Lo status militare giustifica la gratuità del riscatto del corso di laurea

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Lo status militare giustifica la gratuità del riscatto del corso di laurea per gli Ufficiali delle Forze armate

La Corte Costituzionale, con la Sentenza 270/2022 dell’8 novembre 2022, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia.

Il giudizio in esame si inserisce nella complessa vicenda, oramai ultra-quarantennale, originata dalla “smilitarizzazione” del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza ad opera della legge n. 121 del 1981 e dalla conseguente estromissione dall’ambito applicativo delle peculiari e più favorevoli disposizioni dettate per i militari, in particolare dal d.P.R. n. 1092 del 1973, recante la disciplina del trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato.

Per i militari, il predetto d.P.R. detta una disciplina che diverge in modo significativo da quella parallela per gli impiegati civili, contemplando, come nel caso della disposizione dettata dall’art. 32, regole più favorevoli in considerazione della peculiarità dello status militare, del rispettivo ordinamento, delle caratteristiche del rapporto di servizio e delle funzioni espletate.

Secondo la Corte costituzionale, si tratta di un corpus normativo che, pur inquadrandosi in un contesto profondamente modificato, conserva tuttavia ragioni di perdurante attualità, attesa la distinzione fra impiego civile e militare, che continua a comportare significative diversità di regolazione, riflesso della differenza strutturale dei rispettivi ordinamenti.

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Innanzitutto, permane il carattere eccezionale e derogatorio della gratuità del computo degli anni del corso universitario per conseguire la laurea per gli ufficiali prevista dall’art. 32 del d.P.R n. 1092 del 1973 rispetto al riscatto a titolo oneroso degli anni di laurea previsto per i dipendenti civili dall’art. 13 dello stesso d.P.R., che si colloca nel perimetro della disciplina generale dettata dall’art. 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici).

Il carattere spiccatamente derogatorio ed eccezionale della disposizione dettata dall’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 osta, di per sé, secondo la giurisprudenza della Corte, alla possibilità di invocarla quale tertium comparationis. Così come, analogamente, non costituisce fonte di discriminazione costituzionalmente rilevante il fatto che il legislatore ha delimitato l’ambito di applicazione della suddetta norma (ex plurimis, sentenze n. 225 del 2014, n. 273 del 2011 e n. 131 del 2009).

D’altro canto, la violazione del principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni omogenee siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex multis, sentenza n. 165 del 2020), come si verifica nella fattispecie, stante la persistente diversità del complessivo assetto ordinamentale tra le Forze di polizia ad ordinamento civile e quelle a ordinamento militare.

In via generale, si deve escludere che la complessiva evoluzione normativa possa condurre a configurare nell’ordinamento il prospettato principio di piena omogeneità di regolazione fra personale militare e personale civile del comparto di pubblica sicurezza.

L’impiego militare è caratterizzato da una forte compenetrazione fra i profili ordinamentali e la disciplina del rapporto di servizio, come attesta lo stesso codice dell’ordinamento militare di cui al d.lgs. n. 66 del 2010, che, non a caso, ha normato contestualmente i diversi profili. Nella fattispecie è, difatti, l’art. 1860 del codice dell’ordinamento militare a richiamare l’art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 in tema di valutazione a fini pensionistici del periodo di studi universitari per gli ufficiali.

Ben diversa è la disciplina del personale della Polizia di Stato, riconducibile, pur nelle sue accentuate specificità, a quella degli impiegati civili dello Stato.

In definitiva, nell’accentuare la comune appartenenza al comparto Difesa, sicurezza e soccorso pubblico dei dipendenti della Polizia di Stato e dei militari dell’Arma dei carabinieri, si tralascia di considerare che gli ufficiali dell’Arma dei carabinieri, avente rango di Forza armata ai sensi dell’art. 155 cod. ordinamento militare, sono beneficiari della disposizione censurata proprio in quanto militari, così come, in tale veste, ne fruivano gli appartenenti alla Polizia di Stato prima della “smilitarizzazione”.

Secondo il giudice delle leggi, non può sussistere una sorta di sostanziale ultrattività del pregresso status militare, condiviso dagli appartenenti alla Polizia di Stato fino alla riforma del 1981 con altre forze del comparto Difesa, sicurezza e soccorso pubblico, che condurrebbe a ritenere ancora dovuta l’applicabilità nei loro confronti, a distanza di oltre quarant’anni dalla riforma stessa, del sistema normativo specificamente previsto per i dipendenti militari in materia previdenziale dal d.P.R. n. 1092 del 1973, né la sopravvenuta parificazione dei requisiti di età di cessazione dal servizio per la Polizia di Stato e per i militari, può comportare la necessaria estensione della disciplina di favore ai funzionari della Polizia di Stato.

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