Oltraggio a pubblico ufficiale: necessaria la pubblicità dell’offesa

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Ultimo aggiornamento 02/09/2021

 Sentenza n. 30136/2021

avverso la sentenza del 21/07/2020 della Corte d’appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Fulvio Troncone, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni scritte del difensore, avv. (omissis) ; il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato l’appellata sentenza del 7 giugno 2017, con cui il Tribunale di Castrovillari ha condannato . (omissis) alla pena di legge per i reati di cui agli artt. 336 e 341-bis cod. pen.
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, Avv. (omissis) chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Vizio di motivazione, per avere il Collegio di merito poggiato la condanna sulle sole dichiarazioni della persona offesa, sebbene non riscontrate da elementi esterni di conferma.

2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 336 e 341-bis cod. pen., per avere i Giudici della cognizione riconosciuto la penale responsabilità dell’imputata:

a) nonostante l’assenza di prova della condotta oppositiva ad un atto del pubblico ufficiale;
b) l’atto arbitrario del pubblico ufficiale; c) la mancanza, quanto al reato di oltraggio, del requisito della pubblicità dell’offesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. All’evidenza destituito di fondamento è il primo motivo di ricorso.

1.1. Contrariamente a quanto rilevato dalla difesa, la Corte d’appello ha congruamente argomentato la ricostruzione storico-fattuale delle vicende sub iudice evidenziando come il quadro probatorio a carico della ricorrente poggi, non soltanto sulle dichiarazioni della persona offesa (che, per poter essere utilizzate ai fini del giudizio, non abbisognano comunque di elementi esterno a conferma; v.
Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214), ma anche sulle convergenti dichiarazioni rese da altri operanti di polizia giudiziaria sopraggiunti sul luogo del fatto (v. pagine 5 e seguenti della sentenza impugnata).

2. Quanto al secondo motivo, sono inammissibili i primi due rilievi, concernenti l’eccepita mancanza di prova dell’opposizione al pubblico ufficiale e la ritenuta assenza dei presupposti dell’esimente dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale.

2.1. Per un verso, la difesa ripropone rilievi già dedotti in appello e non si confronta con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione e, dunque, omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).

Per altro verso, sollecita una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex p/urimis Sez. U, n.
47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

2.2. Ad ogni buon conto, il Collegio di merito ha bene illustrato le ragioni per le quali abbia ritenuto integrati gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 336 cod. pen., ponendo in luce come l’imputata cercasse di impedire l’atto d’ufficio del finanziere, con la piena consapevolezza della qualifica pubblicistica di quest’ultimo, avendo egli esibito il proprio tesserino della Guardia di Finanza (v. pagina 8 della sentenza impugnata).

2.3. D’altra parte, la Corte territoriale ha convincentemente dato conto delle ragioni della ritenuta insussistenza dei presupposti dell’atto arbitrario (v. pagine 7 e 8 della sentenza impugnata), dovendosi al riguardo ribadire che detta causa di giustificazione presuppone necessariamente un’attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle
ordinarie modalità di esplicazione dell’azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario (v. da ultimo, Sez. 6, n. 11005 del 05/03/2020, Nata, Rv. 278715-01; in precedenza Sez. 6, n. 16101 del 18/03/2016, Bonomi, Rv. 266535; Sez. 5, n. 35686 del 30/05/2014, Olivieri, Rv.
260309).

Attività ingiustamente persecutoria che, neanche la ricorrente, delinea essersi realizzata nella specie.

3. Coglie, di contro, nel segno il terzo rilievo, concernente la contestata integrazione del delitto di cui all’art. 341-b/s cod. pen.

3.1. Nel dare risposta alla deduzione mossa con il gravame quanto all’eccepita mancanza del requisito della pubblicità della condotta di oltraggio a pubblico ufficiale, la Corte distrettuale ha evidenziato, da un lato, che, nella specie, risultavano avere assistito ai fatti due agenti della Polizia intervenuti sul posto in ausilio del finanziere, sicchè il fatto si era svolto «in presenza di più persone», come richiesto dall’art. 341-bis cod. pen. Dall’altro lato, che – tra le persone che possono considerarsi “presenti” ai fini dell’incriminazione — se non possono essere inclusi gli altri pubblici ufficiali destinatari dell’offesa, possono, di contro, essere ricompresi gli altri pubblici ufficiali a cui non siano rivolte le frasi oltraggiose, non essendo richiesto dalla norma che le persone presenti siano dei “civili” (v. pagina 8 della decisione in verifica).

4. Giudica il Collegio erronea l’interpretazione del requisito della pubblicità seguita dal Giudice a quo.

4.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio previsto dall’art. 341-bis cod. pen. è necessaria la presenza di almeno due persone, requisito numerico minimo perché possano ravvisarsi «più persone» (Sez. 6, n. 16527 del 30/01/2017, Ciotti, Rv.
270581-01)

Si tratta nondimeno di individuare i soggetti che possono essere ricompresi fra le «più persone».

4.2. A tale proposito occorre considerare che, nel reintrodurre la fattispecie dell’oltraggio a pubblico ufficiale nel nostro ordinamento con la legge 15 luglio 2009, n. 94 (dopo l’abrogazione operata con la legge 25 giugno 1999, n. 205), il legislatore ha modificato la condotta tipica del delitto e, pur mantenendo inalterata la necessaria correlazione fra l’offesa e lo svolgimento delle funzioni del funzionario pubblico, ha richiesto che la frase ingiuriosa offenda congiuntamente «/’onore ed
il prestigio del pubblico ufficiale» (e non più l’onore e il prestigio in alternativa tra loro, come nella disposizione previgente) e che sussista il requisito c.d. della “pubblicità”, cioè che l’azione si svolga «in /uogo pubblico o aperto al pubblico» e «in presenza di più persone», così trasformando la circostanza aggravante delle più persone contemplata dal previgente art. 341, comma quarto, cod. pen. in un
vero e proprio elemento costitutivo della fattispecie. Tali aggiustamenti si sono resi necessari per circoscrivere l’incriminazione alle condotte oltraggiose realmente offensive dell’’onore e prestigio” del pubblico ufficiale e non sostanzianti una mera ingiuria, seppure rivolta ad un soggetto qualificato, in conformità al principio di proporzionalità ed all’assetto liberal-democratico nei rapporti tra Stato
e cittadino, così da sfuggire a possibili censure d’incostituzionalità.

Non è invece richiesto che la frase oltraggiosa sia effettivamente percepita dal destinatario, essendo sufficiente che esso – viste le condizioni di tempo e di luogo – avesse la possibilità di percepire l’offesa (quand’anche in concreto non percepita) (Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018, Ramondo, Rv. 273466).

4.3. Reputa la Corte che, proprio avendo riguardo alla ratio ed alla struttura della nuova incriminazione (re)introdotta nel 2009, l’elemento costitutivo della «presenza di più persone» debba essere letto tenendo conto del fatto che la frase oltraggiosa deve offendere congiuntamente «/’onore ed il prestigio del pubblico ufficiale», cioè tanto il sentimento e la percezione che il pubblico ufficiale abbia
della propria dignità personale correlata alla qualifica, quanto la stima e la considerazione che il funzionario pubblico abbia nel contesto sociale. Ai fini della integrazione del delitto è, dunque, necessario che l’offesa attinga l’apprezzamento di sé del pubblico ufficiale sia nella dimensione personale, sia nella dimensione funzionale e sociale, potendosi giustificare la tutela assicurata ai pubblici ufficiali dalla fattispecie di cui all’art. 341-bis cod. pen., rafforzata rispetto a quella dei
comuni cittadini, soltanto allorchè sia minata, più che la reputazione del singolo esponente, la reputazione dell’intera Pubblica Amministrazione.

Per tale ragione, ritiene la Corte che le «più persone» in presenza delle quali deve svolgersi la condotta oltraggiosa debbano essere soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione (cioè dei “civili”) ovvero dei soggetti che, pur pubblici ufficiali, siano nondimeno presenti in quello specifico contesto spazio-temporale, non per lo stesso motivo d’ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa sia
posta in essere dall’agente. Come si è già notato, l’incriminazione è specificamente rivolta a colpire le offese verbali non soltanto all’«onore», ma anche al «prestigio del pubblico ufficiale», il che appunto postula che sia minata la considerazione “sociale” che si correla all’esercizio di pubbliche funzioni, di tal che il discredito alla Pubblica Amministrazione implica che l’azione si svolga in presenza di chi, in quel contesto, non sia deputato allo svolgimento della pubblica funzione collegata alla condotta criminosa.

4.4. Si è già accennato al fatto che ciò non esclude che l’oltraggio a pubblico ufficiale possa perfezionarsi anche in presenza di altri pubblici ufficiali non destinatari diretti dell’offesa.

La disposizione non richiede infatti che le «più persone» in presenza delle quali siano formulate le offese siano dei civili. Tuttavia, deve trattarsi di pubblici ufficiali che si trovino sul posto non in quanto intenti al compimento dell’atto d’ufficio che ha generato o nel cui contesto si è realizzata la condotta oltraggiosa. In tale ultimo caso, difatti, non può dirsi realizzata la lesione al «prestigio del pubblico ufficiale», che – a prescindere dal fatto che l’offesa sia rivolta ad uno, a taluni o a tutti gli operanti intervenuti ed intenti al compimento dell’atto d’ufficio contro il quale si scagli verbalmente l’agente – postula la rilevanza “esterna” dell’offesa rispetto alla specifica articolazione soggettiva della Pubblica Amministrazione intenta allo svolgimento di quella specifica funzione.

Ed invero, allorchè le espressioni oltraggiose siano rivolte verso uno, anziché verso tutti i pubblici ufficiali impegnati nel compimento dell’atto d’ufficio “scatenante” la reazione offensiva, non può dirsi prodotta la lesione o la messa in pericolo del bene tutelato dalla incriminazione, cioè che sia leso o messo a repentaglio il «prestigio» della Pubblica Amministrazione, atteso che in tale situazione, a prescindere dall’avere investito con le offese tutti o soltanto taluno degli operanti, l’agente va in effetti a colpire “la” Pubblica Amministrazione che sta esercitando le proprie funzioni nei suoi riguardi – dunque nella sostanza un unicum -, di tal che l’offesa non assume la rilevanza esterna che la «presenza di più persone» e l’offesa al «prestigio» richiedono.

4.5. A conferma della via ermeneutica perseguita, occorre ancora considerare che (come già notato e correttamente rilevato anche dalla Corte d’appello) il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale non può ritenersi integrato allorchè l’espressione offensiva dell’onore e del prestigio sia rivolta alla pluralità di pubblici ufficiali intenti al compimento di «un atto d’ufficio e a causa o nell’esercizio» delle loro funzioni.

In tale caso, infatti, tutti i pubblici ufficiali risultano essere diretti destinatari delle offese e, in quanto vittime della condotta criminosa, non possono inscriversi fra le “più persone” presenti alla condotta criminosa. Conclusione che, oltre a discendere dall’esegesi testuale e logica dell’enunciato normativo, trova un solido aggancio nella giurisprudenza relativa alla circostanza aggravante prevista dall’ultimo comma seconda ipotesi del previgente art. 341 cod. pen. (conseguente dal fatto che «/’offesa è recata in presenza di una 0 più persone») secondo cui l’elemento circostanziale si riteneva applicabile qualora l’offesa fosse formulata alla presenza di una o più persone senza che potesse assumere alcun rilievo
ostativo la qualità di pubblico ufficiale eventualmente rivestita dalle persone presenti, salvo che le stesse non fossero destinatarie dell’offesa (Sez. 1, n. 157 del 25/01/1978, Chelli, Rv. 138040-01; Sez. 1, n. 2891 del 11/12/1970 – dep. 1971, Cappellari, Rv. 117666-01).

Tenendo ferma tale regu/a iuris ed ipotizzando che una persona alla guida di un’auto, fermata per un controllo in aperta campagna da parte di due pattuglie della Polizia Stradale, pronunci frasi offensive dell’onore e del prestigio durante ed a causa del controllo di Polizia, se si seguisse il ragionamento della Corte d’appello si perverrebbe alla paradossale situazione secondo cui, se le parole oltraggiose
fossero rivolte contro tutti e quattro i poliziotti componenti delle due Volanti, non potrebbe ritenersi integrato il reato de quo, essendo tutti i pubblici ufficiali destinatari dell’offesa; se le medesime parole offensive fossero rivolte nei confronti di uno solo dei poliziotti (anche soltanto declinando al singolare le stesse identiche parole) in presenza degli altri tre operanti non direttamente investiti dalle offese,
si dovrebbe invece ritenere integrato il delitto.

4.6. Deve dunque essere affermato il principio di diritto secondo cui, ai fini della integrazione del reato di oltraggio previsto dall’art. 341-bis cod. pen., è necessario che l’offesa all’onore ed al prestigio del pubblico ufficiale si svolga alla presenza di almeno due persone e, a tale fine, è indispensabile che la frase oltraggiosa raggiunga persone estranee non soltanto ai pubblici ufficiali che siano direttamente investiti dalle offese, ma anche alle pubbliche funzioni in corso di svolgimento, atteso che solo in tali condizioni può crearsi il pericolo alla considerazione sociale ed all’autorevolezza della Pubblica Amministrazione.

5. A tale principio di diritto non risulta conforme la decisione in verifica, là dove la Corte d’appello ha stimato integrato il reato nella situazione in cui le frasi oltraggiose della (omissis), seppure rivolte specificamente ad uno soltanto dei pubblici ufficiali intervenuti, venivano profferite in presenza di altri pubblici ufficiali che, sebbene non destinatari delle offese, erano nondimeno intervenuti sul posto
in quanto direttamente impegnati nell’adempimento della funzione pubblica in relazione alla quale la condotta veniva commessa,

5.1. Stante l’assenza del requisito della pubblicità, il reato di oltraggio a pubblico ufficiale non sussiste ed il fatto deve essere qualificato quale ingiuria, reato depenalizzato con d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio in relazione al reato sub capo B) perché il fatto non sussiste, con eliminazione della pena relativa e conseguente rideterminazione della pena inflitta in relazione al residuo reato in mesi due e giorni venti di reclusione.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo B) perchè il fatto non sussiste. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e determina la pena per la residua imputazione in mesi due e giorni venti di reclusione.

Così deciso il 9 giugno 2021

Cassazione su reato di oltraggio

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