Ai fini della pubblicità dell’offesa è necessario che la frase oltraggiosa raggiunga persone estranee non soltanto ai pubblici ufficiali che siano direttamente investiti dalle offese, ma anche alle pubbliche funzioni in corso di svolgimento.
La Corte d’appello di Catanzaro aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Castrovillari aveva condannato alla pena di legge per i reati di cui agli articoli 336 (violenza o minaccia a pubblico ufficiale) e 341 bis c.p. (oltraggio a pubblico ufficiale) una signora che, fermata per un controllo in aperta campagna alla guida di un’auto, durante e a causa dello stesso, aveva pronunciato frasi offensive nei confronti di uno dei pubblici ufficiali intervenuti, in presenza degli altri.
L’interessata ricorreva, dunque, in Cassazione chiedendo l’annullamento del suddetto provvedimento denunciando vizio di motivazione e violazione di legge, per avere i giudici di merito riconosciuto la sua penale responsabilità nonostante:
a) l’assenza di prova della condotta oppositiva ad un atto del pubblico ufficiale;
b) l’arbitrarietà dell’atto del pubblico ufficiale;
c) la mancanza, quanto al reato di oltraggio, del requisito della pubblicità dell’offesa.
Ricordiamo, per agevolare la comprensione della vicenda, che l’art. 1, comma 8, della L. 15 luglio 2009, n. 94 (c.d. pacchetto sicurezza), ha reintrodotto, sebbene con qualche variazione, il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, fino al 1999 previsto dall’art. 341 e poi abrogato dalla L. 25 giugno 1999, n. 205 (art. 18, comma 1).
Rispetto alla nuova fattispecie di oltraggio va evidenziato come la condotta oltraggiosa debba anzitutto rivelarsi lesiva non già, in via alternativa, come prevedeva l’abrogata disposizione, dell’onore o del prestigio del pubblico ufficiale, ma è necessario un pregiudizio, di carattere cumulativo, all’onore e al prestigio di quest’ultimo e, dunque, della pubblica amministrazione di appartenenza.
Va perciò esclusa la tipicità delle espressioni lesive del solo onore del soggetto pubblico che non involgono il prestigio della funzione esercitata.
Sempre per l’art. 341 bis comma 1 c.p., il fatto deve consumarsi in un “luogo pubblico o aperto al pubblico. L’offesa, inoltre, deve essere arrecata mentre il pubblico ufficiale compie un atto del suo ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni.
Al secondo comma, poi, è disciplinata una speciale causa di non punibilità, costruita sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 596 in tema di ingiuria e diffamazione. Infatti, qualora venga dimostrata giudizialmente la verità del fatto attribuito, il colpevole non è punibile.
Il terzo comma prevede, invece, una causa di estinzione del reato, qualora il colpevole ripari interamente il danno non patrimoniale subito dal pubblico ufficiale e il danno all’immagine subito dall’ente di appartenenza dell’ufficiale medesimo.
La Corte di Cassazione pur ritenendo infondato il motivo inerente il reato di cui all’art. 336 c.p. reputando l’attività del pubblico ufficiale non ingiustamente persecutoria ma “ordinaria modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti dei privati”, ha invece accolto il motivo di ricorso concernente la contestata integrazione del delitto di cui all’articolo 341 bis c.p. giudicando erronea l’interpretazione del requisito della pubblicità seguita dalla Corte territoriale.
Quest’ultima aveva evidenziato, da un lato, che, nella specie, risultavano avere assistito ai fatti due agenti della Polizia intervenuti sul posto in ausilio del finanziere, sicchè il fatto si era svolto “in presenza di più persone”, come richiesto dall’articolo 341 bis c.p., dall’altro lato, che tra le persone che possono considerarsi “presenti” ai fini dell’incriminazione possono essere ricompresi gli altri pubblici ufficiali a cui non siano rivolte le frasi oltraggiose, non essendo richiesto dalla norma che le persone presenti siano dei “civili”.
Al riguardo, la Suprema Corte ha ricordato come ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall’articolo 341 bis c.p., sia necessaria la presenza di almeno due persone – stante il requisito normativo della necessaria presenza di “più persone” e, come al fine di individuare i soggetti che possono essere ricompresi fra le “più persone” sia necessario partire dalla considerazione che, l’incriminazione, per come reintrodotta nel 2009, è specificamente rivolta a colpire le offese verbali non soltanto all’ “onore”, ma anche al “prestigio del pubblico ufficiale”, il che appunto postula che sia minata la considerazione sociale che si correla all’esercizio di pubbliche funzioni. Ne consegue che il discredito alla Pubblica Amministrazione implica che l’azione si svolga in presenza di chi, in quel contesto, non sia deputato allo svolgimento della pubblica funzione collegata alla condotta criminosa.
Per tale ragione, ritiene la Corte che le “più persone” in presenza delle quali deve svolgersi la condotta oltraggiosa debbano essere soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione (cioè dei “civili”) ovvero dei soggetti che, pur pubblici ufficiali, siano nondimeno presenti in quello specifico contesto spazio-temporale, non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia posta in essere dall’agente.
La disposizione non richiede infatti che le “più persone” in presenza delle quali siano formulate le offese siano dei civili. Tuttavia, deve trattarsi di pubblici ufficiali che si trovino sul posto non in quanto intenti al compimento dell’atto d’ufficio che ha generato o nel cui contesto si è realizzata la condotta oltraggiosa. In tale ultimo caso, difatti, non può dirsi realizzata la lesione al “prestigio del pubblico ufficiale”, che postula la rilevanza “esterna” dell’offesa rispetto alla specifica articolazione soggettiva della Pubblica Amministrazione intenta allo svolgimento di quella specifica funzione.
Il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, secondo la Suprema Corte, non può nemmeno ritenersi integrato allorchè l’espressione offensiva dell’onore e del prestigio sia rivolta alla pluralità di pubblici ufficiali intenti al compimento di “un atto d’ufficio e a causa o nell’esercizio” delle loro funzioni poiché in tal caso tutti i pubblici ufficiali risultano essere diretti destinatari delle offese e, in quanto vittime della condotta criminosa, non possono inscriversi fra le “più persone” presenti alla condotta criminosa.
Di qui il principio di diritto secondo cui, ai fini della integrazione del reato di oltraggio previsto dall’articolo 341 bis c.p., è necessario che l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale si svolga alla presenza di almeno due persone e, a tale fine, è indispensabile che la frase oltraggiosa raggiunga persone estranee non soltanto ai pubblici ufficiali che siano direttamente investiti dalle offese, ma anche alle pubbliche funzioni in corso di svolgimento, atteso che solo in tali condizioni può crearsi il pericolo alla considerazione sociale ed all’autorevolezza della Pubblica Amministrazione.
In forza di tale principio la Corte ha disposto l’accoglimento del ricorso difettando nel caso al suo esame il requisito della pubblicità.
In conseguenza ha riqualificato il fatto quale ingiuria e ha annullato la sentenza senza rinvio in relazione al relativo capo – trattandosi di reato depenalizzato – con rideterminazione della pena inflitta per il residuo reato.