Procedimento disciplinare: si è sottoposti a sanzioni anche se le infrazioni non sono inerenti cause legate al servizio d’istituto.
Così ha deciso il TAR Piemonte, respingendo un ricorso di un assistente della PS; i giudici hanno stabilito, inoltre, come la condotta accertata a carico del ricorrente è tale da porre in essere atti che rivelano mancanza del senso dell’onore e del senso morale, in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento e per la reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio.
Tar Piemonte – sez. I, sent. nr. 523/07 del 7.02.2007 – dep. 14.02.2007
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
– I sezione –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3287-00, proposto da Sig. ……… ., rappresentato e difeso dagli avv.ti ……….. ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Torino, …….,
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, presso la quale domicilia, in corso Stati Uniti n. 45,
per l’annullamento, previa sospensione,
– del decreto del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, in data 28.7.2000, con il quale è stata disposta la destituzione dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, a decorrere dal 5 agosto 2000, dell’Assistente di Polizia di Stato Sig. ……… .;
– della Comunicazione in data 7.8.2000, quale atto connesso e consequenziale – con la quale il Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale del Personale, 1^ Divisione, ha manifestato l’intendimento di non dare corso alla procedura di dispensa dal servizio per fisica inabilità dell’Assistente della Polizia di Stato Sig. ……… .;
– di ogni altro atto antecedente o presupposto, successivo o comunque connesso con l’atto impugnato;
nonché
per la condanna del Ministro dell’Interno al risarcimento degli ingiusti danni tutti, patiti e patiendi, in conseguenza degli atti impugnati, nell’ammontare che ci si riserva di quantificare in corso di giudizio, ovvero in difetto che vorrà determinare con valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Vista l’ordinanza cautelare di questa sezione n. 1836 del 20 dicembre 2000;
Vista l’ulteriore memoria difensiva per parte ricorrente per l’udienza del 7 febbraio 2007;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore il dott. Paolo Lotti;
Uditi, alla pubblica udienza del 7 febbraio 2007, per la parte ricorrente l’avv. ….. e, per l’Amministrazione resistente, l’avv. Prinzivalli.
FATTO
Con ricorso notificato in data 14.11.2000 e depositata in data 7.12.2000, il ricorrente Sig. ……… ., Assistente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Alessandria, ma in aspettativa ininterrotta e con soluzione di continuità a partire dal 29.12.1998 per gravi condizioni di salute, insorte nonostante la giovane età, espone di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare per due presunti ma non ancora acclarati episodi, non inerenti causa di servizio ma normali relazioni della vita.
Secondo il ricorrente, il procedimento disciplinare non poteva essere avviato o quantomeno doveva essere prontamente sospeso in attesa della pronuncia del giudice penale, invece di essere tratto a giudizio disciplinare.
Il Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, comminava, infatti, il provvedimento del 28.7.2000, successivamente notificato all’interessato il 3.8.2000, che il ricorrente ritiene illegittimo e che, dunque, impugna sulla base dei seguenti motivi:
1) Violazione ed omessa applicazione dell’art. 11 del DPR 25.10.1981, n. 737 (concernente le sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) in relazione all’art. 117 TU 10.1.1957 n. 3. Difetto di motivazione; ciò in quanto l’Amministrazione ha iniziato, istruito e portato a compimento il procedimento disciplinare nonostante che, ai sensi dell’art. 11 del DPR 25.10.1981, n. 737 e dell’art. 117 del TU n. 3 del 1957, il procedimento disciplinare dovessero essere sospeso in attesa della definizione del procedimento penale;
2) Violazione dell’art. 71 del DPR 10.1.1993 n. 3. Violazione dell’art. 7 DPR 737/81, nonché dell’art. 84 TU n. 3/57. Eccesso di potere per irrazionalità e illogicità manifesta. Carenza di potere. Carenza di istruttoria. Difetto di motivazione; ciò in quanto la risoluzione del rapporto di impiego con l’Amministrazione, per qualsivoglia ragione prevista dalla legge, anche per dispensa permanente per motivi di inidoneità fisica assoluta, comporta l’estinzione del procedimento disciplinare. Per di più, successivamente all’entrata in vigore della legge 8 giugno 1966, n. 424, ricorda il ricorrente, è venuto meno il disposto normativo dell’art. 118 TU n. 3/57, secondo il quale l’Amministrazione aveva il potere di portare a compimento il procedimento, nonostante la risoluzione del rapporto, quando la sanzione poteva influire sul trattamento di quiescenza dell’imputato (Cons. Stato, sez. VI, 26.5.1970, n. 427; Cons. Stato, sez. VI, 15.7.1975, n. 373). Risulterebbe, infatti, dagli atti, che il ricorrente, in data 14.6.2000, era stato giudicato dalla Commissione Medica del Centro Militare di Medicina Legale di Genova “permanentemente inidoneo al servizio d’istituto in modo assoluto per fisica inabilità” nonché “non idoneo al passaggio in altri ruoli della Polizia di Stato e in altre Amministrazioni dello Stato”. Sottoposto ad accertamenti Medico legali della Commissione il 9.6.2000, veniva rinviato al 14.6.2000 per l’accertamento e la dispensa definitiva come da foglio matricolare, quadro F (doc. 4 ricorrente). Dunque, il giudizio di inidoneità assoluta sarebbe stato formulato una volta che si era compiuto il termine massimo di aspettativa prevista dalla vigente normativa, sicché in tale data doveva ritenersi definito e risolto il rapporto perché la circostanza obiettiva del raggiungimento del periodo massimo di aspettativa nel quinquennio ex art. 71 TU n. 3/1957 è di per sé idoneo a determinare l’effetto giuridico della dispensa per infermità;
3) Eccesso di potere per carenza di istruttoria, illogicità manifesta ed irrazionalità in relazione alle valutazioni delle prove di reità e colpevolezza del ricorrente; ciò in quanto la responsabilità dell’esponente in ordine ai fatti contestati, ritenuti di tale gravità da giustificare l’adozione della massima sanzione disciplinare è stata desunta semplicemente ed unicamente dalle querele presentate all’Autorità Giudiziaria in relazione alle quali pendevano due distinti procedimenti penali;
4) Violazione, omessa applicazione dell’art. 1, 2° c., del DPR 25.10.1981 n. 737 nonché dell’art. 13, sempre del DPR 737. Eccesso di potere per irrazionalità, illogicità manifesta, carenza di istruttoria, Violazione dell’art. 3 l. 241/90, nonché dell’art. 1 u.d. , DPR 737/81 per difetto di motivazione; ciò in quanto le norme richiamate prescrivono l’una (art. 1 DPR 737/81) che “le sanzioni devono essere graduate, nella misura, in relazione alla gravità delle infrazioni e alle conseguenze chele stesse hanno prodotto per l’Amministrazione o per il servizio; l’altra, che “l’organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostante attenuanti, dei procedimenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell’età, della qualifica e dell’anzianità di servizio; sanzionare con minor rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori”. Inoltre, il provvedimento irrogativo della sanzione deve essere motivato (art. 1, u.c. DPR 373/81). Nel caso di specie, l’Amministrazione avrebbe valutato solamente i non accertati elementi a carico dell’incolpato ma non ha valutato, come impone il 1° c. dell’art. 13, anche le circostanze attenuanti a suo favore. L’organo disciplinare avrebbe dovuto valutare compiutamente se le condizioni di salute dell’Assistente Sig. ……… erano tali da far ragionevolmente ritenere “compos sui” l’incolpato al momento dei fatti. Neppure sarebbero stati adeguatamente valutati i precedenti di servizio del trasgressore se non sotto l’aspetto negativo ed a lui sfavorevole. Ancora, l’Amministrazione degli Interni non avrebbe preso in considerazione, come richiesto dagli artt. 1 e 13 del DPR 737/81, il fatto che le mancanze non erano state commesse in relazione ad attività di servizio, ma nella normale vita di relazione extralavorativa dell’incolpato, oltretutto dispensato da tempo, per malattia, dal servizio.
Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.
Con ordinanza cautelare di questa Sezione n. 1836 del 20 dicembre 2000 veniva respinta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato.
Alla pubblica udienza del 7 febbraio 2007 il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso atteso che lo stesso è proposto avverso due distinti atti amministrativi suscettibili di autonome impugnazioni da parte dell’istante.
Al riguardo, è vero, infatti, che nel diritto amministrativo vale il principio generale secondo il quale con un unico ricorso non si possono impugnare più atti amministrativi distinti, tranne quando fra loro esista un tale nesso funzionale o procedimentali da giustificare lo svolgimento di un unico giudizio.
Nel caso di specie, tuttavia, l’impugnazione cumulativa deve ritenersi ammessa poiché gli atti, pur appartenendo a serie procedimentali distinte, si rivelino correlati da un rapporto di collegamento procedimentali o di preordinazione funzionale-logica.
Nel merito, ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato.
Avverso il provvedimento impugnato l’interessato ha proposto gravame lamentando, in primo luogo, la violazione dell’art. 11 del D.P.R. 737/81.
Lamenta, inoltre, la violazione degli artt. 71 del D.P.R. 3/93, 7, del D.P.R. 737/81 e 84, del D.P.R. 3/57 per aver il Capo della Polizia adottato il provvedimento di destituzione quando ormai era stato giudicato dalla Commissione Medica del Centro Militare di Medicina Legale di Genova permanentemente inidoneo al servizio d’istituto in modo assoluto per fisica inabilità.
Deduce, inoltre, l’eccesso di potere per carenza di istruttoria, illogicità manifesta ed irrazionalità in relazione alle valutazioni delle prove di reità e colpevolezza del ricorrente nonché l’omessa applicazione degli artt. 1, 2° comma, e 13 del D.P.R. 737/81.
Eccepisce, infine, il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.
In ordine al primo motivo di ricorso, si deve rilevare che, in tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio disciplinare, il nuovo codice di procedura penale, approvato con D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, pone la regola generale dell’autonomia dei giudizi, atteso che non riproduce l’ex art. 3 del previdente codice proc. pen. del 1930 in tema di pregiudiziale penale. Ciò non significa, tuttavia, che l’esito del giudizio penale sia indifferente nel procedimento disciplinare, come si desume dagli articoli 651-654 del codice di procedura penale.
Nell’ambito di tali rapporti, tra procedimento penale e disciplinare, rimane in vigore l’art. 117 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, il quale non è stato espressamente abrogato dagli articoli 2 e 3 del nuovo codice di procedura penale (Cons. di Stato, sez. VI, 15 aprile 1996, n. 559 e comm. spec., 10 novembre 1994, n. 341/94).
Tale disposizione prescrive che il procedimento disciplinare non possa promuoversi, in pendenza di quello penale, e se promosso vada sospeso, qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata esercitata azione penale.
Tuttavia, tale presupposto giuridico – l’inizio dell’azione penale – non è rinvenibile nella semplice comunicazione all’autorità giudiziaria ordinaria di fatti di rilevanza penale (Cons. Stato, IV, 27 giugno 1989, n. 439 e comm. spec. 19 dicembre 1988, n. 318).
L’avvio del procedimento penale, che impone, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 737/81, la sospensione del procedimento disciplinare, o ne impedisce la sua attivazione, va individuato nel momento propriamente processuale, che inizia con l’esercizio dell’azione penale e con la relativa assunzione della qualità di imputato, da parte del soggetto, al quale è attribuito il reato (Cons. giust. amm. sic. 30 marzo 1995, n. 115; Cons. Stato, VI, 16 gennaio 1996, n. 98).
Una tale evenienza, ai sensi degli articoli 60 e 405 del vigente codice di procedura penale, si realizza con la richiesta, avanzata dal pubblico ministero, di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416, o in altri atti con i quali ugualmente si investe il giudice di decidere sulla pretesa punitiva (art. 447; richiesta congiunta di applicazione della pena durante le indagini preliminari; art. 449: richiesta di decreto penale di condanna a pena pecuniaria: art. 555: decreto di citazione a giudizio a chiusura delle indagini preliminari).
L’imputazione, quindi, viene considerata come linea di confine tra il procedimento, nel quale trovano posto le attività della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, ed il processo.
La stessa conclusione deve ritenersi valevole, in sede di applicazione del D.P.R. 25 Ottobre 1981, n. 737, recante norme sulle sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione della pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti.
Pertanto, nell’impianto sistematico dei principi sopra affermati, non assume decisiva rilevanza la circostanza che, per l’individuazione del presupposto ostativo alla prosecuzione del procedimento disciplinare, l’art. 11 del D.P.R. n. 737 del 1981 faccia riferimento alla circostanza che il dipendente sia “sottoposto … a procedimento penale”, anziché ad azione penale, come si esprime il citato art. 117 del D.P.R. n. 3 del 1957 (cfr. sul punto C.d.S., IV, 3.2.1998, n. 780).
Atteso che, in base all’art. 11 sopra riportato, il procedimento disciplinare deve essere sospeso “fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”, appare chiaro che la locuzione procedimento penale sia riferita ad una fase propriamente processuale e non meramente procedimentali e quindi pre-processuale (cfr. nel punto C.d.S., IV, 3.2.1998, n. 780).
Alla luce di quanto sopra esposto, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, nel caso di specie non sussistevano i presupposti per la sospensione del procedimento disciplinare.
Infatti, come risulta dagli atti allegati alla presente relazione, nei confronti del Sig. ……… non era stata ancora esercitata l’azione penale, ma una semplice trasmissione all’A.G. competente delle querele presentate dai titolari degli esercizi commerciali che avevano ricevuto dal Sig. ……… gli assegni successivamente risultati privi di provvista.
Nel caso “de quo” il Sig. ……… non aveva infatti ancora assunto la qualità di imputato, ma nei suoi confronti erano stata presentate due querele e, pertanto, non poteva applicarsi la disposizione di cui all’art. 11, D.P.R. 737/81 e disporsi, di conseguenza, la sospensione del procedimento disciplinare fino all’esito del procedimento penale.
In merito alle restanti doglianze formulate in ricorso dall’istante, giova osservare che per il personale della Polizia di Stato il legislatore ha introdotto una speciale normativa disciplinare con il D.P.R. 737/81.
In tale decreto, che si richiama in generale ed in casi particolari allo Statuto per il personale civile dello Stato e alla normativa sulla disciplina delle funzioni dirigenziali, sono inserite peculiari sanzioni: richiamo orale, richiamo scritto, pena pecuniaria, deplorazione, sospensione dal servizio, destituzione.
Le prime due hanno carattere morale, la terza carattere economico, la quarta carattere economico e morale, le ultime due carattere “espulsivo”.
Esse sono graduate in ordine crescente, ma per la loro applicazione, una volta individuata la trasgressione in relazione alla gravità dei fatti, delle omissioni e dei comportamenti, nonché alle conseguenze per l’Amministrazione o per il servizio, si deve tener conto ai sensi dell’art. 13 D.P.R. 737/81 di tutte le circostanze, dei precedenti disciplinari e di servizio, del carattere, dell’età, della qualifica e dell’anzianità di servizio del trasgressore, sanzionando con maggior rigore quelle commesse in servizio che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali.
L’Amministrazione dispone, dunque, di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare autonomamente le varie ipotesi disciplinari, con valutazione insindacabile nel merito da parte del giudice amministrativo, salvi i consueti limiti di irragionevolezza nella specie non sussistenti.
Nel caso di specie, dunque, il Consiglio di Disciplina ha valutato la personalità dell’inquisito anche alla luce dei suoi precedenti disciplinari, poiché il Sig. ………, in passato, è stato oggetto di 11 sanzioni disciplinari di cui ben 9 relative a debiti contratti e non pagati.
Il provvedimento impugnato, inoltre, indica chiaramente quali siano stati i motivi per i quali al ricorrente è stata inflitta la sanzione disciplinare della destituzione.
Tale atto risulta, altresì, motivato “per relationem” alla documentazione sottostante, con particolare riferimento alla contestazione degli addebiti, alle giustificazioni presentata dall’inquisito, alla relazione del funzionario istruttore, nonché ai verbali del Consiglio Provinciale di Disciplina.
Nessun rilievo può, infine, attribuirsi alla censura con cui è stata denunciata
la pretesa carenza di motivazione.
Il provvedimento impugnato, in specifico, è stato motivato sul rilievo che il ricorrente, con la condotta accertata a suo carico, ha posto in essere atti che rivelano mancanza del senso dell’onore e del senso morale, in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento e per la reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio, nonché per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari: fatti, questi, per il quale i nn. 1, 2 e 6 dell’art. 7 D.P.R. 25.10.1981, n. 737 prevede appunto l’irrogazione della misura della destituzione.
Si rileva che, nel caso di specie, emergono i presupposti che determinano l’obiettiva impossibilità per l’Amministrazione di continuare ad avvalersi di dipendenti che siano incorsi in condotte illecite particolarmente significative sul piano del prestigio e quindi idonee a far venir meno la fiducia dell’Amministrazione e dei cittadino nei loro confronti (C.d.S. VI, 15.12.1982, n. 690; T.A.R: Bologna 7.10.1992, n. 273), tenendo presente che nessun formale provvedimento di decadenza era stato precedentemente assunto a carico del ricorrente, da considerarsi formalmente, a tutti gli effetti, dipendente dell’Amministrazione.
Il ricorso deve, perciò, essere respinto, in quanto infondato.
Le spese di lite devono essere compensate, sussistendo giusti motivi.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – I sezione -, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Torino. nella camera di consiglio del 7 febbraio 2007, con l’intervento dei sigg. magistrati:
Alfredo Gomez de Ayala, Presidente;
Bernardo Baglietto, Consigliere;
Paolo Lotti, Primo referendario, estensore.
IL PRESIDENTE L’ ESTENSORE
f.to. A. Gomez de Ayala f.to P. Lotti
il Direttore di segreteria
f.to M. Luisa Cerrato Soave
Depositata in segreteria a sensi di legge
il 14 febbraio 2007
il Direttore di segreteria
f.to M. Luisa Cerrato Soave