Nuove norme per garantire la presunzione di innocenza

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Diritto al giusto processo e nuove norme per garantire la presunzione di innocenza

L’Italia ha recepito la direttiva Europea sulla presunzione di innocenza.

Il suo assunto di base è che: “nessuna autorità dello Stato può indicare come colpevole un indagato o un imputato prima che nei suoi confronti sia emessa una sentenza di condanna”.
Le indicazioni di Bruxelles risalgono a cinque anni fa ed erano probabilmente destinate ai Paesi illiberali dell’Est Europa più che a noi.

In verità, era da molti considerata una mera duplicazione dell’art. 27 della nostra Costituzione, ma evidentemente non è così poiché se questa direttiva fosse stata subito recepita con una legge di attuazione sollecita come avvenuto in tutti gli altri Paesi europei non avremmo potuto assistere alla cronaca di certi arresti come quelli di Mafia Capitale con conferenza stampa e letture di stralci di intercettazioni diffuse con filmati di pedinamenti e immagini di indagati.

Lo stesso si può dire per certi reportage televisivi che presentano la soluzione di casi senza la celebrazione di un processo.

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Nella stessa direttiva sono contemplate disposizioni che riguardano la tutela del diritto di chi è indagato a partecipare o di essere edotto dello svolgimento di un processo a suo carico, addirittura di quello di tacere di fronte alle domande di un pm o del giudice senza che ciò venga utilizzato come indizio a suo carico, ed infine il principio dell’onere della prova a carico dell’autorità giudiziaria senza possibilità di ricorrere a presunzioni legali di responsabilità.

Si tratta di principi dello Stato di diritto che l’Unione Europea ha voluto inserire in una direttiva presumibilmente diretta ai Paesi illiberali dell’Est Europa ma che provocherà contraccolpi anche in Italia.

Per capire l’importanza della direttiva va precisato che le garanzie in essa contenute non riguardano solo la reputazione dell’indagato ma anche l’indipendenza di giudizio del giudice, quella che viene definita la neutralità psicologico-cognitiva.

In realtà già il codice di procedura penale prevede che il giudice debba conoscere le prove (ad esempio le intercettazioni) solo quando inizia il processo ed esse gli vengono presentate dal PM, ma sappiamo che questo oggi non avviene. Anzi, molto spesso prima che i processi inizino sulle indiscrezioni che trapelano si costruiscono persino bestseller editoriali, mentre in altri Paesi la pubblicazione di verbali e documenti di prova porterebbe all’invalidazione del processo (in Inghilterra la pubblicazione arbitraria degli atti o l’indebita conoscenza che ne abbiamo i giurati costituisce oltraggio alla Corte e prevede una sanzione detentiva).

In Italia, invece, ogni violazione del segreto d’indagine resta impunita perché i responsabili pur facilmente identificabili restano impuniti.
Si tratta di una serie di petizioni di principio che necessitano di essere trasfuse in un decreto legislativo del governo che dovrà fissare oltre al precetto normativo anche l’apparato sanzionatorio per chi dovesse violare i precetti.

Per questa ragione occorrerà attendere il passaggio alla Commissione Giustizia del Senato e soprattutto se verrà varata una seria e particolareggiata normativa dal governo.
E’ chiaro che il principio introdotto in una legge di delegazione è una novità rilevante ma occorre pur sempre il varo di una norma che renda effettivi determinati principi anche attraverso la previsione di sanzioni per le violazioni degli obblighi di salvaguardia del principio di non colpevolezza.

Resta il problema della libertà di stampa. Al riguardo, la giurisprudenza della Corte costituzionale è costante: se ci sono diritti costituzionali in antitesi (nella specie, diritto all’informazione, principio di non colpevolezza e giusto processo) bisognerà bilanciarli limitandoli in proporzione.
Entrando nello specifico, la direttiva si applica a qualsiasi persona (persona fisica) indagata o imputata in procedimenti penali e in tutte le fasi del procedimento penale, dal momento in cui una persona è sospettata o accusata di aver commesso un reato al verdetto finale.

La direttiva stabilisce i seguenti diritti fondamentali di una persona indagata o imputata in un procedimento penale:

innocenza finché non ne viene dimostrata la colpevolezza;

I paesi dell’Unione europea (UE) devono adottare misure per garantire che le dichiarazioni pubbliche da parte delle autorità e le decisioni giudiziarie (diverse da quelle sulla colpevolezza) non si riferiscano alla persona come colpevole; i paesi dell’UE devono adottare misure per garantire che le persone indagate o imputate non siano presentate come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica;

onere della prova per l’accusa;

  • diritto di rimanere in silenzio e di non autoincriminarsi;
  • diritto di presenziare al proprio processo; tuttavia, un processo può essere celebrato in assenza dell’indagato o imputato, qualora una di queste condizioni sia soddisfatta:
  • la persona sia stata informata a tempo debito del processo e delle conseguenze di una mancata comparizione;
  • la persona abbia conferito mandato a un difensore, nominato da lei o dallo Stato, per rappresentarla in giudizio.

La direttiva (UE) 2016/343 è la quarta di una serie di misure che stabiliscono norme minime per i diritti procedurali in tutta l’UE, conformemente alla tabella di marcia del 2009. Fa seguito alla normativa sui diritti all’interpretazione e alla traduzione, all’informazione e all’accesso all’assistenza legale.

Altre due direttive stabiliscono diritti specifici per i minori nei procedimenti penali e per il patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali.

Per maggiori informazioni, è possibile consultare sul sito Internet della Commissione europea il comunicato stampa della Commissione europea «Diritto a un processo equo: nuove norme a garanzia della presunzione d’innocenza» e «Diritti degli indagati e degli imputati»

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