Il datore di lavoro può controllare la navigazione internet del pc aziendale 

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E’ legittimo per il datore di lavoro tracciare la “navigazione” su internet del lavoratore ai fini di una contestazione disciplinare. Prima del Dlgs n. 151/2015 invece l’utilizzo dei controlli a distanza era rigidamente limitato alle esigenze di sicurezza e tutela del patrimonio aziendale.   

Lo ha chiarito la Cassazione con sentenza n.32760/2021, respingendo il ricorso di una nota azienda del settore della moda nei confronti di un dipendente sanzionato con un giorno di sospensione dal lavoro e dallo stipendio per aver navigato nella settimana prima di Natale su siti commerciali durante l’orario di lavoro. 

Nel caso di specie i giudici di merito avevano concluso nel senso che l’attività di controllo avrebbe richiesto il previo accordo sindacale (art. 4, co. 2 Stat. Lav), in assenza del quale il comportamento addebitato non poteva essere sanzionato.  

Neanche l’azienda aveva dimostrato la finalità “difensiva” del controllo. 

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Una motivazione condivisa dalla Sezione Lavoro che ha affermato: “È bene chiarire che i fatti oggetto di causa sono precedenti l’entrata in vigore del Dlgs 14 settembre 2015, n. 151 che ha modificato in senso più restrittivo l’art. 4 L. 300/1970, stabilendo che “la disposizione di cui al comma 1 (gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale) non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. “In sostanza – prosegue la Cassazione – “dopo il cd. Jobs Act, gli elementi raccolti tramite tali strumenti possono essere utilizzati anche per verificare la diligenza del dipendente nello svolgimento del proprio lavoro, con tutti i risvolti. 

Nel precedente quadro normativo, continua la decisione, l’orientamento di questa Corte (Cass. n. 16622/2012, Cass. n.19922/2016), “da cui non si ha motivo di discostarsi, evidenziava l’effettività del divieto di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, richiedente, anche per i cd. controlli difensivi, l’applicazione delle garanzie dell’originario art. 4, secondo comma, legge 20 maggio 1970 n. 300; con la conseguenza che se per l’esigenza di evitare attività illecite o per motivi organizzativi o produttivi, il datore di lavoro può installare impianti ed apparecchi di controllo che rilevino anche dati relativi alla attività lavorativa dei dipendenti, tali dati non possono essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale dei lavoratori medesimi”. 

Ne consegue che, nel caso concreto, “i dati acquisiti dal datore di lavoro nell’ambito dei suddetti controlli difensivi non potevano essere utilizzati per provare l’inadempimento contrattuale del lavoratore”. 

Del resto, la società non aveva provato che i controlli fossero funzionali alla salvaguardia del patrimonio aziendale.  

Anzi, come correttamente sottolineato dalla sentenza impugnata, “i fatti accertati mediante il sistema informatico sono stati sostanzialmente utilizzati per contestare al lavoratore la violazione dell’obbligo di diligenza sub specie di aver utilizzato tempo lavorativo per scopi personali”. In questo senso depone anche il richiamo contenuto nella lettera di contestazione disciplinare per violazione della ‘policy’ aziendale, secondo cui la rete aziendale è esclusivamente uno strumento di lavoro, “senza fare cenno alcuno alla particolare pericolosità dell’attività di collegamento in rete rispetto all’esigenza di protezione del patrimonio aziendale”. 

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