La normativa relativa alle vittime del dovere presuppone l’esposizione a un rischio eccedente quello ordinario inerente all’attività lavorativa
Il riconoscimento dello status di vittima del dovere, e del conseguente diritto all’inserimento nell’elenco di cui al D.P.R. n. 243 del 2006, ex art. 3, comma 3, ai fini dell’attribuzione dei benefici assistenziali previsti dalla legge n. 266 del 2005, art. 1, commi 563 e 564, presuppone l’esposizione, al momento del sinistro, a un rischio eccedente quello ordinario inerente all’attività lavorativa.
Il principio è enunciato nella Sentenza n. 1092/2021 del 19 giugno 2024 con la quale la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, ha respinto il ricorso prodotto da un appartenente alle Forze dell’Ordine rimasto ferito in un incidente stradale essendo stato investito da un’auto proveniente dal suo stesso senso di marcia mentre si era portato al centro della strada per intimare l’alt ad un veicolo proveniente dal senso opposto.
Interessante è soprattutto la ricostruzione normativa operata dai giudici di piazza Cavour, i quali, nella motivazione della sentenza in esame, alla luce della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24592, 9322 del 2018; Cass., Sez. U., 2 giugno 2017, n. 15484 e numerosissime successive conformi) chiariscono i criteri applicativi della normativa relativa alle vittime del dovere.
Secondo i giudici della Cassazione, la legge 23 dicembre 2005, n. 266, all’art. 1, comma 563, stabilisce che per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, art. 3 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità.
Il successivo comma 564 dell’articolo 1 precisa che sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua li decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.
In seguito, in attuazione di quanto stabilito dalla stessa legge n. 266 del 2005, art. 1, comma 565 è stato emanato, con d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, il regolamento concernente i termini e le modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, che all’art. 1, comma 1, definisce, agli effetti del regolamento:
- a) per benefici e provvidenze, le misure di sostegno e tutela previste dalle L. 13 agosto 1980, n. 466, L. 20 ottobre 1990, n. 302, L. 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e L. 3 agosto 2004, n. 206;
- b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente;
- c) per particolari condizioni ambientali o operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.
Da tale quadro normativo, argomenta la Suprema Corte, si ricava che il legislatore ha ritenuto di intervenire con due diverse disposizioni, individuando nel comma 563 della Legge n. 266/2005 talune attività che, essendo state ritenute dalla legge pericolose, se hanno comportato l’insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere e nel successivo comma 564 i benefici che spettano anche ai «soggetti equiparati», ossia a coloro che non abbiano riportato le lesioni o la morte in una delle attività (enumerate nelle lettere da a) a f) sopra richiamate) che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività, che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali.
Il modello di selezione delle attività che è possibile equiparare, ai sensi del comma 564, non opera attraverso la tipizzazione di singole attività così caratterizzate, ma volutamente risulta formulata una fattispecie aperta che tutela tutto ciò che sia avvenuto (per eccezionali situazioni) in occasione di missioni di qualunque natura.
È stata, dunque, adottata una nozione lata del concetto di missione, nel senso che la stessa riguarda tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell’ambito di strutture, stabilimenti e siti militari.
Qualunque tipo di attività e compito istituzionale può portare, in caso di infermità, ai benefici in questione.
E’, dunque, essenziale – che la vittima del dovere abbia contratto un’infermità in qualunque tipo di servizio, non essendo sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio -, che è un concetto aggiuntivo e specifico.
La nozione di «particolari condizioni ambientali o operative» è stata chiarita dal citato d.P.R. n. 243 del 2006, nel senso che rilevano: «… condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto li dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto».
Con le circostanze straordinarie e fatti di servizio si è voluto contemplare ogni possibile accadimento che abbia Comportato l’esposizione a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.
Alla luce delle considerazioni che precedono la Cassazione ha sentenziato il rigetto del ricorso per la mancanza, nel caso esaminato, delle circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto li dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto.