Un nostro iscritto ci chiede se il collega che si rechi fuori sede per svolgere il ruolo di difensore in un procedimento disciplinare innanzi ai consigli di disciplina abbia diritto al trattamento di missione.
L’ufficio di difensore nel procedimento disciplinare relativo al personale della Polizia di Stato, ove debba essere svolto fuori sede, non viene, in prassi, retribuito con l’indennità di missione.
L’Amministrazione si conforma attualmente al principio espresso dal Consiglio Di Stato, Sezione Terza, in Sede Giurisdizionale con la sentenza n. 3314 del 3 luglio 2015 che, accogliendo l’appello proposto dal Ministero dell’Interno, ha definito il caso di un dipendente che si era recato fuori sede per assolvere la funzione di difensore innanzi al Consiglio Provinciale di Disciplina.
Secondo i giudici di palazzo Spada, nel procedimento disciplinare del personale della Polizia di Stato (d.P.R. n. 737/1981) l’intervento di un difensore non è obbligatorio, anzi non è neppure previsto, salvo che relativamente alla discussione davanti al consiglio (provinciale o centrale) di disciplina. Tale discussione, peraltro, ha luogo solo nei procedimenti concernenti le mancanze più gravi e rappresenta solo una fase intermedia del procedimento.
Ma anche in questa ipotesi, la presenza di un difensore è facoltativa, a scelta dell’inquisito. Così l’art. 20, comma secondo, del citato d.P.R.: “Il segretario… notifica per iscritto all’inquisito che dovrà presentarsi al consiglio di disciplina….. avvertendolo che ha facoltà…. di farsi assistere da un difensore appartenente all’Amministrazione della pubblica sicurezza…”.
Stessa conclusione si ricaverebbe dal comma successivo che dispone: “Il difensore, se lo richiede, ha facoltà di prendere visione degli atti prima della data della riunione e di chiederne copia; lo stesso non può intervenire alle sedute degli organi collegiali senza l’assenso dell’interessato”, e da ulteriori passi dello stesso articolo che menzionano la presenza del difensore ed il suo intervento nella discussione orale, sempre con espressioni che ne sottolineano il carattere facoltativo, a discrezione dell’inquisito. Peraltro, secondo l’alto consesso amministrativo, che cita una decisione della Corte Costituzionale, “la mancata previsione normativa della possibilità di nominare quale difensore un avvocato – anche se il legislatore potrebbe nella sua discrezionalità prevederla seguendo un modello di più elevata garanzia – non viola né il diritto di difesa, né il principio di ragionevolezza, considerato che la stessa norma consente all’inquisito di partecipare al procedimento e di difendere le proprie ragioni”.
Ciò posto, il Collegio osserva che dalla normativa in tema emerge che l’attività del difensore, nel procedimento disciplinare, risponde solamente all’interesse dell’inquisito, tanto è vero che questi può liberamente decidere se avvalersene o meno. Allo stesso modo, è da ritenere che il collega richiesto dall’inquisito di fungere da difensore sia libero di accettare o meno l’incarico.
Non si tratta, dunque, di una sorta di munus publicum, ossia di una funzione istituzionale di garanzia nell’interesse pubblico alla corretta e imparziale applicazione della legge, come si potrebbe forse dire se – analogamente al processo penale – la presenza di un difensore fosse obbligatoria, a pena di nullità del procedimento, anche contro la volontà dell’inquisito. Nondimeno, una volta che la normativa consente all’inquisito di farsi assistere da un difensore scelto liberamente fra il personale della stessa amministrazione, è intuitivo che l’amministrazione non può ostacolare il difensore nell’esercizio delle sue funzioni e quindi deve accordargli i permessi necessari per assentarsi dal servizio nel momento in cui deve esplicare la sua attività. Secondo il Consiglio di Stato si può discutere se egli debba essere considerato in servizio oppure assente giustificato con obbligo di recupero dell’assenza, ma si tratta di altra questione che esula dal giudizio che ci occupa.
7In nessun caso, concludono i giudici amministrativi, i diritti del difensore designato (e correlativamente quelli dell’inquisito che lo ha designato) possono giungere sino al punto di mettere a carico dell’amministrazione, sotto il titolo di trattamento di missione, il costo della trasferta eventualmente necessaria.





