Si riporta il testo della nota inviata il 12 marzo 2024 alla Direzione Centrale DAGEP”:
“abbiamo avuto modo di riscontrare come l’Ufficio preposto alla trattazione delle istanze per il riconoscimento dello status di vittima del dovere interpreti la normativa di riferimento secondo criteri che collidono con le stabili coordinate ermeneutiche tracciate dalla Suprema Corte.
Abbiamo infatti avuto riscontro di casi in cui la domanda proposta dall’interessato è stata rigettata perché presentata tardivamente, in quanto l’Amministrazione ritiene che il riconoscimento del diritto rivendicato sia assoggettato ad un termine di prescrizione decennale. E questo quando, invece, ci sono (almeno) tre diverse pronunce della Corte di Cassazione, e segnatamente le sentenze n. 17440 e 37522 del 2022, e l’ordinanza 3868/2023, che si sono inequivocabilmente espresse confermando l’imprescrittibilità delle istanze perché in subiecta materia si discute non già del riconoscimento di un diritto, quanto di uno status che, per sua natura, non è assoggettato ad alcun termine di prescrizione, ad eccezione degli eventuali ratei arretrati.
Non è dato dunque comprendere per quale ragione, a fronte di un quadro giuridico scolpito dalla univoca giurisprudenza di legittimità, si debba registrare una così pervicace ostinazione da parte dell’articolazione amministrativa di competenza che alimenta, a tacer d’altro, un contenzioso destinato a veder ineluttabilmente soccombere la parte pubblica, a carico della quale vengono altresì ritualmente poste le spese di lite.
Siamo insomma in presenza di un atteggiamento che, soprattutto in considerazione del progressivo stratificarsi di sentenze della Suprema Curia favorevoli ai dipendenti interessati, si presta ad andare incontro a severe reprimende di temerarietà, e quindi con ancora più onerose ricadute a carico dell’erario, e con la non trascurabile eventualità che vengano individuati profili di danno erariale a carico dei responsabili del procedimento.
Riteniamo insomma che si imponga una seria riflessione circa l’opportunità di rivedere la qui stigmatizzata prassi, se non altro perché si costringe chi già ha sofferto un danno irreparabile per l’attività di servizio svolta ad impegnarsi in un oneroso, irragionevole percorso processuale.
Un ulteriore disagio che va ad aggiungersi alle già rilevanti criticità che gli operatori della Polizia di Stato incontrano ogni qualvolta devono profondere sforzi soverchianti per ottenere dall’Amministrazione il riconoscimento di diritti previsti dall’ordinamento.
Considerata dunque la delicatezza della questione qui rappresentata restiamo in attesa di un cenno di riscontro e di una auspicabile disponibilità ad un momento di confronto”.