della Corte di Giustizia UE, (prima Sezione), la quale, nella causa C-595/12, si è pronunciata su una controversia avente ad oggetto l’esclusione da un corso di formazione per l’assunzione della qualifica di vicecommissario della Polizia Penitenziaria di una frequentatrice impossibilitata a concludere il corso perché in congedo obbligatorio per maternità.

La pronuncia della Corte Europea di Giustizia consente di constatare come la recente innovazione della disciplina ordinamentale della Polizia di Stato non risulti assolutamente conforme ai rigorosi criteri enunciati dalla Corte sovranazionale.

Proprio in relazione a un approccio che alimenta un massivo ricorso al contenzioso, con esiti che, come si è detto, gravano l’Amministrazione di un notevole impegno di risorse, umane e patrimoniali, finalizzate a negare l’attuazione di diritti di fondamentale rilevanza, assistiti anche da tutele di rango costituzionale, e puntualmente riconosciuti dalla giurisprudenza, il Segretario Generale del SIULP, Felice Romano, ha inviato una nota al Capo della Polizia, chiedendo un urgente momento di confronto in vista della esigenza di salvaguardare diritti e interessi legittimi tutelati a livello costituzionale.

Nota inviata dal Segretario Generale del SIULP Felice Romano al Capo della Polizia in data 21 gennaio 2022

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