Riposi giornalieri per allattamento al padre in caso di madre casalinga

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Ultimo aggiornamento 10/09/2021

“”Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei riposi giornalieri per allattamento, nel senso che il padre può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi””.

Il principio è stato recentemente espresso dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) con la Sentenza n. 06172/2021 del 1° settembre 2021.

Diniego permessi padre se madre è casalinga

La Sentenza citata aggiunge ulteriori elementi ermeneutici in ordine all’interpretazione dell’espressione “madre non lavoratrice dipendente”” contenuta nell’art. 6 ter della legge 9 dicembre 1977 n. 903 (introdotto dall’art. 13 l. 8 marzo 2000 n. 53) ai sensi del quale:

I periodi di riposo di cui all’articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore:

a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga;
c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente;
d) in caso di morte o di grave infermità della madre

Per meglio comprendere la problematica è bene riassumere l’excursus del quadro giurisprudenziale sin qui delineatosi:

Per quanto concerne il caso della madre non lavoratrice (es. casalinga o disoccupata), con sentenza n. 4293 del 9 settembre 2008, il Consiglio di Stato, Sez. VI, aveva dedotto, in via estensiva, che la ratio della norma in esame, “volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio”, induce a ritenere ammissibile la fruizione dei riposi giornalieri da parte del padre anche nel caso in cui la madre casalinga, considerata alla stregua della “lavoratrice non dipendente”, possa essere tuttavia “impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.

Anche il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali (circolare n. 8494 del 12.05.2009), nel condividere l’orientamento giurisprudenziale espresso dal Consiglio di Stato nella citata sentenza, riteneva che il padre lavoratore dipendente possa fruire dei riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre svolga lavoro casalingo.

Successivamente l’INPDAP, con la nota operativa n. 23/2011 precisava che l’interpretazione estensiva scaturente dagli indirizzi giurisprudenziali citati consentiva di riconoscere al lavoratore padre il diritto a fruire dei permessi previsti dall’articolo 40, lettera c), del Decreto legislativo n. 151/2001, anche nell’ipotesi in cui la madre svolga lavoro casalingo.

Infine, in merito alle condizioni di tale fruibilità, il Ministero del Lavoro, della Salute e Politiche Sociali con lettera circolare C/2009 del 16 novembre 2009 interpretava l’indirizzo del Consiglio di Stato nel senso del maggior favore del ruolo genitoriale, riconoscendo il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri ex articolo 40 del T.U. 151/2001, sempre nel caso di madre casalinga, senza eccezioni ed indipendentemente dalla sussistenza di comprovate situazioni che determinano l’oggettiva impossibilità della madre stessa di accudire il bambino.

Nonostante l’indirizzo giurisprudenziale e le circolari del Ministero del Lavoro, il Dipartimento della P.S. ha continuato a conformarsi alla tesi secondo la quale i riposi giornalieri non spettano al padre nel caso la madre sia casalinga o disoccupata, e, dopo aver ribadito detto orientamento con la circolare 557/RS/01/137/3471 del 27 luglio 2012, ha ritenuto opportuno investire, sulla tematica, la Commissione Speciale Pubblico Impiego del Consiglio di Stato, le cui conclusioni venivano espresse nell’adunanza del 23 settembre 2009 e diramate con circolare n. 333.N9807.F.6.1/9865-2009 del 17 dicembre 2009.

La citata Commissione Speciale riteneva di dovere aderire all’orientamento più estensivo del diritto, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il Consesso Amministrativo, includerebbe tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente e dunque non solo quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Tale orientamento “appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all’educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli articoli 3, 29, 30 e 31”.

Peraltro, lo stesso Consiglio di Stato, con il parere, Sez. I, 22 ottobre 2009, n. 2732, afferma che non può condividersi l’assunto secondo cui “la considerazione dell’attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali”, poiché esso oblitera l’innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell’istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita nel corso del quale spettano i permessi in questione. Del resto, secondo il citato parere del Consiglio di Stato, proprio perché i compiti esercitati dalla casalinga risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909) è del tutto incongruo dedurne, “l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico”; laddove, invece, è dato di comune esperienza che l’attività dalla stessa esercitata in ambito familiare spesso necessita, alla nascita di un figlio, di aiuti esterni (collaboratore/rice familiare e/o baby-sitter ), utilmente surrogabili, nel caso delle famiglie mono-reddito, proprio mediante ricorso al godimento dei permessi di cui all’articolo 40 cit. da parte dell’altro genitore lavoratore dipendente. Ancora, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità (Corte Cost., 1° aprile 2003, n. 104); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’onere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo.
Con la recente Sentenza n. 06172/2021 del 1° settembre 2021 qui in commento, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale rivede e corregge l’orientamento espresso nel 2008 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4293), aderendo ad un orientamento che rifugge da un approccio ermeneutico che equipari tout court la casalinga alla lavoratrice non dipendente.

Invero, secondo la sezione II dell’alto consesso amministrativo, costituisce “”indirizzo interpretativo ormai consolidato, dal quale non vi è motivo in questa sede di discostarsi (da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 4 marzo 2021, n. 1851), l’orientamento secondo cui, in conformità al tenore della norma citata, vanno negati al padre lavoratore i riposi giornalieri genitoriali in caso di moglie casalinga, poiché costei, di regola, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio (cfr. C.G.A. Sicilia, sez. giurisd., 19 febbraio 2019, n. 153; Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2018, n. 5686; id., 30 gennaio 2018, n. 628; id., 30 ottobre 2017 n. 4993)””.

Secondo i Giudici di Palazzo Spada il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi (Cons. Stato, sez. IV, n. 4993/17 cit.).

Pertanto, ove tale situazione di impedimento non venga rappresentata dall’interessato è in radice impossibile l’attribuzione del beneficio al padre per la presenza di una madre casalinga nelle condizioni di assolvere ai compiti familiari.

Con le riportate motivazioni, la Sentenza citata ha accolto l’appello dell’Amministrazione e annullato la decisione di primo grado che riconosceva ad un dipendente della Polizia di Stato il diritto di fruire dei riposi giornalieri per allattamento al posto della madre casalinga.

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