La condizione di vittima del dovere, di cui all’art. 1, commi 563-564, legge n. 266/2005, costituisce uno status e come tale non è soggetta a prescrizione. Resta salva la prescrizione dei ratei delle prestazioni assistenziali nei limiti temporali (10 anni) previsti dalla legge.
Il principio è stato enunciato dalla Corte di Cassazione Civile nella Sentenza Sez. L, n. 17440 Anno 2022 del 30 maggio 2022, con cui i giudici di piazza Cavour, nel respingere l’appello del Ministero della difesa, hanno confermato la decisione della Corte d’appello dell’Aquila, a sua volta confermativa della pronuncia di primo grado, che aveva accolto la domanda volta a conseguire i benefici assistenziali spettanti alle vittime del dovere.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che la condizione di vittima del dovere, di cui all’art. 1, commi 563-564, I. n. 266/2005, costituisce uno status e fosse come tale imprescrittibile, salva la prescrizione dei ratei delle prestazioni assistenziali previste dalla legge, di talché, pur avendo l’istante presentato la domanda a distanza di oltre dieci anni dall’entrata in vigore della legge n. 266/2005, per una patologia contratta per causa di servizio nel corso di una missione compiuta nel 1964, non poteva negarsi il suo diritto ad essere iscritto nell’elenco di cui all’art. 3, comma 3, d.P.R. n. 243/2006, e a percepire le prestazioni assistenziali nei limiti della prescrizione decennale.
Va premesso che il giudice di merito aveva argomentato la conclusione secondo cui la condizione di vittima del dovere sarebbe equiparabile ad uno status muovendo da un’espressa affermazione in tal senso già affiorata in numerose pronunce di legittimità (ad es. in Cass. n. 26012 del 2018 e, più recentemente, in Cass. n. 28696 del 2020).
Invero, secondo gli Ermellini, la stessa giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in seguito allo sviluppo della tutela legislativa e amministrativa delle categorie di cittadini più deboli, deve ormai accogliersi una più ampia nozione di status, inteso come “posizione soggettiva, sintesi di un insieme normativo applicabile ad una determinata persona e rilevante per il diritto in maniera non precaria né discontinua […], che secondo l’apprezzamento comune distingue un soggetto dagli altri” (così Cass. S.U. n. 483 del 2000, in motivazione); ed è nella medesima ottica che “si è logicamente giustificato, riconducendolo alla nozione di status di “pensionato”, il principio di imprescrittibilità del diritto alle prestazioni previdenziali o assistenziali garantite dall’art. 38 Cost., limitando la prescrittibilità (e/o l’assoggettabilità a decadenza) per i singoli ratei, periodicamente risorgenti in quanto oggetto di un’obbligazione pubblica di durata” (così già Cass. n. 2243 del 1988; più recentemente, Cass. S.U. n. 10955 del 2002).
Si tratta, quindi, di provvidenze che trovano causa nella morte o nell’infermità permanente che abbia attinto quanti, anche indipendentemente da un rapporto d’impiego con una pubblica amministrazione, abbiano prestato un servizio a beneficio della collettività da cui siano derivati e concretizzati in loro danno particolari rischi, e dunque, di un servizio che a sua volta costituisce adempimento di un dovere nell’interesse della collettività (art. 2 Cost.).
Inoltre, secondo gli Ermellini, non può esservi dubbio che le provvidenze in esame rientrino nell’ambito della tutela di cui all’art. 38 della Costituzione e, se è vero che la disciplina delle provvidenze dettate per le vittime del dovere può legittimamente considerarsi come una delle possibili “figure speciali di sicurezza sociale”, la cui rado va individuata nell’apprestare peculiari ed ulteriori forme di assistenza per coloro che siano rimasti vittima dell’adempimento di un dovere svolto nell’interesse della collettività, che li abbia esposti ad uno speciale pericolo e all’assunzione di rischi qualificati rispetto a quelli in cui può incorrere la restante platea dei dipendenti pubblici o degli incaricati di un pubblico servizio (così Cass. n. 29204 del 2021), non si possono non ravvisare nella situazione giuridica istituita dal legislatore tutti i presupposti dello status, valendo la categoria di “vittima del dovere” a differenziare una particolare categoria di soggetti al fine di apprestare loro un insieme di benefici previsti dalla legge e riepilogati dall’art. 4, d.P.R. n. 243/2006.
Resta per contro ferma la conclusione dei giudici di merito secondo cui l’imprescrittibilità dell’azione volta all’accertamento dello status di vittima del dovere non si estende ai benefici economici che in tale status trovano il loro presupposto, come nella specie il diritto all’assegno mensile vitalizio ex art. 2, I. n. 407/2008, e all’assegno mensile vitalizio ex art. 5, comma 3, I. n. 206/2004, i quali, unitamente al diritto all’assistenza psicologica a carico dello Stato, all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e all’erogazione a carico del Servizio sanitario nazionale dei medicinali attualmente classificati in classe “C”, ex art. 6 e 9, l. n. 206/2004 – sono riconoscibili solo nei limiti prescrizionali.