Il TAR Lazio conferma nel merito la legittimità dell’obbligo vaccinale

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Nel n. 10 del 5 marzo 2022 di questo notiziario avevamo dato notizia di una serie di provvedimenti emanati dal TAR del Lazio in accoglimento di altrettante istanze cautelari ante causam in tema di obbligo vaccinale.

Nei casi di specie, si è trattato di ricorsi inoltrati da dipendenti pubblici sospesi dal proprio datore in applicazione dell’art. 2, comma 3 del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, disposizione che, com’è ben noto, ha previsto una estensione dell’obbligo vaccinale per ulteriori categorie di lavoratori oltre i sanitari.

Le istanze erano state accolte con una motivazione orientata a valorizzare il rapporto fra corresponsione della retribuzione ed esigenza di soddisfare le esigenze fondamentali della vita. In tal senso, in attesa della definizione del merito, ai ricorrenti era stato riconosciuto in via provvisoria un assegno alimentare pari alla metà del trattamento retributivo di attività.

Tuttavia, in sede di merito, la Sezione III Quater del Tar Lazio, con Sentenza n. 2455 del 02 marzo 2022 ha ribadito la legittimità dell’obbligo vaccinale di cui al d.l. n. 44/2021, chiarendo che la sospensione dal servizio e dalla retribuzione, prevista a carico del personale sanitario in ipotesi di inadempimento dell’obbligo vaccinale, non contrasta col principio lavoristico espresso dalla Costituzione.

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Analogamente, anche la prima sezione del Tar del Lazio – respingendo il ricorso presentato da 127 lavoratori del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, e della scuola, contro i provvedimenti di sospensione emessi nei loro confronti dalle amministrazioni competenti per non aver assolto all’obbligo vaccinale, ha ritenuto legittima la sospensione dalla retribuzione e dal servizio, decidendo altresì di non trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, come invece richiesto dai ricorrenti.

I giudici amministrativi hanno ritenuto «manifestamente infondata» la questione di legittimità sollevata nel ricorso dei 127 dipendenti sospesi. «Nel bilanciamento tra l’interesse dei ricorrenti ad esercitare la loro attività lavorativa e le esigenze di tutela della salute pubblica – scrive il Tar del Lazio – è chiaro come il primo sia recessivo. O meglio, lo strumento legislativo previsto per la tutela collettiva non appare sacrificare in maniera illogica, discriminatoria o eccessiva l’interesse privato». Infatti, «nell’imposizione dell’obbligo – si spiega nella sentenza – il legislatore nazionale ha scelto di procedere per gradi, principiando dai soggetti che maggiormente sono esposti al contagio e che quindi risultano potenzialmente più in pericolo: tra questi, figurano sicuramente gli odierni ricorrenti per i costanti contatti con l’utenza pubblica ed ingenerale con terze persone, anche infette. Quanto poi alle misure per rendere effettivo l’obbligo, le autorità hanno dovuto individuare il margine di compressione della libertà personale del soggetto tenuto ad assolverlo». Nella «scala di possibilità», osservano i giudici, il legislatore «ha optato per una soluzione intermedia rappresentata dall’isolamento dalla comunità lavorativa di riferimento, con sospensione dalla prestazione lavorativa: la sospensione dalla retribuzione costituisce una conseguenza naturale dal mancato servizio prestato, sicché in nessun modo può ipotizzarsi una qualche violazione dell’articolo 36 della Costituzione».

E ancora: «essendo la vaccinazione un requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative, appare logico e coerente che l’assenza di questa determini la sospensione del rapporto e della retribuzione», si legge nella sentenza, in cui si sottolinea che la «mancata risoluzione del rapporto di servizio costituisce una evidenza pratica di come il legislatore abbia adottato una soluzione bilanciata che medi tra il contenimento della pandemia e la tutela del lavoro».

Anche la limitazione temporale dell’obbligo, prevista al 15 giugno prossimo, rappresenta, secondo il Tar, «un’ulteriore prova dell’effettivo bilanciamento operato dal legislatore al fine di ridurre al minimo il sacrificio per i lavoratori che hanno deciso di non vaccinarsi». L’obbligo vaccinale «non è incompatibile con l’ordinamento liberale e democratico italiano, basato sui fondamentali principi di solidarietà sociale», scrivono infine i giudici amministrativi, secondo i quali «nessun contrasto con l’articolo 97 della Costituzione è ravvisabile nella sospensione: anzi, proprio un simile provvedimento – evidenziano – evita di mettere a repentaglio il buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche, in particolare quelle sanitarie». Dunque, nessuna trasmissione degli atti alla Consulta, data la «piena legittimità dei provvedimenti di sospensione impugnati dai ricorrenti».

Nel dichiarare il ricorso infondato, il collegio amministrativo ha richiamato la giurisprudenza che, in relazione a un ricorso del tutto analogo, ha affrontato in maniera approfondita tutte le censure poste dai ricorrenti. In particolare, con sentenza n. 7045 del 20 ottobre 2021, la III Sezione del Consiglio di Stato aveva dichiarato legittimo l’obbligo vaccinale contro il virus Sars- CoV-2 per il personale sanitario, così come previsto, per la medesima categoria professionale, dall’articolo 4 del D.L. n. 44/2021.

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