IMMIGRAZIONE: SIULP rivolta al CIE di Torino ulteriore allarme di cui tenere conto

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Dopo Lampedusa anche al CIE di Torino, come il SIULP aveva preannunciato, è scoppiata l’ennesima rivolta causando feriti tra poliziotti e le altre Forze dell’Ordine ed esasperando ulteriormente i cittadini che abitano intorno al suddetto centro.
Una vera e propria reazione a catena, così come preannunciato dal SIULP da oltre un mese rimanendo inascoltato dal governo sino ai gravissimi fatti di Lampedusa.
Nell’esprimere solidarietà a tutti i colleghi che stanno pagando sulla propria pelle l’inerzia e il tentennamento del governo su questa “polveriera” la cui miccia ha già preso fuoco, il SIULP pur ritenendo positiva l’azione posta in essere per sgombrare il centro di Lampedusa, rimarca la necessità che il governo, con un vero e proprio atto di responsabilità politica ed operativa, vada fino in fondo per annullare la causa che è alla base di tutte queste rivolte.
L’assurdo, improduttivo e costoso trattenimento degli immigrati fino a 18 mesi.
Ad affermarlo Felice Romano, Segretario Generale SIULP che, nel rimarcare come il trattenimento di 18 mesi sia una vera e propria detenzione, peraltro assai più grave di quella che viene inflitta per molti dei reati inseriti nella lista di quelli che sono stati definiti di grave allarme sociale, richiama l’attenzione del Ministro sulla necessità di intervenire immediatamente per cambiare questa norma sul trattenimento sino a 18 mesi perché inutile e foriera di queste turbative.
Difatti l’azione disposta su Lampedusa, e cioè quella di decongestionare il centro, è l’intervento necessario ed indispensabile da fare su tutti i centri.
Ma per fare questo, continua Romano, l’unica strada è rivedere la norma riportando il trattenimento massimo previsto ai 6 mesi precedenti, che sono già un tempo congruo per la loro identificazione, e ad essa accompagnare il rafforzamento dei accordi bilaterali con i Paesi di provenienza.
In questi ultimi sarebbe opportuno, come hanno già fatto altri paesi Europei, ad esempio la Germania, investire per istituire scuole che insegnano l’italiano e le professionalità di cui la nostra economia può avere eventualmente bisogno.
Le necessarie risorse potrebbero derivare dall’accorciamento del trattenimento degli ospiti nei centri e, soprattutto, da un intervento mirato che omogeneizzi i costi in tutto il territorio nazionale (al CIE di Gradisca d’Isonzo il costo di ogni ospite per l’anno 2010 è stato di circa 17 mila euro a fronte dei 14 mila di un detenuto del carcere di quella provincia).
Oggi, conclude Romano, questi costi variano da 35 euro al giorno ai 70 a seconda della località e di chi assume la gestione del centro.
In un’ottica di estrema difficoltà economica e di necessaria razionalizzazione, sarebbe opportuno che il governo affidi, come per altro ha fatto per tutti gli appalti pubblici, alla CONSIP la responsabilità di fare una gara unica nazionale per l’affidamento della gestione di questi centri, in modo da ottenere omogeneità di trattamenti e risparmio della spesa.
Perché in assenza di tutto questo il dubbio legittimo che potrebbe sorgere è che forse i 18 mesi sono funzionali ad alimentare la gestione di questi centri e non al governo del fenomeno immigrazione.
Ci auguriamo che il governo non tentenni oltre.

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