Il Consiglio di Stato con la sentenza 06479/2022 del 28 agosto 2022 ha definito il caso di un Maggiore dell’Arma dei Carabinieri che ha proposto il ricorso in primo grado dinnanzi al TAR competente per territorio per l’accertamento di comportamenti vessatori riconducibili al mobbing sul posto di lavoro, e il conseguente risarcimento per i danni subiti.
Il TAR aveva precedentemente accolto il ricorso con decisione successivamente appellata dall’amministrazione interessata davanti al Consiglio di Stato.
I Giudici di palazzo Spada hanno confermato la sentenza del TAR, esprimendo una serie di importanti principi di giurisprudenza.
Premesso che il mobbing consiste “in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o da parte del suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo” (cfr. sentenza n. 359/2003 della Corte Costituzionale), il Tar, in primo grado, aveva evidenziato come l’Amministrazione si fosse limitata a constatare l’effettiva sussistenza di un intento persecutorio senza contestare la sussistenza delle numerose condotte poste in essere dai superiori contro il Maggiore.
Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza emessa dal Tar precisando che nel mobbing rientrano anche “comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti ed incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto” e che conducono a dare vita ad un “effetto lesivo della sua salute psicofisica e con l’ulteriore conseguenza”.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di questi elementi:
- Disegno vessatorio ai danni del dipendente;
- Evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
- Nesso eziologico tra la condotta del datore o superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
- Intento persecutorio.
Sulla base di tali parametri di giudizio, il Consiglio di Stato ha affermato che nel caso in esame, il fenomeno del mobbing “è emerso in modo sostanziale ed inconfutabile, sia sul piano fattuale sia su quelle teleologico”, poiché le condotte vessatorie sono state condotte con “un elevatissimo grado di probabilità logica e razionale” perseguendo una “finalità ritorsiva, espulsiva e umiliante”.
Il Consiglio di Stato ha appurato che la ritorsione nei confronti dell’Ufficiale dei Carabinieri è stata effettuata dai suoi diretti superiori a seguito e a causa dello svolgimento di accertamenti a carico un suo superiore, attraverso “una lunga serie di pretestuose vessazioni” terminata quando il Maggiore interessato è stato trasferito presso la Direzione centrale di Polizia criminale del Ministero dell’Interno.
I giudici amministrativi hanno, dunque, dichiarato la responsabilità dell’Amministrazione per la violazione dell’art. 2087 del Codice civile e condannando il Ministero della Difesa al risarcimento dei danni.