Ordinanza Tar Lazio n.6223-2022 – Trattamento di fine servizio

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Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 10308 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati -OMISSIS- con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato -OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

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Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
per il riconoscimento del diritto del ricorrente a percepire il TFS senza dilazioni e senza rateizzazione e condanna dei resistenti a liquidare e a corrispondere senza dilazione l’intero importo dovuto oltre interessi e rivalutazione Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -OMISSIS-, il 22/12/2021: per l’annullamento del provvedimento denominato “Prospetto di liquidazione” Atto Nr 25913 del 19.7.2021, nella parte in cui prevede un pagamento rateale, senza indicare i tempi di pagamento.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’Inps;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2022 la dott.ssa -OMISSIS- e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

1. I fatti di causa.
Il ricorrente, già Dirigente della Polizia di Stato, cessato dal servizio per raggiunti limiti di età il 1° aprile 2020, ha chiesto che venisse accertato il suo diritto a percepire il trattamento di fine servizio senza dilazioni e senza rateizzazioni e ha chiesto la condanna del Ministero resistente e dell’I.N.P.S., “il primo a liquidare e comunicare e il secondo a corrispondere senza dilazioni e senza rateizzazioni il trattamento di fine servizio dovuto” e ha chiesto la condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento del danno da ritardato pagamento.

In particolare, il ricorrente ha dedotto in fatto:

– che, dall’area riservata del sito dell’I.N.P.S., ha potuto visualizzare, alla voce “Servizi Online TFS” un importo lordo complessivo di € 192.504,43 e netto di € 151.722,00, con la specificazione che “il calcolo fornito è puramente indicativo, non ha pertanto alcun valore di certificazione e non costituisce per l’Istituto alcun impegno ai fini dell’erogazione …”, con l’ulteriore specificazione che “in caso di importo lordo della prestazione superiore a €.50.000,00 il pagamento è rateale, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 484, legge 147/2013…”;

– che ha ricevuto, solo il 27 luglio 2021, una prima tranche di € 43.252,29 (probabilmente € 50.000,00 lordi) con la seguente causale: “Pagamento TFS Rata 1”, ma che nulla è dato sapere in ordine ai successivi pagamenti. Il ricorrente, nel motivare in ordine alla propria pretesa di vedersi riconosciuto il trattamento di fine servizio, ha rilevato l’illegittimità costituzionale delle norme che hanno disposto la rateizzazione di quest’ultimo.
L’I.N.P.S. ha eccepito il difetto di competenza di questo Tribunale e l’inammissibilità della domanda in quanto, così come formulata, si risolve nella richiesta di annullamento di un provvedimento di rango formalmente legislativo, che esula dalle attribuzioni del giudice amministrativo.
L’I.N.P.S. ha, poi, dedotto l’infondatezza della domanda perché le modalità di pagamento adottate sarebbero pienamente conformi al dettato normativo. In data 11 novembre 2021, il ricorrente ha inviato all’I.N.P.S. una formale diffida e messa in mora, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. 10.1.1957, n. 3, al fine di rendere disponibile e a corrispondere immediatamente e integralmente al ricorrente il trattamento di fine servizio.
L’I.N.P.S., il 12 novembre 2021, ha notificato il “prospetto di liquidazione” dal quale si evince che il pagamento avverrà in tre rate delle quali la prima corrisponde all’importo pagatogli a luglio 2021, mentre per le altre non vi è alcuna indicazione. Avverso questo provvedimento, il ricorrente, ha proposto motivi aggiunti riproponendo le stesse censure avanzate con il ricorso originario. Alla pubblica udienza del 15 marzo 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

1.– Sul dedotto difetto di competenza.
È anzitutto infondata l’eccezione di incompetenza per territorio di questo Tribunale, in quanto la regola del foro del pubblico impiego deve essere letta in ragione dello scopo che, per opinione comune, è quello di render più agevole ai dipendenti pubblici l’accesso alla tutela giurisdizionale.
In particolare, la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/1980, ha ritenuto che

“nel sistema delineato dalla legge n. 1034 del 1971 istitutiva dei TAR (art. 2 e 3 ) la competenza di cui al comma 3 dell’art. 3 (identica alla regula juris di cui al secondo comma dell’art. 13 c.p.a.) ha natura generale, ma residuale, nel senso che essa ricomprende tutti i casi di impugnativa di atti emessi da organi centrali dello Stato (o di enti pubblici a carattere ultraregionale) che non ricadano nel foro dell’efficacia territoriale dell’atto, o, rispettivamente, in quello della sede di ufficio; ne consegue che la competenza a decidere dell’impugnativa di un atto – attributivo di pretese patrimoniali in capo al ricorrente – emesso da un organo centrale dello Stato in relazione ad un pregresso rapporto di pubblico impiego alle dipendenze dello stato stesso si determina non già con riferimento al cit. comma 3, sibbene con riferimento al foro dell’efficacia territoriale dell’atto, individuato dal comma 2 dello stesso art. 3, ciò in quanto gli effetti dell’atto, essendo necessariamente riferiti ad un determinato soggetto, acquistano per effetto della soggettivizzazione una ben chiara dimensione territoriale: pertanto la competenza non spetta né al TAR del Lazio, né della sede del pregresso rapporto di servizio, bensì alla competenza del TAR del luogo di residenza dell’ex impiegato”.

Poste queste considerazioni, deve ritenersi la competenza territoriale di questo Tribunale, in quanto entro la sua circoscrizione ricade tanto il luogo di residenza del ricorrente.

3. – Sull’eccezione di inammissibilità del ricorso.
Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità per impugnazione diretta delle norme ritenute incostituzionali.
In realtà, il ricorrente ha chiesto l’accertamento del proprio diritto a ottenere il pagamento immediato e integrale del trattamento di fine servizio, impugnando, tra l’altro, l’atto relativo alla liquidazione del proprio TFS, e, al fine di dimostrare le proprie pretese, ha dedotto in ordine alla ritenuta illegittimità costituzionale delle norme che ne disciplinano la corresponsione.

4. – La rilevanza della questione.
Le disposizioni della cui compatibilità con la Costituzione si dubita stabiliscono che

“1. Il trattamento pensionistico dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni, compresi quelli di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 2 dello stesso decreto legislativo, è corrisposto in via definitiva entro il mese successivo alla cessazione dal servizio. In ogni caso l’ente erogatore, entro la predetta data, provvede a corrispondere in via provvisoria un trattamento non inferiore al 90 per cento di quello previsto, fatte salve le disposizioni eventualmente più favorevoli.
2. Alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i dipendenti di cui al comma 1, loro superstiti o aventi causa, che ne hanno titolo, l’ente erogatore provvede decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell’amministrazione, decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l’ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi” (art. 3, d.l. n. 79/1997). “
7. A titolo di concorso al consolidamento dei conti pubblici attraverso il contenimento della dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica previsti dall’Aggiornamento del programma di stabilità e crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, con riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche come individuate dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 il riconoscimento dell’indennità di buonuscita, dell’indennità premio di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra indennità equipollente corrisposta una- tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario titolo” (art. 12, comma 7, d.l. n. 78/2010).

Le norme in questione, per la loro chiarezza testuale, non si prestano a interpretazioni adeguatrici, comportando il rigetto del ricorso con conseguente dilazione del termine del pagamento delle somme spettanti al pubblico dipendente per effetto della cessazione del rapporto di servizio.
È opinione del Tribunale Amministrativo Regionale che sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito con modificazioni dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell’articolo 12, comma 7, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla 30 luglio 2010 n. 122, per contrasto con l’art. 36 Cost.

5. – La non manifesta infondatezza della questione.
Il dubbio di incompatibilità tra gli artt. 3, comma 2, del d.l. n. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, e l’art. 36 Cost. è alimentato dall’esame della giurisprudenza della Corte costituzionale, con particolare riguardo alla sentenza n. 159 del 25 giugno 2019, che, nel ritenere non fondate le eccezioni di incostituzionalità degli articoli sopra detti con particolare riguardo ai lavoratori che non hanno raggiunto i limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, ha ritenuto che

“La disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto, conquistate «attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa» (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana”.

Secondo la giurisprudenza della Corte le indennità di fine rapporto “costituiscono parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita – appunto in funzione previdenziale – onde agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione” (sentenza n. 458/2005), ritenendosi, in sostanza, l’essenziale natura di retribuzione differita collegata a una concorrente funzione previdenziale (cfr. sentenza n. 438/2005).

L’art. 36 Cost. statuisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare e a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa.
La retribuzione, pertanto, da una parte, non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa svolta e, dall’altro, deve essere adeguata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., avendo a riguardo non solo alla entità della retribuzione, ma anche alla tempestività della sua corresponsione.
È infatti evidente che una retribuzione corrisposta con ampio ritardo ha per il lavoratore una utilità inferiore a quella corrisposta tempestivamente. Proprio il carattere di retribuzione differita riconosciuta alle indennità di fine rapporto, comporta la necessità che anche queste ultime debbano essere corrisposte tempestivamente e non possano essere diluite strutturalmente oltre la fuoriuscita dal mondo del lavoro.
Ciò a maggior ragione se si considera che, notoriamente, il lavoratore, sia pubblico che privato, specie se in età avanzata, in molti casi si propone – proprio attraverso l’integrale e immediata percezione di detto trattamento – di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita, ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti, magari da tempo.
È poi da ricordare che la Corte ha più volte affermato il principio per il quale una misura quale quella in esame, per superare lo scrutinio di costituzionalità, non può riguardare un arco temporale indefinito, ma deve essere giustificato da una crisi contingente e deve atteggiarsi quale misura una tantum (sentt. n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016).
La misura in questione, al contrario, pur legata a una situazione di crisi contingente non ha una durata prestabilita ma ha assunto un carattere strutturale. Infatti, l’art. 3 del d.l. n. 79 del 1997 ha previsto dapprima un termine minimo di sei mesi per la liquidazione delle indennità di fine servizio. Termine che l’art. 1, comma 22, lettera a), del d.l. n. 138 del 2011 ha fissato in sei mesi per il solo caso di pensionamento di vecchiaia e ha innalzato a ventiquattro mesi per l’ipotesi di un pensionamento di anzianità.
Il termine di sei mesi, sancito per i pensionamenti di vecchiaia, è stato innalzato a dodici mesi dall’art. 1, comma 484, lettera b), della legge n. 147 del 2013, mentre resta immutato il termine minimo di ventiquattro mesi per le indennità di fine servizio corrisposte per il caso di pensionamenti anticipati. Vige poi sempre un ulteriore termine di tre mesi per l’effettiva erogazione: solo quando sia decorso infruttuosamente tale ultimo termine, sono dovuti gli interessi.
L’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010 ha introdotto un meccanismo di rateizzazione, articolato secondo soglie più elevate rispetto a quelle oggi vigenti (una rata annuale per le indennità di fine servizio fino a 90.000,00 euro; due rate annuali per le indennità oltre i 90.000,00 e fino ai 150.000,00; tre rate annuali per le indennità pari o superiori a 150.000,00 euro). L’art. 1, comma 484, lettera a), della legge n. 147 del 2013 ha previsto, per il meccanismo della rateizzazione, reso così più capillare, soglie più contenute: una rata annuale per le indennità fino a 50.000,00 euro; due rate annuali oltre i 50.000,00 e fino ai 100.000,00 euro; tre rate annuali per le indennità di importo che è pari o superiore ai 100.000,00 euro.
Con la legge di stabilità per il 2014, con l’art. 1, comma 484, in sostanza, si è aggravato il sacrificio imposto con il differimento già stabilito nel 1997, ampliando a dodici mesi il termine minimo per la liquidazione delle indennità di fine servizio e prevedendo un meccanismo di rateizzazione che penalizza oltremodo i beneficiari dei trattamenti in esame, perché è più gravoso rispetto a quello stabilito dal d.l. n. 78 del 2010 nella sua originaria versione.
Poste tali premesse, si può ritenere che la previsione di un pagamento rateale comprima in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti dei lavoratori pubblici, in violazione dell’art. 36 Cost., non essendo sorretta dal carattere contingente, ma al contrario avendo carattere strutturale.

6. – Conclusioni.
Il giudizio presente va quindi sospeso, con trasmissione, ai sensi dell’art. 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87, degli atti alla Corte costituzionale, affinché decida della questione di legittimità costituzionale che, con la presente ordinanza, incidentalmente si pone.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) sospende il giudizio e, ai sensi dell’art. 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla rilevante e non manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del d.l. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, per contrasto con l’art. 36 Cost. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati

Sentenza

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