Premessa
Nell’attuale stesura della legge di bilancio non compare alcun segnale di attenzione per le forze di polizia. Anzi, ad essere più precisi, l’articolato normativo inviato alle Camere si occupa del personale del Comparto Sicurezza esclusivamente in malam partem, introducendo cioè misure che vanno a peggiorare l’odierno assetto del rapporto di lavoro.
Il combinato disposto degli artt. 42 e 43 della bozza stabilisce infatti l’aumento a regime di sei mesi complessivi per l’accesso alla pensione di vecchiaia senza che da ciò conseguano tangibili ricadute in ambito previdenziale.
Al contempo, contrariamente agli impegni che il Governo aveva formalmente assunto ed alle rassicurazioni che a più riprese erano state date dai titolari dei competenti dicasteri, non si vede traccia delle risorse necessarie per dare avvio alla c.d. previdenza dedicata – per la quale devono essere reperiti circa 280 milioni di euro da aggiungere ai 200 milioni già accantonati – che è un istituto chiamato a contenere i nefasti effetti provocati sulle aspettative pensionistiche della categoria dalla mancata attivazione della previdenza integrativa.
Va invero ricordato che, diversamente da tutti gli altri dipendenti pubblici che accantonano il Trattamento di fine rapporto (TFR), al personale dei Comparti Sicurezza e Difesa, ai quali si applica il diverso sistema del Trattamento di fine servizio (TFS) – che tra l’altro non consente l’erogazione anticipata di parte del montante maturato, altra questione dolente – non è consentito esercitare l’opzione di aderire a fondi previdenziali integrativi. Un secondo pilastro che il legislatore della riforma delle pensioni varata nel 1995 aveva previsto come fondamentale strumento per compensare gli effetti del graduale passaggio al sistema contributivo puro.
In altre parole, gli operatori delle forze di polizia ed i militari sono rimasti gli unici a non disporre di ammortizzatori in grado di ridurre la forbice tra lo stipendio percepito durante il servizio attivo e l’assegno di pensione, e non hanno nemmeno la possibilità di ottenere un credito anticipato pari ad una quota parte del TFS accantonato.
A ciò si aggiunga l’incomprensibile disparità di trattamento che vede le forze di polizia irragionevolmente escluse dai benefici fiscali sui trattamenti accessori, riconosciuti invece al resto del mondo del lavoro.
Non saranno forse lacrime e sangue, ma di certo, se non verranno apportate significative migliorie e se non verranno ripensate le severe – e/o non altrettanto gratificanti di quelle delle altre categorie di lavoratori – misure di contenimento allo stato definite, la disamina dell’impianto del disegno di legge di stabilità porterà in dote alle donne ed agli uomini in divisa una strenna decisamente amara.
Uno scenario che prefigura un complessivo arretramento della qualità della vita cui si associano le preoccupazioni per il ritardo nell’adozione di indifferibili provvedimenti ordinamentali necessari ad arginare i perversi effetti indotti sull’apparato preposto alla gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica dalla perversa combinazione tra il ritardo nel recupero del turn over, la perdita di preziose competenze professionali che cessano dal servizio senza poter essere sostituite ed un quadro ordinamentale ingessato e concepito per uno standard di pieno organico assai lontano dal poter essere raggiunto.
Un disarmante panorama che, quanto alla Polizia di Stato, restituisce l’immagine di un’amministrazione alle prese con un preoccupante deficit di risorse umane – 95 mila operatori in servizio a fronte dei 106 mila previsti dopo il ridimensionamento portato dalla c.d. Legge Madia, che aveva tagliato circa 10 mila posizioni – con una voragine nelle dotazioni dei livelli intermedi che rivestono la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, essenziali per le attività investigative e per l’ordinaria organizzazione degli uffici, senza cui non è possibile assicurare l’adempimento della mission istituzionale.
Sulla sicurezza, e segnatamente sul trattamento di chi è preposto ad assicurarla, serve dunque un approccio che vada oltre la logica dei tagli lineari. Una medicina che, come dimostra l’esperienza del recente passato, ha imposto restrizioni che hanno sì portato a risparmi nell’immediato, ma che nel medio periodo ha finito per debilitare fin quasi alla soglia dell’irreversibilità la potenzialità dell’apparato preposto a presidiare la delicata funzione di mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Cogliamo, va pur detto, importanti segnali di apertura da parte di autorevoli esponenti dell’esecutivo, che replicando l’aforisma con cui da anni rivendichiamo un diverso approccio alla materia, hanno di recente parlato di un cambio di passo necessario a far sì che la sicurezza sia considerata non già come un costo, ma come un investimento per assicurare crescita economica e pace sociale.
Abbiamo imparato che il meglio è nemico del bene, ed è per questo che non ci iscriviamo al gruppo di quanti preferiscono strillare per rivendicare tutto e subito. Siamo coscienti che i conti pubblici, e soprattutto le stringenti regole imposte dagli organismi di controllo comunitari, non permettono discontinuità nella marcia di risanamento del debito pubblico.
Ma se è vero che le lunghe marce cominciano con i primi passi, l’unica prospettiva che non siamo disposti a condividere è che il cammino verso una stabilizzazione delle criticità segni il passo.
Ci sono priorità che non possono rimanere insoddisfatte, pena l’ulteriore aggravamento dell’incapacità del sistema sicurezza di garantire livelli minimi di efficienza e di efficacia. Ed è sugli interventi indifferibili per la tenuta di questi obiettivi che intendiamo ragionare con le richieste o, meglio, con le proposte, che andremo a sviluppare nel prosieguo.
La consistenza degli organici. In particolare: il vuoto nei quadri intermedi e l’opportunità di agevolare lo scorrimento delle graduatorie dei concorsi interni.
Nella scorsa primavera, e precisamente il 20 marzo 2025, il Ministro dell’Interno, alla presenza del vertice del Dipartimento della P.S., rappresentato in primis dal Capo della Polizia, ha convocato le organizzazioni sindacali della Polizia di Stato per presentare i contenuti di un articolato normativo denominato “Decreto Forze di Polizia”.
Una serie di provvedimenti che abbiamo valutato più che positivamente, perché andavano ad intercettare le istanze con cui, a più riprese, avevamo espresso la nostra preoccupazione per una deriva che avrebbe portato, in assenza di interventi, ad una interruzione nella catena di gestione degli uffici e delle attività operative.
Come un qualunque altro sistema produttivo, anche quello chiamato a garantire la sicurezza ha bisogno di professionalità intermedie che assicurino la cerniera di saldatura tra le decisioni del vertice e l’esecuzione delle strategie elaborate a livello centrale.
Il poter contare su quadri che nell’ecosistema della Polizia di Stato sono gli Ispettori ed i Sovrintendenti, non è quindi un mero omaggio alla gerarchia, ma un assetto essenziale a garantire non solo la trasmissione delle informazioni ed a presiedere l’esecuzione delle stesse, ma anche ad assolvere le delicate funzioni affidate agli – ed esercitabili in via esclusiva dagli – ufficiali di polizia giudiziaria, essenziali figure alle quali il sistema processuale penale affida la responsabilità nella trattazione degli affari correnti e nel raccordo tra autorità giudiziaria e autorità di pubblica sicurezza.
L’ispettore capo turno di Volante, giusto per esemplificare, è il soggetto che oltre a coordinare gli equipaggi in servizio, si prende carico di eventuali denunce, dell’attivazione dei dispositivi per le emergenze del codice rosso, delle interlocuzioni con i Sostituti Procuratori di turno per l’autorizzazione al compimento di attività che richiedono il rilascio di delega del Pubblico Ministero, e che in generale cura il primo sopralluogo su fatti criminali di rilievo mettendo poi in azione la macchina delle indagini informando i vertici della catena di comando.
Occorre, ancora, spiegare che il Ruolo degli Ispettori, che oggi conta meno di 14 mila unità a fronte delle 24 mila circa previste a pieno organico, è composto per una quota che si può stimare prossima all’ 80% da personale che ha raggiunto, e superato, i 50 anni di età, e che dunque si avvia a concludere l’esperienza di servizio.
A ciò si deve aggiungere che per errori di prospettiva da noi denunciati da tempo risalenti lo sviluppo della carriera degli ispettori è congegnata con una progressione tale da non consentire l’accesso alle qualifiche più elevate. Non è un caso se gli Ispettori Superiori ed i Sostituti Commissari, nonostante la previsione ordinamentale di svariate migliaia di posizioni, a fine 2026 saranno meno di 2 mila unità. E questo quando nei dispositivi di ordine pubblico, nei reparti operativi o nei servizi di particolare delicatezza, quali la gestione dei turni di vigilanza alle zone di frontiera (controlli di recente ripristinati, e della cui utilità sarebbe forse il caso di discutere) o ai Centri di Permanenza per i rimpatri, sono proprio queste le qualifiche che, data l’esperienza maturata e le competenze possedute, vengono impiegate.
In breve: ispettori sempre più anziani in un ruolo acefalo che non bastano a coprire la molteplicità di esigenze degli uffici. Evidentemente nel predisporre quel progetto di decreto il Ministro dell’Interno ed il Capo della Polizia non si erano fatti convincere da rivendicazioni sindacali, ma avevano raccolto e fatto proprie le disperate lamentele dei Questori e dei Dirigenti dei Compartimenti delle specialità che, dovendo dare la massima priorità alle accresciute esigenze derivanti dall’emergenza passaporti, dai sempre più impattanti casi di codici rossi, dagli accompagnamenti per espulsioni, dalle aggregazioni per eventi particolari in altre sedi – e non solo per il Giubileo, che da solo assorbe migliaia di risorse aggiuntive ogni giorno – non erano più in condizione di assicurare la copertura dei turni di servizio, soprattutto quelli in orario serale e notturno, delle attività di controllo del territorio.
Un progetto per realizzare il quale occorrevano due presupposti. Il primo, di natura ordinamentale, avrebbe protratto fino all’anno 2029 la fase transitoria per semplificare i concorsi interni, riducendone la durata e agevolando lo scorrimento di graduatorie di tutti i concorsi già in atto, e fissato il criterio che il vincolo della riserva dei posti per i concorsi pubblici – oggi pari al 50% dei posti rimasti vacanti per pensionamenti – valesse con riferimento a ciascuna annualità.
L’altro, di natura economica, aveva stimato un impegno di spesa di pochi milioni di euro l’anno da appostare con imputazione alla specificità riconosciuta al Comparto sicurezza e difesa dalla L. 183/2010, che offre un supporto alla canalizzazione di risorse in deroga agli ordinari percorsi di finanziamento degli altri settori del lavoro pubblico.
Di tutto questo, nonostante fosse stato dato per scontato che quel decreto legge avrebbe visto la luce a distanza di poche settimane, ad oggi non v’è traccia. Ma non è che ignorando i problemi qui solo sinteticamente segnalati si possa pensare che si risolvano da soli.
Problemi, si badi, che soffre la sola Polizia di Stato, in quanto le altre consorelle, ed in particolare l’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza, hanno sempre beneficiato delle prerogative militari per mantenere stabile l’arruolamento di giovani Marescialli – equivalenti degli ispettori – potendo così contare oggi sul pieno organico dei rispettivi ruoli, e soprattutto delle qualifiche apicali che nella Polizia di Stato sono invece relegate ad una sorta di specie protetta in via di estinzione.
Riteniamo insomma che, data la contenuta entità delle risorse necessarie, un minimo sforzo per la copertura delle dotazioni necessarie all’avvio del riequilibrio gerarchico e funzionale sin qui descritto non determinerebbe uno sbilanciamento insostenibile.
Da questo punto di vista dobbiamo anche invitare alla massima cautela nel concentrare eventuali investimenti che venissero recuperati nelle pieghe della legge finanziaria sull’assunzione di nuovi Agenti. Il ruolo di base è infatti già oggi ampiamente sovradimensionato per circa 10 mila unità. Immettere nuovo personale senza prevedere un contemporaneo rafforzamento dei ruoli dei Sovrintendenti e degli Ispettori per le ragioni sin qui rappresentate andrebbe a sbilanciare la piramide gerarchica. Si ringiovanirebbero sicuramente gli organici e ne risulterebbe una composizione organica magari accattivante dal punto di vista esteriore, ma assolutamente non funzionale. La generalità dei pensionamenti va infatti ad assottigliare i ruoli dei Sovrintendenti e degli Ispettori, essendo naturale che ad occuparli sia il personale che ha una più elevata anzianità di servizio e, di conseguenza, anche anagraficamente più prossimo alla quiescenza.
Occorre allora agire dando continuità all’assunzione di nuovi Agenti, temperandola però con una robusta alimentazione dei ruoli superiori. Altrimenti la prospettiva è quella di edificare un bel palazzo privo dei solai. Sarebbe un po’ come spingere al massimo la produzione senza avere una catena logistica che ne assicura la distribuzione.
Uno strumento che si presterebbe a mitigare la sempre più allarmante carenza nel ruolo degli Ispettori è quello, già utilizzato in tutti gli ultimi concorsi interni, di finanziare lo scorrimento integrale delle graduatorie delle procedure concorsuali in atto, immettendo in ruolo quanti siano risultati idonei ma non vincitori, in quanto posizionati oltre la soglia di punteggio utile. Si otterrebbe così non solo un immediato, se pur parziale, ripristino delle vacanze nel ruolo, ma anche un considerevole risparmio delle spese in quanto per un verso si eviterebbe la defatigante costosa indizione di nuovi concorsi e per l’altro, data la ridotta durata del corso di formazione rispetto ai concorsi pubblici aperti ai candidati non appartenenti, si otterrebbe il duplice vantaggio di una più rapida immissione in ruolo con una minor spesa di alloggio presso gli istituti di formazione.
A margine vale la pena osservare che la nostra invano avversata dismissione di numerose Scuole di Polizia decisa nella prima decade del secolo corrente ha notevolmente ridotto la potenzialità assunzionale, di tal che anche se ci fosse la disponibilità di fondi illimitati la capacità formativa non riuscirebbe ad andare oltre le 4 mila unità.
In sintesi quello che il SIULP propone è mantenere il turn over al 100% per non far scendere il numero complessivo al di sotto delle attuali 95.000 unità in servizio ad oggi (sebbene per le problematiche inerenti le scuole di formazione non si riesce nemmeno a soddisfare la sostituzione di tutti i pensionamenti) mentre i fondi per le assunzioni straordinarie finalizzate a cercare di coprire le vacanze per giungere al numero previsto per l’organico complessivo, almeno in questa fase, deve essere finalizzato a fare assunzioni nel ruolo degli ispettori (di cui una parte è riservata anche ai Sovrintendenti già in servizio e il cui transito nel ruolo superiore porterebbe il ruolo degli Agenti a rimpinguare quello dei Sovrintendenti con un riequilibrio anche nel ruolo di base).
L’elevazione obbligatoria dell’età pensionabile per tutto il Comparto
Altra questione delicata è quella dell’innalzamento dell’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia previsto (ex art. 42 e 43) per la generalità del personale dei Comparti in menzione, che a regime vedrebbe un’appendice di 6 mesi ulteriori rispetto ai 60 anni oggi richiesti.
Una misura che rischia di rivelarsi come poco impattante dal punto di vista dei benefici per le casse dell’Inps, senza ricadute positive per l’attività di servizio.
Per un verso, infatti, quanto all’apporto utile, estendere il periodo di lavoro per il personale che riveste qualifiche di base non produrrebbe alcun tipo di giovamento, perché parliamo di chi ha competenze generiche e facilmente surrogabili. Diverso il caso di chi occupa posizioni nei ruoli intermedi e di vertice, di cui a breve parleremo diffusamente.
Per il resto spostare in avanti di qualche mese il pensionamento non sembra possa essere un rimedio risolutivo stante l’affanno in cui versa il sistema previdenziale.
In altre parole si otterrebbe un innalzamento ulteriore dell’età media dei lavoratori che a fronte di marginali limature dei conti Inps finirebbe con il rallentare il turn over in essere, risultando come presente forza attiva che, nei fatti, è già avviata verso la fuoriuscita e, tra accumulo di ferie e la statisticamente probabile maggior incidenza di assenze per malattia finirebbe con l’essere avvertita come una criticità in più con cui confrontarsi.
Si registra poi l’introduzione dell’inedito istituto del volontario differimento dell’età massima ordinamentale per il servizio attivo fino al compimento del 62° anno di età, prevista per la sola Polizia Penitenziaria dall’art. 59, di 150 operatori dei ruoli esecutivi.
Quanto precede suscita invero, e per plurimi ordini di ragioni, non poche perplessità. Lo schema di tale norma è infatti lo stesso che il Siulp ha proposto di applicare da almeno 5 anni ai vari esecutivi che si sono succeduti, senza che però questa sollecitazione abbia mai trovato accoglimento.
E questo è evidentemente dipeso dal condizionamento negativo esercitato da tutte le altre sigle rappresentative dei lavoratori del Comparto, anche quelle che in origine si erano schierate a favore. Una posizione ostruzionistica che ha purtroppo prevalso, lasciando però inalterato il problema di fondo da noi denunciato.
Che era, ed è tuttora, quello della sostituzione di saperi professionali, la cui perdita per pensionamento non è compensata da un adeguato passaggio di consegne. Con la scarsità di figure di vertice del ruolo degli ispettori di cui abbiamo dianzi offerto un puntuale spaccato i dirigenti degli uffici sono stati costretti a privilegiare la copertura di tutte le insorgenti emergenze, senza mai essere stati in grado di investire in affiancamenti ai capi sezione di settori nevralgici per assicurare una successione non traumatica negli incarichi.
Adesso che è venuto il momento di sollevare il tappeto, emerge l’enorme montagna di polvere che si è accumulata e l’avvicendamento con altri dipendenti non può che essere produttivo di disagi sia per i diretti interessati che per l’attività dell’ufficio.
Si noti che il nostro progetto prevedeva che la proroga volontaria fosse limitata al solo ruolo degli ispettori, quello per l’appunto più in sofferenza, e se fosse stato approvato non solo avrebbe concesso ossigeno vitale alle asfittiche riserve di energia umana del ruolo medesimo, ma avrebbe anche comportato significativi risparmi di spesa previdenziale. Il tutto, è bene ribadirlo, su base volontaristica e ristretto ad un ben determinato, e qualificato, perimetro di operatori.
Concetti di elementare buon senso che sono stati strumentalmente distorti da demagogiche prese di posizione.
Ecco perché esprimiamo ferma contrarietà ad innalzare l’età della pensione di vecchiaia per tutto il personale della Polizia di Stato e perché siamo, una volta ancora, ad invocare l’applicazione di un istituto, che per semplificare possiamo chiamare della ferma volontaria biennale, già previsto dal nostro ordinamento all’art. 59 del D.P.R. 335/1982 per i soli ruoli degli Agenti ed Assistenti e dei Sovrintendenti. Basterebbe integrare la disposizione con l’aggiunta del ruolo degli Ispettori e stabilire quale sia il fabbisogno da coprire. Pare davvero impossibile che una proposta del genere, che avrebbe il pregio, a tacer d’altro, di far risparmiare le casse dell’Inps, continui ad essere avversata, o non compresa, dalle competenti istanze.
La previdenza dedicata – Mancato appostamento di risorse
Abbiamo detto in precedenza di come la c.d. riforma Dini del 1995 aveva previsto che l’entrata in vigore del sistema previdenziale contributivo fosse compensata da sistemi di previdenza integrativa per valorizzare gli accantonamenti volontari dei lavoratori, incentivati da benefici fiscali ed in parte gravanti sul datore di lavoro.
Diversamente da pressoché tutti gli altri comparti del pubblico impiego, dove sono stati attuati i richiesti protocolli d’intesa che hanno, da tempo, avviato i fondi in questione, le Amministrazioni dei comparti Sicurezza e Difesa sono rimaste inerti, sebbene non siano mancate azioni giurisdizionali stimolate da organizzazioni sindacali o gruppi di dipendenti in esito alle quali le Corte adite hanno intimato l’avvio delle procedure. Intimazione rimasta puntualmente disattesa.
Ecco dunque che, per cercare di limitare le disutilità sofferte dal personale delle forze di polizia e delle forze armate, è stato definito un provvedimento legislativo, approvato nel 2022, che stabilisce tutele proporzionalmente crescenti al diminuire degli anni utili calcolati con il metodo contributivo. Una legge tuttavia incompiuta, in quanto si attende che venga completato il finanziamento necessario a darvi attuazione, essendo al momento stati stanziati circa 200 milioni di euro, e ne mancano 280 al raggiungimento dell’ammontare stimato per iniziare l’attribuzione ai singoli interessati. Che nel frattempo continuano quindi a patire gli effetti del penalizzante regime previdenziale loro imposto.
Crediamo sia lecito interrogarsi su cosa si intenda fare per evitare che al danno, come non sarebbe la prima volta che accade, si aggiunga la beffa di una promessa, non l’unica a dire il vero, che continua a non essere mantenuta.
Una risposta sul punto, ed un franco confronto con chi è titolato a decidere se e quanto i cordoni della borsa possano essere allargati, ci pare non sia rinviabile. Se non altro perché dal contenuto della risposta dipenderanno le determinazioni in ordine a tempi e modi di nostre eventuali rimostranze.
Il rinnovo del contratto della dirigenza.
La contrattualizzazione della dirigenza dei comparti in discussione rappresenta l’approdo di anni di rivendicazioni finalizzate a munire il rapporto di lavoro dei dirigenti delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali delle forze armate di una architettura retributiva coerente con le elevate responsabilità che gravano su questa peculiare categoria di alti funzionari.
Ci sono comunque voluti 8 anni dall’emanazione del D.L. 95/2017, che ha previsto questa epocale riforma, prima che si riuscisse a sanare il ritardo nell’appostamento di risorse per sottoscrivere, uno appresso all’altro, i due accordi per le annualità trascorse. Una intesa con la quale non si è potuto andare oltre la distribuzione dei fondi disponibili spalmati sulle varie qualifiche, con arretrati corrisposti in modalità una tantum ed ampiamente inferiori a ciò che sarebbe spettato.
La nostra firma aveva quale condizione il rispetto del patto con il quale il Governo si era impegnato a stanziare, nella legge di bilancio che siamo, anche per questo, a commentare con toni poco entusiastici, i fondi necessari alla ripresa dei lavori per l’approvazione, finalmente, di un contratto che andasse a rimuovere anacronistiche incrostazioni del sistema retributivo, prime tra le quali quelle di un impianto di voci accessorie fermo ad ere storiche risalenti. Basti qui segnalare come l’indennità che percepisce un Agente in prova impiegato in ordine pubblico sia superiore a quella attribuita al Dirigente del servizio.
Restituire quindi dignità economica alle importanti funzioni di chi è chiamato ad assicurare il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica ed a rispondere direttamente e personalmente del mancato raggiungimento dei risultati attesi è un obiettivo che non riteniamo negoziabile. Se non altro perché abbiamo fatto affidamento sulle dichiarazioni dei Ministri che a nome dell’Esecutivo avevano assunto un impegno ben preciso. Chiederci oggi di soprassedere all’incasso di una cambiale morale è francamente troppo.
L’invito che formuliamo è a non metterci nella condizione di maturare il convincimento che i nostri interlocutori istituzionali non siano credibili, perché ciò comprometterebbe definitivamente l’assetto di corrette relazioni essenziali per poter intrattenere rapporti su un piano paritario.
La specificità ex art. 19 L. 183/2010 – Un contenitore senza contenuto.
Secondo quanto prevede l’articolo 19 della L. 183 del 2010 di cui ci siamo dianzi già occupati (comma 1) “Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti” La norma prosegue indicando che (comma 2) “La disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie”.
Non pare quindi revocabile in dubbio che a tenore della richiamata voluntas legis ai lavoratori dei settori in questione sia stato riconosciuto uno status particolare – e non già un trattamento privilegiato – in ragione delle specificità delle attività di servizio svolte dal personale e delle funzioni di primaria importanza attribuite alle Amministrazioni di appartenenza.
Non vogliamo addentrarci in disamine non compatibili con lo spirito e la valenza di questo nostro quaderno di doglianze. Basti al nostro scopo ricordare come il compenso spettante per aver prestato servizio in ordine pubblico in una giornata festiva, pari a circa 15 euro netti, è quello fissato con il contratto di lavoro del lontano 2002 e già allora appariva essere ben poco allineato all’effettivo disagio che comporta la specificità scolpita dal richiamato provvedimento normativo.
L’ultimo contratto di lavoro, recepito con il DPR 53 del 2025, quanto all’aumento delle indennità – o meglio, sia consentito insistere, quanto al riconoscimento effettivo della specificità – è stato un ennesimo passaggio a vuoto. Ed anche qui avevamo confidato sulle rassicurazioni secondo cui, superato il momento di crisi, ci sarebbe stato uno sforzo per andare incontro alle esigenze dei lavoratori in divisa. Noi preferiamo parlare di un doveroso riconoscimento dell’esposizione al rischio ed alle gravose condizioni sopportate diuturnamente. Resta il fatto che, a giudicare dalla tessitura dello schema di legge di bilancio trasmesso ai rami del Parlamento, ci dovremmo accontentare di assai meno del proverbiale piatto di lenticchie. Noi vogliamo continuare a tenere fede al nostro tralatizio senso di responsabilità. Ma così diventa davvero difficile.
L’auspicio è quindi che attraverso un corretto confronto dialettico le basi delle nostre rivendicazioni qui rappresentate, che non esauriscono assolutamente la ben più ampia serie di problematiche che attendono di essere discusse, possano incontrare la disponibilità al dialogo in un’ottica di selezione delle priorità per portare nell’immediato ad una fattiva mediazione, stabilendo un’agenda scandita da tempi ragionevoli per la definizione delle questioni a cui non è stato possibile dare risposta.
ANTICIPO MISSIONE: necessità di modificare l’art.1, comma 81 e comma 83, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025) e dell’articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR)
A decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024, la norma richiamata in rubrica ha introdotto alcune modifiche al Testo Unico delle Imposte sui redditi, segnatamente intervenendo sul comma 5 dell’articolo 51, specificando che: “I rimborsi delle spese di vitto, alloggio, viaggio e trasporto effettuati mediante autoservizi pubblici non di linea di cui all’articolo 1 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, per le trasferte o le missioni di cui al presente comma, non concorrono a formare il reddito se i pagamenti delle predette spese sono eseguiti con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n.241”.
Quindi a partire dal 1° gennaio 2025 i pagamenti delle spese in narrativa e gli anticipi corrisposti per tali esigenze non eseguiti con strumenti tracciabili (versamento bancario o postale, carte di debito, di credito ecc…) vengono assoggettati ad imposizione come parte integrante del reddito da lavoro dipendente ai fini previdenziali, fiscali e ai fini della giacenza media e quindi dell’Isee.
Vale la pena segnalare quale, tra le tante, rappresenta la più ricorrente criticità cui dà luogo questa disposizione, di cui davvero si fatica a comprendere la ratio, quantomeno per ciò che concerne la sua applicazione al personale delle Forze di Polizia. Il riferimento è all’attività di accompagnamento di stranieri irregolari presso i centri di permanenza. Una situazione che si verifica, anche in Questure medio piccole, con cadenza plurima nel corso della medesima settimana. Si tratta di servizi che non sono in linea di massima programmabili e che comportano un notevole dispendio di risorse, umane e logistiche. Il personale viene infatti recuperato in via d’urgenza, prelevandolo anche da chi sta lavorando negli uffici – con immaginabili disagi per la routine familiare stravolta – e deve partire per raggiungere le strutture attrezzate a decine di centinaia di km di distanza. E siccome, come detto, le partenze avvengono senza un adeguato preavviso, non ci sono i tempi tecnici per disporre un bonifico con l’anticipo delle sostanziose spese previste per vitto ed alloggio che finiscono per dover essere anticipate dagli interessati. Parliamo di somme consistenti, nell’ordine di qualche centinaio di euro, che fino a prima che venisse introdotta la norma qui criticata venivano attinte da un fondo di riserva in contanti. Soluzione che ora non può più essere percorsa in quanto, per l’appunto, oltre al danno derivante dal notevole carico di fatica da sopportare per questo tipo di servizi, il personale si troverebbe a subire una ingiusta ed irragionevole decurtazione dovuta alla mancata tracciabilità delle transazioni.
Lo stesso vale quanto ai pagamenti per il vitto e l’alloggio, che, se effettuati in contanti verrebbero tassati nella misura corrispondente all’aliquota fiscale del malcapitato di turno. E tanto a tacere di chi fa servizi di natura riservata, come quelli di scorta a personalità o a collaboratori di giustizia, per i quali il pagamento tracciabile consentirebbe una pericolosissima esposizione.
Attesa la specificità del nostro comparto e le concrete difficoltà organizzative e operative riscontrate è pertanto necessario che con l’emananda legge di stabilità si operi un intervento normativo finalizzato all’esclusione dell’applicazione di tale norma a tutto il personale di cui al Decreto Legislativo n.165/2001, ovvero quello di cui all’articolo 3 comma 1, che annovera tra gli altri gli appartenenti alle Forze di polizia, almeno fino a quando non si provvederà a dotare le Amministrazioni interessate di supporti di pagamento elettronico (carte di credito/debito prepagate o altro) sui quali caricare gli anticipi e consegnarle al personale inviato in missione come anticipo delle spese da sostenere.
Solo così sarebbe possibile superare gli effetti negativi di una norma che appare indirizzata genericamente al pubblico impiego, evidentemente inopportuna, oltre che giuridicamente incoerente con la specificità del Comparto Sicurezza e Difesa.






