Onorare la memoria per mantenere vivo l’impegno della “guerra” alla mafia

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Ultimo aggiornamento 10/10/2015

4 settembre 2009 – Mondello (Pa)

Onorare la memoria per mantenere vivo l’impegno della “guerra” alla mafia

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relazione del Segretario Generale SIULP Felice Romano

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Voglio, innanzitutto, porgere il benvenuto e ringraziare oltre agli illustri Relatori che ci hanno voluto onorare oggi con il loro prezioso contributo in questo importante dibattito, tutte le Autorità presenti, le Associazioni e tutti i Cittadini che hanno voluto testimoniare la loro vicinanza presenziando ai nostri lavori.

In tutte le guerre, e quella contro la Mafia è una guerra, ci deve essere sempre un momento in cui è bene ricordare il sacrificio dei caduti, il sacrificio di quei nostri compagni, di quei magistrati, di quegli uomini comuni che come noi hanno semplicemente scelto di vivere una vita da uomini liberi perché nessun altra vita, per loro come per noi, può essere degna di essere vissuta.

E’ il momento sacro della Memoria, del Ricordo, della Celebrazione.

E’ il momento della condivisione dei nostri valori di libertà e di democrazia posti alla base della nostra stessa civiltà nel ricordo dei nostri caduti.

Ma è il momento altresì dei bilanci e della verifica, giacché la guerra non è finita e richiederà altri sforzi, altre battaglie e, quasi sicuramente, altri sacrifici.

Nessuno s’illuda….. neanche chi oggi tace per colpa o per negligenza sullo stato della lotta alla Mafia. La guerra non è finita; e noi siamo tra quelli che ritengono indispensabile passare all’azione prima del nemico.

La guerra dei Giusti.

“Ho combattuto la buona battaglia. Ho terminato la mia corsa. Ho conservato la mia fede.Epifania 1980.”

Così sta scritto sulla lapide che a Palermo ricorda il caduto Pier Santi Mattarella, Presidente della Regione siciliana.

Così sta scritto nel destino di tutti coloro che l’hanno preceduto e che l’hanno seguito: perché nessuno dei nostri caduti neanche nell’imminenza del proprio sacrificio ha mai perso la propria fede.

Quella fede che anima ancora oggi la nostra azione, quella fede che sostiene la nostra più intima convinzione di dover continuare la nostra azione, di NON dover concedere vantaggi al nemico, di NON poter accettare questa tregua ingiustificata che lo Stato ha concesso da qualche tempo ai mafiosi.

Noi vogliamo continuare a combattere la guerra dei giusti, noi vogliamo anzi dichiarare guerra non soltanto ai criminali ma anche ai loro fiancheggiatori, i quali sono razza altrettanto antica ed altrettanto balorda.

Sono passati centocinquant’anni da quando la guerra è cominciata ma non sempre tutti gli onesti sono stati dalla nostra parte.

Perché tra i mafiosi e gli antimafiosi si sono consolidate, purtroppo, in questi anni, altre categorie di militanti.

Sostanzialmente quattro. ….

Per le quali occorre adottare provvedimenti urgenti.

Prima categoria: quelli che dicono che con la Mafia bisogna conviverci.

Sono i più pericolosi, perché dietro il proprio cinismo si nasconde esattamente il fine più segreto e più terribile dei mafiosi.

Poter trovare riconoscimento nella nostra società, nel nostro Stato, magari nel nostro parlamento o nella regione Sicilia quali legittimi rappresentanti del popolo,sovrano o bue, a seconda dei punti di vista.

Con la Mafia non si convive !!! : si muore piuttosto, come hanno fatto per anni poliziotti, carabinieri, magistrati e cittadini onesti; si muore piuttosto… ma non si convive. Perché questa convivenza sarebbe la fine della nostra civiltà.

Seconda categoria: quelli che con la mafia fanno patti a fini politici o imprenditoriali nella convinzione, vera o falsa che sia, che non partecipando ad attività propriamente criminali, quali omicidi o traffico di droga, la propria connivenza sia ai limiti del lecito ma non illecita.

Lo stesso procuratore nazionale antimafia, alcuni giorni fa a Cortina, ha lanciato un attualissimo e tragico allarme sui rapporti tra mafia e politica che i poliziotti del Siulp fanno proprio: la mafia sta alla politica come i pesci stanno all’acqua.

Lo sanno, i poliziotti, fin da quando Falcone chiese a Buscetta di parlargli dei politici; e Buscetta parlò dei cugini Salvo. E altri pentiti parlarono di questo nodo essenziale, giacché a noi non è mai sfuggito il fatto che la permanenza innegabile di questo legame condiziona in negativo la lotta alla mafia, facendole segnare il passo, rallentando e vanificando gli sforzi di quanti, in questi anni, hanno dedicato la propria vita al contrasto della piovra mafiosa.

La politica deve fare di più: non è ammissibile, in Sicilia e in Italia, che a parole si condanni la mafia e poi, nei fatti, si conceda spazio di manovra all’interno dei partiti a personaggi condannati (anche se solo in primo grado) per associazione di stampo mafioso.

Il Siulp fa sua anche questa battaglia: la lotta alla mafia non può più essere delegata a magistrati e poliziotti, ma richiede un impegno diffuso e comune a tutte le forze sane della nazione, non solo a quelle di polizia.

Terza categoria: quelli che fanno leggi antimafia di nome ma non di fatto e cancellano, contemporaneamente, le leggi che pur non essendo nominate espressamente come “antimafia” vengono usate, con formidabile efficacia, per contrastare la mafia.

E’ nota la faccenda che la migliore legislazione antimafia sia stata varata nel nostro Paese all’indomani di gravi fatti di sangue, che hanno mietuto vittime a centinaia tra uomini e donne di Stato; e questo è indice di un sottinteso terribile.

Pare che il potere legislativo, quando vuole, sa perfettamente come agire, dove intervenire, quali tasti toccare per contrastare efficacemente la Mafia.

Ma poi invece appare, per motivi inspiegabili, riottoso a farlo quasi come se l’intenzione fosse quella di non svegliare il can che dorme,… di non cercare grane “ a gratis”, almeno finché è possibile.

Per poi svegliarsi tutto d’un colpo e con straordinaria determinazione quando la strage è avvenuta e la resa dei conti non è più rinviabile. Negli anni cinquanta la Legge vedeva il Mafioso ancora come un tizio che stazionava nel bar della piazza e risolveva a modo suo le piccole questioni di onore e rispetto; tanto da riservargli l’apposito trattamento della diffida ed eventualmente del confino.

Solo negli anni ottanta, dopo l’omicidio La Torre, abbiamo avuto la prima seria legge antimafia, con l’espressa previsione di strumenti per colpire l’organizzazione anziché l’uomo, l’ingerenza nella gestione della cosa pubblica anziché l’omicidio di mantenimento degli equilibri interni, il riciclaggio dei capitali d’illecita provenienza anziché la singola estorsione.

Solo negli anni novanta si è avuta la svolta operativa dopo le stragi di Falcone, di Borsellino e dei nostri colleghi delle scorte di Palermo: con l’introduzione,e soprattutto la pratica da parte di giudici, di uno strumento, quello del collaboratore di giustizia, che già Dalla Chiesa indicava come prezioso per gli inquirenti, un mese prima di essere ucciso.

“Il primo pentito l’abbiamo avuto tra i mafiosi siciliani proprio negli anni ‘70. Perché dovremmo escludere che questa struttura possa esprimere un gene che finalmente scateni qualcosa di diverso dalla paura?”

Abbiamo avuto grandi successi grazie a queste leggi: ma oggi la situazione è di indubbio stallo, e questo non piace per niente!!!!!

La legge antimafia è ferma al ‘91.

I risultati operativi estremamente brillanti di magistratura polizia, carabinieri e di tutte le Forze dell’ordine degli ultimi anni, compresi gli arresti di storica importanza di Brusca, Provenzano e Riina, sono da ascrivere a meriti investigativi e non certo a strumenti creati da nuove leggi.

Alcuni giorni fa il Ministro della giustizia ha partecipato alla generosa diffusione di dati relativi allo stato della sicurezza in Italia e della lotta alla criminalità organizzata.

L’occasione è ghiotta per fornire un esempio concreto di come si può tentare di far passare come ottima legislazione antimafia un po’ di norme, qualcuna discreta ma non determinante, altre del tutto inefficienti, buttate lì in fretta e furia, per dar corpo ad una illusione di sostanza.

Nella parte relativa alla criminalità organizzata si afferma che grazie ad appositi interventi legislativi, sono stati tratti in arresto ben il 78% in più di pericolosi latitanti rispetto ai 14 mesi del precedente Governo.

Andando ad analizzare questi formidabili strumenti scopriamo che essi consistono, essenzialmente, in due interventi: l’uno del maggio 2008 e l’altro dell’agosto 2009. Quindi di 30 giorni fa: con il quale, a detta del ministro, il Governo avrebbe profondamente riformato il settore delle misure antimafia.

A tal punto da dedicare un apposito paragrafo all’ “antimafia delle leggi“, così da tenerla ben distinta dall’ “antimafia dei fatti “ di cui ancora non v’è traccia.

Col primo provvedimento si torna indietro di cinquanta anni ai tempi del mafioso di paese, quello che staziona davanti al bar in attesa di essere investito di questioni d’onore.

Ora le misure di prevenzione possono essere applicate a categorie più ampie di soggetti; ma sempre di misure di prevenzione si tratta. Di quelle cioè previste da una legge di 50 anni fa mentre oggi la mafia si muove come una vera e propria holding internazionale con interessi e affari in tutto il mondo.

Col secondo formidabile strumento si potenziano effettivamente i poteri del procuratore nazionale antimafia, del capo della Dia e del Questore sul fronte della prevenzione; ma essendo questi entrati in vigore appena l’8 agosto diventa difficile ascrivere loro il merito dei positivi risultati di polizia.

Di chi è allora questo merito!!?

Essenzialmente di una maggiore incisività dell’azione di magistratura e polizia sorretta da un sempre più crescente consenso popolare che rappresenta la vera novità sul fronte dell’antimafia di questi anni.

Pare che gradualmente i cittadini abbiano fatta propria l’idea di dover partecipare in prima persona e tramite le proprie associazioni, o le proiezioni organizzate della propria attività professionale, alla guerra contro la mafia, e questo spinge poliziotti, carabinieri e magistrati a mantenere alto, anzi altissimo il proprio impegno quotidiano.

E’ quello che qualcuno chiama “il risveglio della società civile“ a permettere questo miracolo, questo costruttivo impegno che supera la retorica della celebrazione e della commemorazione per esprimere, invece, una più costruttiva e, forse, più produttiva voglia di cambiamento.

Con le esperienze di Libera, per esempio, ma anche di Addiopizzo, e gli impegni più recenti di Confindustria e Confcommercio, ma soprattutto quello del sindacato confederale e della CISL in particolare che da sempre si batte per affermare il principio che, per battere la mafia, bisogna abbattere l’isolamento dell’individuo e ridargli dignità vera di cittadino e di lavoratore, e grazie anche al contributo prezioso, inestimabile e costante dei familiari delle vittime della mafia che sono, spesso per chi opera sul campo, il motore principale e l’ispirazione più sacra per alimentare il proprio attivismo.

Non così sul versante della politica. E il Siulp condivide, ancora una volta, le preoccupazioni espresse dal procuratore nazionale antimafia in un recente convegno: ”Basterebbe che la politica locale alzasse la testa e si liberasse dall’abbraccio della mafia. Invece sembra quasi che abbia voglia di mafia. Finché la politica resterà così bassa e soddisferà bisogni individuali e clientelari, non si libererà mai”.

Altro che legislazione antimafia innovativa.

Siamo, piuttosto dinanzi ad un classico caso di immobilismo legislativo.

Il cittadino e le forze di polizia chiedono leggi e strumenti che permettano l’affondo finale, e il Legislatore nicchia, attende ed è titubante.

C’è difatti un’ultima amara, amarissima considerazione da fare in proposito: oggi sono in piedi ben 72 procedimenti penali per voto di scambio. Il dato riguarda quasi esclusivamente il sud e la Sicilia in particolare. Dalle indagini recenti emerge che il voto a Palermo costa 50 euro, mentre allo Zen lo si può avere per 10.

La nuova frontiera della lotta alla mafia dev’essere quindi, a nostro avviso, il rapporto tra questa e la politica.

Lo strumento legislativo che necessita è l’inserimento del reato di voto di scambio nel 416 bis del codice penale.

Per noi chi vota il candidato della mafia è un mafioso a tutti gli effetti.

Ci sono leggi che vengono dette “antimafia “ ma che non lo sono.

Ci sono leggi che servono per combattere la mafia, ma non appartengono allo specifico settore.

E, stranamente, vengono ridotte, annullate, rivedute continuamente.

La legge che, per esempio, limita la possibilità di avviare l’intercettazione telefonica.

La legge che limita a sei mesi il tempo che ha il collaboratore di giustizia per riferire quanto sia a sua conoscenza, L’esperienza dimostra che il pentimento esiste solo in rarissimi casi, che la collaborazione avviene spesso per ragioni utilitaristiche, per cui è possibile che la rivelazione importante avvenga quando la convenienza lo imponga.

D’altra parte, fermo restando il principio che su tutto quello che viene denunciato la polizia giudiziaria deve trovare precisi riscontri, a che serve una limitazione del genere?

La legge che rende più difficili le rogatorie internazionali: lo ripetiamo.

La mafia è uscita da Corleone ed opera da decenni in tutto il mondo. Perché ostinarsi con la dimensione paesana del fenomeno?

La legge recente che consente il rientro dei capitali illecitamente accumulati all’estero.

Si fa cassa da una parte, si autorizza l’immissione sul mercato lecito di capitale in buona parte illecito, dall’altra.

La resa dello Stato, in cambio di una mancetta, di fronte all’evasione e al riciclaggio.

Tra mafiosi e antimafiosi c’è da inserire, infine, una quarta e ultima categoria.

Quella di chi ritiene che per sconfiggere la mafia sia sufficiente varare alcune leggi senza contestualmente investire sull’apparato chiamato ad applicarle.

Trattasi, per noi, della categoria più imbarazzante.

E’ questa, essenzialmente, la causa della nostra costruttiva rabbia verso il Governo: siamo a pochi passi dal traguardo storico eppure manca la volontà di affondare il colpo, di andare avanti fino in fondo senza se e senza ma.

I commercianti di Palermo si ribellano al pizzo e si rivolgono con fiducia allo Stato.

E lo Stato, pur essendo perfettamente a conoscenza, che senza la mafia il Sud avrebbe lo stesso Pil del nord, che fa?

Risparmia, esita, rinvia. Scoraggia.

Si potrebbe pensare che Palermo sia destinataria di uno sforzo massiccio, di investimenti eccezionali, di attenzioni particolari. E invece no.

Ha detto un collega delle scorte, dopo aver vissuto la stagione delle stragi che quando sarebbero morti, i poliziotti di Palermo sarebbero andati in paradiso perché l’inferno lo avevano già visto. E l’inferno esiste ancora.

Si può tollerare che in una Questura di prima linea come Palermo manchino 300 uomini rispetto agli organici che risalgono al 1989, cioè agli anni delle stragi Falcone-Borsellino?

Si può ignorare, facendo finta di nulla, che su 540 macchine assegnate alla Questura, ben 190 sono fuori uso, e che il Reparto Scorte usa 20 auto blindate con oltre 200.000 Km di percorso sulle spalle ?

Si può ignorare che i colleghi delle scorte fanno servizio con una vecchia Punto per lasciare all’autorità da proteggere la blindata?

Ma in quale Paese civile del mondo lo Stato risparmia sulla pelle dei poliziotti?

Si fa davvero la lotta alla mafia aggravando il 41-bis, come alcuni giorni fa ha detto Alfano, ma tagliando da 2.200.000 euro a 400.000 il budget per le missioni, azzerando di fatto ogni possibilità per gli investigatori della Mobile di Palermo?

Lo capisce qualcuno che in questo modo sta impedendo la lotta alla mafia? Altro che antimafia delle leggi ; qui siamo all’incoscienza di fatto.

Lo capisce qualcuno che togliendo altre 1500 ore allo straordinario degli investigatori si rende molto più difficile il loro lavoro, anziché agevolarlo?

E lo capisce, infine qualcuno che non pagando lo straordinario già maturato dai poliziotti questi si demotivano anziché essere incoraggiati?

Certo, non si lavora solo per soldi; certo, non si lavora con organici gonfi e mezzi efficienti; certo, la lotta alla mafia non può essere ridotta a questioni sindacali. Fatto sta, però, che se il sindacato piange i fatti ci sono.

Ma le lacrime del Siulp vogliono essere lacrime preventive: servono per impedire che l’inferno, già mille volte vissuto in questa città bella e maledetta, succeda ancora.

Servono per dare motivazione, energia, strumenti e, soprattutto consapevolezza di non essere soli, in questa guerra senza quartiere, alle donne e agli uomini delle forze dell’ordine.

Le lacrime di molti, di troppi, malauguratamente, che abbiamo conosciuto sinora sono lacrime successive, versate sulle bare avvolte nel tricolore, a favor di telecamera, col sacro furore di chi “questa volta” dice basta alla mafia, basta per sempre.

Sono lacrime di coccodrillo.

Che nessuno si illuda, fate come noi, che da anni non ci illudiamo più.

La vedova di un nostro collega in Chiesa lo ha detto: “loro non cambiano, loro non cambiano”.

Cerchiamo di cambiare noi almeno per una volta: cerchiamo almeno una volta di attaccare per primi e di vincere questa guerra.

Giacché solo se vinciamo la mafia avremo onorato il nostro impegno, avremo dato un significato al sacrificio dei nostri caduti, e, soprattutto avremo reso un servizio di storica importanza ai cittadini del nostro Paese.


Rassegna stampa

MAFIA: ROMANO (SIULP), LA POLITICA DEVE FARE DI PIU’

Palermo, 4 set. – (Adnkronos) – “La politica deve fare di più ” nella lotta alla mafia. Lo ha detto oggi il segretario regionale del Siulp, il sindacato di Polizia, nel suo intervento al convegno ‘Onorare la memoria per mantenere vivo l’impegno della guerra alla mafia’.

“Non e’ ammissibile che in Sicilia e in Italia -ha proseguito Romano- che a parole si condanni alla mafia e poi, nei fatti, si conceda spazio di manovra all’interno dei partiti e personaggi condannati, anche se solo in primo grado, per associazione di stampo mafioso. Il Siulp fa anche questa battaglia: la lotta alla mafia non può più essere delegata a magistrati e poliziotti, ma richiede un impegno diffuso e comune a tutte le forze sane della nazione, non solo a quelle di polizia”.

Romano ha anche sottolineato che “la legge antimafia e’ ferma al 1991”. “I risultati operativi estremamente brillanti di magistratura, polizia, carabiniere di tutte le forze dell’ordine degli ultimi anni sono da ascrivere a meriti investigativi e non certo a strumenti creati da nuove leggi”. Ha quindi ricordato le esperienze di ‘Libera di don Ciotti, presente al convegno, ma anche di Addiopizzo e “gli impegni più recenti di Confindustria e Confcommercio”, ma “soprattutto quello del sindacato confederale e della Cisl che da sempre si batte per affermare il principio che, per battere la mafia, bisogna abbattere l’isolamento dell’individuo e ridargli dignità vera di cittadino e di lavoratore”. Al convegno ha partecipato anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni.

 

video intervento del Segretario Generale SIULP Felice Romano

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