Per negare il beneficio, previsto dall’articolo 131-bis e del Codice penale serve la prova dell’abitualità del comportamento e del danno rilevante per la pubblica amministrazione non essendo sufficiente ad escludere il beneficio l’argomentazione dei futili motivi che inducono i furbetti del cartellino a uscire per la pausa caffè e le sigarette.
La vicenda di fatto ha riguardato due dipendenti pubblici condannati perché assenti ingiustificati in ufficio durante un controllo dei Carabinieri, dal momento che erano usciti, senza timbrare il badge, per comprare le sigarette e andare al bar.
Contro la sentenza di appello che confermava la condanna di primo grado gli interessati chiedevano la riforma della decisione di merito. Tra i vari motivi di censura veniva evidenziata la mancata applicazione della clausola generale di “non punibilità per particolare tenuità del fatto” prevista dall’art. 131-bis il quale stabilisce che la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Sul punto, La Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza in base alla quale la causa di esclusione della punibilità per parti-colare tenuità del fatto non può essere applicata ai reati necessariamente abituali ed a quelli eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica (Sez. III, n. 30134 del 5/04/2017), in quanto viene a configurarsi una ipotesi di “comportamento abituale” ostativa al riconoscimento del beneficio (Sez. VI, n. 18192 del 20/03/2019).
Inoltre, osservano i Giudici di piazza Cavour, anche in ipotesi di reiterazione non sono mancate decisioni nelle quali l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. è stata fondata sulla lieve entità delle singole condotte, isolatamente considerate. Tale soluzione poggia sulla mancata ripetizione nell’articolo summenzionato dell’inciso “anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di lieve entità”. In sostanza, tale scelta del legislatore lascerebbe aperta la possibilità, in caso di “reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”, di applicare l’art. 131-bis c.p., all’esito di una valutazione di particolare tenuità delle singole condotte o dei singoli fatti (Sez. III, n. 38849 del 5/04/2017).
La Corte ha chiarito, peraltro, che per escludere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis c.p. ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez. III, n. 34151 del 18/6/2018; Sez. VI, n. 55107 del 8/11/2018) secondo cui il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., comma 1, ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. Il, n.25234 del 14/05/2019).
Orbene, si legge nella Sentenza in esame, nel caso di specie, il primo giudice, analizzando l’ultimo profilo ovvero, se si possa riconoscere la sussistenza della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., osserva che non sussistono i presupposti per la sua applicabilità.
In particolare, tra gli elementi ostativi viene dato rilievo alla futilità dei motivi per cui gli autori hanno agito in quanto, l’allontanamento non autorizzato e non attestato integra una condotta grave, posta in essere in violazione dei basilari doveri d’ufficio e di lealtà di un dipendente verso la P.A.. Inoltre, tale condotta si sottolinea essere idonea ad incrementare un diffuso malumore verso la categoria dei pubblici dipendenti e cagionare un danno all’immagine della Casa Comunale. Inoltre, la futilità del motivo viene desunta dal fatto che l’allontanamento si è reso necessario per assecondare bisogni di vita del tutto accessori ed infine, dalle dichiarazioni del secondo ricorrente risulta che tale allontanamento non era occasionale ma anzi era una prassi, una consuetudine mattutina, radicata e addirittura abituale.
Secondo la Cassazione, nel caso di specie, l’esclusione del riconoscimento della causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c. p. non appare condivisibile.
Ed infatti, è stato valorizzato sia il complessivo disvalore della condotta, la sua gravità in rapporto alla conseguente lesione cagionata all’amministrazione (danno all’immagine e disservizio), nonché il diffuso malumore verso la categoria dei dipendenti pubblici, sia l’aspetto della abitualità della condotta che nel caso in esame, è stata desunta dalle dichiarazioni di entrambi gli imputati in quanto uno aveva dichiarato “di essere stato sfortunato perché non gli era mai capitata una cosa del genere in trentasei anni di servizio” e l’altro aveva dichiarato “che la sua condotta era una prassi che aveva attuato non solo nell’ufficio della Casa Comunale ma anche in altri uffici”.
Il Collegio, osserva come non può anzitutto attribuirsi rilievo agli argomenti da cui è stato tratto il convincimento che non si trattasse di condotte occasionali dei due ricorrenti.Ed infatti, esclusa dalla stessa consecutio logica della frase valorizzata dai giudici di merito la non occasionalità della condotta del primo ricorrente che aveva dichiarato “di essere stato sfortunato perché non gli era mai capitata una cosa del genere in trentasei anni di servizio”, atteso che da tale affermazione non può essere tratto alcun argomento a sostegno della circostanza che si trattasse cdi condotta non occasionale, in quanto costituiva al più espressione di disappunto o dispiacere del ricorrente per essere incappato in una situazione di quel tipo nel corso della sua vita lavorativa. Analogamente, quanto alla valorizzazione della frase del secondo ricorrente che aveva dichiarato “che la sua condotta era una prassi che aveva attuato non solo nell’ufficio della Casa Comunale ma anche in altri uffici”, non può alla stessa essere attribuito carattere ostativo al riconoscimento del carattere non occasionale della condotta, inquadrandosi, per esplicito riconoscimento dello stesso ricorrente, in una sorta Affidamento dipendente dalla prassi o dalla tolleranza dei superiori che, in quanto tale, pur non escludendo — per le ragioni dianzi illustrate – il dolo del reato oggetto di contestazione, può essere comunque valorizzato al fine dell’attenuazione della riprovevolezza complessiva della condotta tenuta in riferimento all’unicità della violazione accertata presso l’amministrazione comunale di appartenenza.
Inoltre, secondo gli Ermellini il riferimento alla futilità del motivo, per come interpretato dai giudici di merito è tuttavia errato in quanto, ai fini della configurabilità della presunzione di non tenuità del fatto prevista dal comma secondo, è pur sempre necessario che sussista la contestazione, quantomeno in fatto, della corrispondente aggravante prevista dall’art. 61, comma primo n. 1, cod. pen. (l’avere agito per motivi abietti o futili). Se, del resto, così non fosse si attribuirebbe al giudice il potere, destinato a sfociare nell’arbitrio in assenza di una formale contestazione dell’ipotesi aggravata, di ritenere di non particolare tenuità qualsivoglia condotta che, sulla base di parametri diversi da quello normativo indicato, seppur fondati sul prudente apprezzamento, risulti espressione, in virtù dell’apprezzamento soggettivo e personale del giudice, come ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. penale.
Detto altrimenti, seguendo in tal senso l’opinione di autorevole dottrina, “per una scelta di politica criminale del legislatore, l’offesa non può essere ritenuta tenue né quando dal contegno illecito siano derivate la morte o le lesioni gravissime della persona, né quando la condotta criminosa sia stata posta in essere in presenza di quelle peculiari circostanze indicate dalla norma – ovvero per motivi abietti o futili, o con crudeltà, o con sevizia, o per aver profittato della minorata difesa della vittima – che normalmente costituiscono delle semplici circostanze aggravanti comuni del reato”.
Sulla base delle esposte considerazioni La Corte di cassazione ha annullato la sentenza di merito con rinvio ad altra sezione Corte d’appello di Napoli, al fine di valutare la sussistenza o meno, nel caso di specie, della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.