Per la promozione per merito straordinario il parere della Commissione Centrale non è vincolante, ma per discostarsene è necessaria una esplicita motivazione del Capo della Polizia
Alcuni nostri iscritti ci chiedono spesso pareri in relazione alla opportunità di attivare contenziosi rispetto al mancato accoglimento di proposte premiali pervenute all’attenzione della specifica Commissione deputata ad esprimere i previsti pareri.
Nel panorama giurisprudenziale abbiamo, oggi, selezionato una pronuncia particolarmente significativa al riguardo.
Si tratta della decisione del Consiglio di Stato Sez. III n. 04890/2015, del 23 ottobre 2015, che cristallizza il principio che nei procedimenti premiali, per la promozione per merito straordinario nella Polizia di Stato, non costituisce vizio del parere della commissione il fatto che questo sia risultato difforme dalla proposta del Questore. Non spetta, inoltre, al giudice della legittimità entrare nella questione se l’operazione oggetto di valutazione meriti o meno una ricompensa di maggior grado.
Sappiamo che nell’ordinamento del personale della Polizia dio Stato il sistema delle ricompense per meriti di servizio è caratterizzato da una accentuata discrezionalità, la quale anzi diviene tanto più ampia quanto più elevato è il livello delle ricompense. Il giudizio è affidato alla commissione centrale; che, proprio in quanto “centrale”, secondo i Giudici di palazzo Spada, “”ha il compito di garantire un’equilibrata proporzionalità nonché l’omogeneità dei criteri, laddove le proposte dei singoli Questori, proprio perché provengono da una pluralità di fonti, potrebbero risultare scoordinate fra loro””.
Con la decisione qui oggetto di esame, il Consiglio di Stato ha definito un contenzioso avente ad oggetto l’applicazione delle disposizioni concernenti le ricompense del personale della Polizia di Stato, e più precisamente la ricompensa della promozione alla qualifica superiore per meriti straordinari e speciali prevista dall’art. 71 del d.P.R. n. 335/1982.
L’appellante, già ricorrente in primo grado, era stato destinatario del decreto del Capo della Polizia con il quale era stata disposta la promozione alla qualifica di vice sovrintendente per meriti straordinari e speciali, in relazione ad una operazione di servizio nella quale – unitamente ad un collega parigrado – aveva dato una non comune prova di sé, tanto che il Questore aveva proposto entrambi per la promozione per meriti straordinari.
Successivamente, però, con decreto del 22 febbraio 2008, lo stesso Capo della Polizia ha annullato “in autotutela” quella promozione sostituendola con un encomio solenne. Tale annullamento era motivato con la considerazione che il decreto del 20 novembre 2007 era stato emesso nell’erroneo presupposto che l’apposita commissione centrale per le ricompense avesse espresso parere conforme alla proposta del Questore, mentre in realtà si era espressa per la concessione di un encomio solenne.
L’interessato proponeva ricorso al T.A.R. che rigettava il ricorso. Il Consiglio di Stato investito dell’appello ha in primis analizzato la questione se il parere della commissione centrale delle ricompense abbia carattere vincolante o meno affermando che le disposizioni sopra citate del regolamento n. 782/1985 non qualificano espressamente il parere come vincolante, tuttavia il sistema complessivo della normativa lascia intendere che la pronuncia della commissione sia il momento culminante e decisivo della procedura. Di conseguenza, l’ipotesi che il Capo della Polizia se ne discosti, pur se ammessa, si configura come una eccezione, che richiederebbe un’esplicita motivazione.
In ogni caso, Conclude il Consiglio di Stato, si tratti di parere vincolante o meno, è risolutiva la considerazione che nella fattispecie il Capo della Polizia ha decretato la promozione basandosi sull’erroneo convincimento che in quel senso fosse il parere della commissione. Il Capo della Polizia non intendeva esercitare il suo (supposto) potere di decidere in modo difforme dal parere, al contrario intendeva uniformarvisi. Quel decreto era dunque viziato, quanto meno, dall’errore sul contenuto del parere.
Tale vizio era in sé sufficiente – salvo verificare le ulteriori condizioni – per giustificare l’annullamento in autotutela.