I Buoni fruttiferi postali (Bfp) sono titoli di debito emessi dalla cassa Depositi e Prestiti e distribuiti da Poste Italiane. Sono per tradizione, insieme ai libretti postali di risparmio, la forma di investimento più amata dagli italiani. I tassi d’interesse sono strettamente legati a quelli offerti dai titoli di Stato italiani. E considerato che ultimamente i rendimenti sono nulli se non addirittura negativi, viene spontaneo domandarsi se, al netto delle imposte di bollo, vale ancora la pena investire in Bfp.
Anche per i Bfp, al pari di tutti gli altri strumenti finanziari depositati, sono previsti prelievi erariali alla fonte. Il prelievo in argomento è costituito dall’imposta di bollo che è pari al 2 per mille annuo del controvalore sottoscritto e viene applicata regolarmente dal 2014. Essa scatta automaticamente con la comunicazione della rendicontazione del deposito titoli che fotografa la consistenza patrimoniale alla data di emissione.
A partire dal 2018, con l’entrata in vigore della normativa MiFID2, la rendicontazione del deposito avviene con periodicità trimestrale. Pertanto, anche l’imposta di bollo sui buoni fruttiferi postali è calcolata con la medesima frequenza e rapportata al periodo rendicontato (trimestre) sulla base del criterio “pro-rata temporis“.
A titolo di esempio, chi detiene 10.000 euro investiti i buoni fruttiferi postali corrisponderà allo Stato 20 euro (5 euro a trimestre). Il 31 dicembre le Poste applicheranno sui Bfp una trattenuta di pari importo. Esiste però una franchigia, una soglia al di sotto della quale non si paga l’imposta di bollo.Tale soglia è fissata in 5.000 euro. Se un risparmiatore possiede Bfp per un controvalore inferiore a tale cifra è sollevato dall’obbligo di versamento dell’imposta di bollo annuale. Attenzione, però, perché tale soglia limite tiene conto dei Bfp cumulati. In pratica se un investitore sottoscrive due diverse tipologie di buoni fruttiferi dal valore di 4.000 euro ciascuno, pagherà l’imposta di bollo.
Poste Italiane somma infatti i valori registrati su ogni singolo contribuente incrociando i codici fiscali. Pertanto, se si vuole evitare di pagare l’imposta di bollo è necessario, in questo caso, che i diversi Bfp non risultino intestati alla stessa persona. Al di là della tipologia dei Bfp e del tipo di risparmio che si intende sottoscrivere, è bene tener presente che sui buoni fruttiferi postali gravano altre tasse. Si tratta delle imposte sostitutive sugli interessi maturati che ammontano al 12,50%.
Cosa vuol dire? Significa che il risparmiatore, oltre al 2 per mille di imposta di bollo, dovrà corrispondere allo Stato il 12,50% di imposta sostitutiva sugli interessi maturati ogni anno. Per fare un esempio, se l’interesse lordo annuo del Bfp ammonta al 1%, al risparmiatore verrà riconosciuto lo 0,875% netto. Il trattamento fiscale sui Bfp al 12,50% è fra i più vantaggiosi in Italia. Al pari dei titoli di stato italiani e stranieri, l’aliquota stabilita dal legislatore è rimasta invariata da quando è stata introdotta nel 1997 sugli strumenti finanziari. Prima si pagava la metà e fino al 1987, quando i tassi d’interesse erano molto più alti, addirittura non si pagava nulla. Per tutti gli altri strumenti finanziari, invece, l’imposta sostitutiva è pari al 26%, il che rende l’investimento in Bfp più conveniente dal punto di vista fiscale.