Una critica a esponente politico espressa sui social può essere ritenuta, a livello disciplinare, lesiva dell’immagine e della imparzialità della Polizia di Stato quando l’appartenenza dell’autore del commento alle forze dell’ordine possa comunque ricavarsi da circostanze univoche e idonee a ricondurre le espressioni utilizzate a tale qualità.
Il principio è espresso nella Sentenza n. 00206/2024 del 19 marzo 2024 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia-Romagna (Sezione Prima) ha respinto il ricorso di un dipendente della Polizia di Stato che aveva impugnato la sanzione disciplinare della pena pecuniaria pari a 5/30 dello stipendio inflitta per violazione dell’art 13 co. 2 d.P.R. n. 782/85 (oltre che della Circolare del 24 ottobre 2019 emessa dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza) per aver, sulla piattaforma “Facebook”, espresso opinioni ritenute lesive del decoro delle funzioni esercitate, consistenti nell’affermazione: “Basta con questi politici nemmeno laureati che non hanno mai lavorato in vita loro”, accompagnata dal curriculum vitae del Presidente pro tempore della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.
Il Tribunale ha considerato legittima la sanzione disciplinare inflitta al ricorrente ritenendo la sua condotta “non conforme alla dignità delle proprie funzioni”.
La giurisprudenza sia civile che amministrativa ha sempre riconosciuto la pienezza della libertà di manifestazione del pensiero, anche mediante l’esercizio del diritto di critica, che deve porsi entro i consueti canoni costituzionali sostanzialmente riconducibili al rispetto della continenza, ossia del linguaggio appropriato, corretto e sereno, della pertinenza, ossia dell’esistenza di un pubblico interesse alla conoscenza del fatto, della veridicità, ossia della corrispondenza tra fatti avvenuti e riferiti […]” (in termini Cassazione civile sez. VI, 3 dicembre 2021, n.38215; T.A.R. Sicilia Palermo sez. I, 4 luglio 2023, n. 2233).
Anche nell’ambito dei procedimenti disciplinari si è affermata la non sanzionabilità di scritti o dichiarazioni anche se pubbliche che non evidenzino intenti denigratori ma che si dimensionino nell’ambito di legittime contestazioni (T.A.R. Lazio sez. I,, 4 giugno 2013, n. 5566) che “non travalichino i limiti di un intento critica, di sollecitazione, di impegno civile, di attiva partecipazione democratica” (Consiglio di Stato, sez. VI, 6 giugno 2008, n. 2720) che “non offendano in modo gratuito ed incivile le pubbliche amministrazioni di appartenenza” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 23 febbraio 1989 n. 298).
Il collegio amministrativo del Lazio ha richiamato la giurisprudenza che si è occupata dell’utilizzo da parte degli appartenenti alle Forze Armate dei c.d. social network affermando la liceità dei comportamenti ove il dipendente non faccia emergere l’appartenenza alle Forze Armate di Polizia (T.A.R. Emilia-Romagna Bologna sez. I,18 febbraio 2021, n. 124).
Tanto doverosamente premesso, si legge nella sentenza in commento, “se è vero che nel caso di specie il ricorrente non ha espressamente operato riferimento alla Polizia di Stato e/o alla sua qualità di poliziotto e che le frasi utilizzate in quanto non denigratorie né indicanti fatti falsi possono in linea di principio rientrare nell’esercizio del diritto di critica, va al contempo rilevato come la sua qualità professionale era sicuramente nota nell’ambito della ristretta comunità locale di Sant’Arcangelo di Romagna di riferimento, si che tutti gli appartenenti al gruppo facebook (noi santarcangiolesi) sapevano o potevano agevolmente conoscere tale circostanza”.
Tale elemento è, per il Collegio, dirimente per la decisione della controversia, dal momento che il riferimento alla Polizia di Stato da parte dell’esponente può essere non solo esplicito (ad es. mediante l’utilizzo di immagini in divisa) ma anche implicito, ove emergano circostanze univoche idonee a ricondurre le espressioni utilizzate ad un appartenente alle Forze dell’Ordine.
Nel caso di specie l’autore delle dichiarazioni era ben noto nella comunità locale quale appartenente alle Forze di Polizia, si che il comportamento serbato, secondo i giudici amministrativi, appare non illogicamente ritenuto dall’Amministrazione lesivo dell’immagine e della imparzialità della Polizia di Stato, in violazione del citato art. 13 co.2 d.P.R. oltre che della Circolare emanata, in materia, dal Dipartimento della P.S..
Appare, pertanto, non credibile quanto argomentato da parte ricorrente secondo cui le affermazioni in questione sarebbero “semplicemente la voce di un cittadino in merito ai temi della vita politica” dovendo ogni dipendente pubblico ed in particolare ogni appartenente delle Forze dell’Ordine esimersi dall’esprimere opinioni personali inappropriate ove riferibili alla Polizia di Stato poiché lesive dell’imparzialità di tale Corpo e del clima di fiducia che deve accompagnare l’operato della Polizia. (T.A.R. Sicilia Palermo sez. I, 4 luglio 2023, n. 2233).