Relazione Introduttiva 9° Congresso Nazionale

566

RELAZIONE INTRODUTTIVA

“DIRITTI, SICUREZZA, INNOVAZIONE, SVILUPPO”

RELAZIONE DEL SEGRETARIO GENERALE FELICE ROMANO

11 luglio 2022

Hotel A.Roma

VIA GIORGIO ZOEGA 59 – ROMA

advertise

ABNEGAZIONE: IL SENSO DEL NOSTRO ESSERE

Illustrissimi Ospiti, Care Delegate, cari Delegati, benvenuti a IX congresso Nazionale del SIULP.

Prima di iniziare i lavori consentitemi di rivolgere le più affettuose congratulazioni, anche a nome della Segreteria Nazionale, a chi, per la prima volta, è stato chiamato a rappresentare i colleghi, e a chi, invece, a conferma dell’ottimo lavoro svolto, è stato confermato. Siete tanti e date forza e prospettiva alle nostre strutture. Siete la conferma del patto generazionale che il Direttivo e il Consiglio Generale nazionali hanno voluto come momento di osmosi e rilancio dell’azione forte e crescente del nostro SIULP.

Un abbraccio, sincero e pieno di stima, ai giovani e alle donne, che sono il presente e il futuro del SIULP. Ma anche ai meno giovani, che con la loro esperienza, ne sono certo, assicureranno l’irrinunciabile collante per armonizzare la nostra tradizione ed i nostri valori con le sfide con cui, in prospettiva, saremo, tutti assieme, chiamati a confrontarci.

Un sincero e caloroso benvenuto, con il ringraziamento di tutto il Congresso, alle Autorità, ai molti ospiti che ci onorano con la loro presenza; ai referenti del mondo imprenditoriale e delle associazioni, che accogliendo il nostro invito, e riconoscendo al Siulp la capacità di elaborare proposte laiche in tema di sicurezza e legalità, dimostrano di condividere l’interesse a partecipare ad un momento di riflessione scevro da strumentali condizionamenti di parte, esclusivamente finalizzato a rafforzare gli assetti su cui si reggono le fondamenta della democrazia rappresentativa; ai Segretari delle altre organizzazioni sindacali e delle rappresentanze militari, testimonianza di una attenzione per la nostra proposta che sappiamo essere non meramente apparente.

Un sentito benvenuto va, in ultimo, ma non certo perché minore sia l’importanza della loro partecipazione, ai colleghi delle delegazioni sindacali internazionali. La loro presenza, in un contesto geopolitico mondiale sottoposto a turbolenze fino a ieri inimmaginabili, che hanno rimesso in discussione equilibri assestati da decenni, e che hanno accelerato processi di consolidamento delle relazioni intracomunitarie, è un indicatore della vocazione del Siulp a ragionare di politiche della sicurezza con un respiro allargato alla realtà eurounitaria. Una proiezione transfrontaliera che si propone di proseguire nel solco di quanto già è stato fatto grazie al sostegno ed alla collaborazione della Cisl, che ha portato le massime istituzioni comunitarie a qualificare, in documenti di eccezionale rilevanza politica, la sicurezza non come un costo del sistema, ma come una precondizione atta a sostenere il sereno e proficuo sviluppo politico, sociale ed economico nell’acquis comunitario.

Vogliamo, insomma, rilanciare assieme a tutti gli interlocutori sociali ed istituzionali un’azione condivisa e unitaria per costruire, con i governi dei singoli paesi e con le Istituzioni europee, un modello di sicurezza comunitario unico. Un nuovo sistema che garantisca a tutti i territori e a tutti i cittadini una nuova filiera della sicurezza che, come il “Treno della Legalità”, metafora coniata dal SIULP nel 1986 per lanciare la prima vertenza sicurezza nel nostro Paese, riesca a rafforzare e rendere sinergicamente effettivo un nuovo modello operativo sia sul piano verticale che su quello orizzontale.

Prima però di entrare nel merito di quanto testé introdotto, consentitemi di indugiare nell’esprimere due particolari, intimamente sentiti, saluti.

Il primo al Signor Presidente della Repubblica, Sergio MATTARELLA, sia perché continua ad essere il faro al quale facciamo riferimento nel nostro servizio quotidiano a garanzia e difesa dei valori costituzionali e dei più deboli, sia per le generose e importanti parole che ha ritenuto, e non in una sola occasione, indirizzare agli operatori della Polizia di Stato e del Comparto Sicurezza e Difesa in generale. Allorquando, durante la pandemia, ha definito i Poliziotti come “volti della Repubblica”, così apprezzando l’equilibrio e l’umanità con cui abbiamo saputo svolgere la nostra delicatissima mission istituzionale vegliando sulla collettività durante una delle congiunture che hanno, più che mai, messo a dura prova la tenuta del nostro sistema democratico. Dunque grazie, una volta ancora, e non sarà mai abbastanza, Signor Presidente della Repubblica.

Il secondo, al nostro Segretario Generale della CISL, Luigi Sbarra. All’amico Gigi, che con la costante vicinanza e la sapiente opera di sostegno che ha offerto, al Siulp e a me personalmente, in ogni circostanza, riconoscendoci la straordinaria delega a parlare in nome e per conto della Cisl ogni qualvolta sia stato necessario intervenire a tutela del sistema su cui si regge la sicurezza del nostro Paese, non di meno, per la tutela delle donne e degli uomini preposti a tale onorevole incarico.

Una delega, questa che ci è stata conferita, che ci onora e ci inorgoglisce, ed al contempo ci onera di una ulteriore gravosa responsabilità: quella di riuscire, attraverso il nostro agito, ad accrescere l’autorevolezza ed il prestigio della nostra casa comune della Cisl. Ecco perché, caro Gigi, non ringrazieremo mai abbastanza te e la Cisl.

Invero, premettendo la mia nota ritrosia all’autocelebrazione, consentimi, caro Gigi, di poter fieramente affermare, forte di un tour che mi ha visto presenziare le nostre strutture ad ogni latitudine della nostra penisola, che quello che oggi si presenta all’assise congressuale è un SIULP forte, credibile, responsabile, autorevole, fucina di nuove straordinarie idee, e financo sentinella vigile del glorioso lascito morale dei nostri Padri fondatori. Un Siulp di cui sono fiero, e di cui credo anche la Cisl debba farsi vanto.

Perché il certificato rafforzamento di quella consistenza associativa che, storicamente, da quando, 41 anni fa, è entrata in vigore la legge di riforma della Pubblica Sicurezza, ha visto il Siulp svolgere una incontrastata leadership tra le organizzazioni del Comparto Sicurezza, ottenuta perseguendo un modello sindacale permeato, in modo irreversibile, dai valori confederali. Quei valori, cioè, che ci sono stati trasmessi dalla Cisl e che i Poliziotti hanno dimostrato di apprezzare e preferire ad altre forme di rappresentanza sbilanciate verso derive ed interessi estranei a quelli della categoria.

Spero che il nostro agire, riconosciuto dai colleghi, dalle Istituzioni e da tutte le forze politiche con cui in questi anni ci siamo interfacciati con convinta e consolidata autonomia organizzativa, alieni da qualsivoglia pregiudizio politico, sia la giusta risposta per ripagare l’alta fiducia che la Cisl ci ha voluto rinnovare.

UN MODELLO DA INNOVARE

E veniamo dunque a sviluppare il ragionamento sulla filiera della sicurezza e dei due diversi crinali su cui, a parere del Siulp, occorrerà investire per renderla adeguata alle sfide di un futuro che si appalesa come estremamente prossimo.

C’è intanto un primo versante che si sviluppa in proiezione verticale. Che interessa tanto la Comunità europea per i profili di specifica competenza sulla circolazione di persone, capitali, merci e lavori, ovvero i pilastri fondativi dell’unione. Argomenti che registrano purtroppo una non ancora perfezionata armonizzazione, perché l’abbattimento dei controlli alle frontiere non è stata accompagnata da un percorso comune sulla cooperazione in tema di sicurezza, preventiva e repressiva e, quindi, di giustizia. Un disallineamento che favorisce l’attività dei consorzi criminali transnazionali e dei gruppi eversivi, che si traduce in crescenti livelli di degrado territoriale e di disagio sociale, con tutele delle vittime dei reati, in particolare delle fasce deboli, che pur previste con provvedimenti normativi sovranazionali, rimangono sovente prive di concreta soddisfazione.

Una seconda criticità è originata, a livello domestico, da un irrisolto conflitto tra le funzioni statali, che alla stregua dell’art. 117 Cost. dovrebbero assorbire in via esclusiva le competenze in materia di ordine e sicurezza pubblica, sintagma prodotto dalla declinazione dell’altro inscindibile binomio sicurezza e libertà, e quelle delle Regioni e degli Enti Locali.

Il sistema integrato di sicurezza che abbiamo costruito in questi anni, che contempla la sicurezza urbana, il disagio sociale, la coesione sociale, il ruolo della Polizia locale anche nella sua funzione di polizia amministrativa, per la riqualificazione del tessuto urbano favorita dagli osservatori che secondo la logica della prossimità si muovono sui territori, non è riuscito a produrre gli auspicati esiti né quanto a percezione, né quanto a effettivo contrasto dei molteplici fattori scaturigine delle polimorfi insicurezze.

Ecco perché è imprescindibile recuperare al livello più elevato una collaborazione inter – istituzionale che sappia trovare un momento di coordinamento e di sintesi tra la potestà legislativa eurounitaria e quella dei singoli stati e, per quel che più ci interessa, una capacità di mettere in rete le diverse sensibilità di entità territoriali con il momento di centralità decisionale.

Un cambio di strategia necessario soprattutto in ragione delle sovrapposizioni di successivi interventi normativi nazionali, quali i famigerati pacchetti sicurezza, che lungi dall’avere un approccio ragionato, si sono limitati a trasmettere messaggi securitari privi di concreta capacità di deterrenza. E tutto questo con una irrazionale rincorsa alla frammentazione delle competenze in tema di ordine e sicurezza pubblica. Una degenerazione che ha prodotto un abnorme aumento della spesa pubblica senza che da ciò discendesse alcun risultato apprezzabile.

Si dovrà allora ripartire dai fondamentali, ovvero dai presidi costituzionali che (art.117, 1° comma) attribuiscono l’esclusiva potestà legislativa in materia di immigrazione, difesa e Forze armate, sicurezza nazionale, armi, munizioni ed esplosivi, ordine e sicurezza pubblica allo Stato, e che (art. 118 3° comma), ancora demanda alla legge dello stato il coordinamento tra lo Stato e le Regioni sulle materie medesime.

Sul piano orizzontale occorrerà rafforzare i quattro livelli da cui si dipanano le politiche sulla pubblica sicurezza e gli interventi per garantirla: l’azione di polizia di prevenzione e repressione in senso stretto, le politiche giudiziarie e la fase processuale, la fase dell’esecuzione della pena e le strutture detentive e, infine, le politiche di formazione e sviluppo degli operatori del comparto sicurezza e difesa. I 4 vagoni del convoglio che abbiamo chiamato treno della legalità.

L’azione di polizia consente di assicurare la legalità in senso ampio attraverso una strutturata attività di prevenzione del crimine associata ad una riduzione delle disutilità delle aggressioni criminali, una ricerca di tutte le sinergie positive e l’emersione delle illegalità non direttamente percepite, ossia la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, fenomeni che rappresentano un doppio costo, finendo per produrre i relativi riverberi sia sul momento economico che su quello sociale.

La riforma del sistema giudiziario dovrebbe, finalmente, assicurare un approdo ad un processo giusto in tempi accettabili, per garantire non solo l’immediatezza e la certezza della pena, ma anche, nell’ottica del contenzioso civilistico, per incentivare gli investimenti evitando defatiganti e dispendiosi percorsi processuali. In definitiva un impianto normativo e processuale munito di adeguata capacità di deterrenza che rappresenta l’unica possibile soluzione per evitare il sovraffollamento delle carceri da un lato, il pericolosissimo, e purtroppo sempre più diffuso, senso di disaffezione nei confronti delle istituzioni dello Stato che, oggi, agli occhi dei cittadini, appaiono incapaci di garantire la tutela dei loro diritti oltre che la loro sicurezza.

La politica carceraria dovrebbe poi, anche passando da un’analisi precisa e calzante sull’attuale situazione delle strutture detentive – che oggi scontano un inaccettabile deficit rispetto agli standard previsti per il trattamento dei detenuti e, soprattutto, a quelli per la sicurezza del personale di vigilanza – investire sulla rideterminazione delle piante organiche del personale della Polizia Penitenziaria, le cui carenze stanno raggiungendo livelli insostenibili, e sul complessivo approccio al mondo del carcere, in modo da restituire alla pena quella funzione rieducativa prevista e garantita dalla nostra Costituzione. Una funzione, quest’ultima, completamente stravolta. Giacché il carcere, più che rieducare, è divenuto un luogo di reclutamento di manodopera criminale. Troppo spesso reclusi per reati minori escono dalla detenzione come affiliati alle grandi consorterie di criminalità organizzata.

Un’imperdibile opportunità per poter rilanciare le rivendicazioni che da decenni il Siulp propone al tavolo del dibattito politico, che sono state sintetizzate negli spunti che precedono, è quella offerta dal PNRR. L’errore più comune commesso da chi ragiona di sicurezza è quello di pensare ad una realtà a sé stante. Quando invece, come stiamo cercando di spiegare, la sicurezza è inscindibilmente vincolata ad un equilibrato sviluppo sociale ed economico.

Una avveduta capacità progettuale dovrebbe quindi immaginare investimenti finalizzati da un lato ad evitare l’insorgenza di fattori criminogeni, dall’altro a stabilizzare i presidi di legalità che sono assicurati, in primis, dall’azione delle forze di polizia.

Ecco allora che favorire politiche di inclusione ed integrazione dell’immigrazione significa depotenziare l’insorgenza di conflitti sociali che, come dimostrano funeste esperienze di altri Paesi, fungono da detonatore a momenti di violenza ed alimentano le fila della criminalità. In pari tempo altre misure apparentemente estranee alle politiche della sicurezza possono rimuovere appetibili mercati a cui le organizzazioni criminali guardano con crescente interesse.

La protezione dei marchi, la tutela dei consumatori, presidi normativi rigorosi che disciplinano il mercato del lavoro, trasparenza nel movimento di capitali, valorizzazione delle risorse culturali e ambientali, trasparenza e semplificazione dell’azione amministrativa e nella gestione degli appalti, incentivi al mercato turistico, sviluppo e fruibilità delle telecomunicazioni a fasce sempre più ampie della popolazione, protezione delle infrastrutture strategiche, rilancio e piena attuazione della digitalizzazione, riqualificazione dei nostri territori e tutele ambientali. Sono queste alcune delle suggestioni che noi abbiamo in mente, atte a generare servizi sempre più qualificati con sempre minori funzioni, con snellimento delle procedure e riattivazione dei centri di controllo di legittimità.

In altre parole parliamo di un nuovo indispensabile modello, di una scommessa per il futuro del sistema Paese che, per dirla mutuando i concetti che il nostro Segretario Generale Gigi Sbarra ha esposto quando ha rilanciato la necessità di un nuovo patto sociale, sia capace di rispondere ai bisogni dei cittadini, degli operatori economici, del tessuto produttivo e sociale. Una proposta che può restituire ammodernamento, fiducia, stabilità attraverso la compartecipazione e la responsabilità collettiva. Ma deve essere fatta chiarezza intorno al senso di responsabilità, soprattutto a quello dei lavoratori e del sindacato: può essere invocato solo se ad esso corrisponde contestualmente anche una loro partecipazione ai processi di innovazione e di riforma.

E su questo voglio essere chiaro da subito. Il momento che stiamo vivendo e quello che ci attende nell’immediato futuro lo impongono.

Non accetteremo più la frase fatta che i sindacati sono tutti uguali. Un luogo comune che ormai da troppi anni ha costituito un alibi per amministrazioni che si sono dimostrate resistenti, se non addirittura riottose, ad ogni forma di collaborazione e partecipazione delle rappresentanze dei lavoratori. Una tendenza utile a malcelare debolezza ed incapacità di assolvere alla propria funzione istituzionale, privilegiando l’autoconservazione e le prebende assicurate da rendite di posizione, trascurando il benessere dei cittadini e dei lavoratori.

Invocare responsabilità, giova ribadirlo, significa consentire la partecipazione. Giacché solo attraverso la partecipazione con conseguente assunzione di responsabilità che si può verificare, soprattutto quando le scelte sono impopolari, quali sono i veri valori e obiettivi che ogni sindacato persegue. Perché come a noi del Siulp piace ricordare a quanti mettono tutti sullo stesso livello, “tutti i sindacati sembrano uguali, sino a quando non ne hai bisogno.

È allora che traspare inevitabilmente chi è al servizio dei lavoratori e del Paese e chi, invece, coltiva i propri orticelli, per interessi di bottega o perché al servizio dei padroni di turno.

FLESSIBILITA’ NELLE STRATEGIE RIMANENDO ANCORATI AI NOSTRI VALORI

Ecco perché, condividendo lo slogan del XIX congresso della Cisl “esserci per cambiare”, diciamo senza se e senza ma che il SIULP c’è, e vuole contribuire al cambiamento.

Purché di cambiamento si tratti, nell’interesse generale dei cittadini, dei pensionati, dei lavoratori e delle istituzioni. E non già di gattopardesche manovre poste in essere con finalità regressive.

Ci siamo perché siamo consigliati, oltre che dalla quarantennale esperienza maturata, dai valori confederali tramandati dai nostri padri fondatori, la cui lungimiranza va apprezzata ancor più stanti i sacrifici e le umiliazioni subite nel corso della drammatica epopea che ha fatto da levatrice alla riforma. Valori che sono scolpiti nella nostra carta costituente, quei “dieci Punti di Empoli” che sono per noi, ancora oggi, veri e propri comandamenti. E va ricordato come, di quei 10 fondamentali precetti, solo 3 erano dedicati alle condizioni di miglioramento della dignità lavorativa. Gli altri 7 si preoccupavano di come migliorare il servizio sicurezza da rendere ai cittadini e al paese.

Sono quegli stessi principi da cui, al termine di quella straordinaria stagione di rivendicazione, ha tratto ispirazione il legislatore per definire i presupposti della Legge 121/81, che ancora oggi, a 41 anni dal suo varo, si dimostra capace di adattarsi al mutato corso dei tempi. Un progetto talmente avanzato da risultare ancora non del tutto attuato per l’impreparazione del decisore politico a saper trarre spunto dalle indicazioni lumeggiate da quel testo rivoluzionario.

Così come allora, lo schema della partecipazione dei rappresentanti sociali ai processi decisionali e legislativi appare, date le difficoltà di una congiuntura condizionata da continue impreviste sollecitazioni che minano la tenuta delle Istituzioni repubblicane, l’unico schema proponibile. Occorre insomma, a maggior ragione, un nuovo patto sociale, atteso che si stanno ripresentando, con maggior capacità corrosiva della tenuta democratica, inquietanti scenari che hanno caratterizzato i primi vagiti della nascente storia repubblicana. Crescita incontrollata dell’inflazione, pervasività della criminalità organizzata e reviviscenza di movimenti eversivi sono, per di più, accompagnati dal ritorno di un conflitto bellico alle porte di casa nostra, i cui effetti stanno destrutturando un’economia già messa a dura prova da due anni di emergenza sanitaria.

Una guerra che sta rimettendo in discussione persino la globalizzazione, paradossalmente relegando ancor più sullo sfondo delle priorità la dignità delle persone, svalutata in nome dell’affermazione di logiche di profitto che ingenerano sempre più paure, incertezze, instabilità.

Così come ha fatto, con prese di posizione lineari ed inequivoche in occasione della pandemia da Covid 19, anche sulla guerra in corso tra Ucraina e Russia il Siulp ha manifestato, senza indugio, il proprio punto di vista. Non può essere confuso l’invasore con la vittima dell’invasione, gli usurpatori con gli usurpati. Fedeli alla nostra filosofia che ci vede, da sempre, schierati dalla parte di chi viene prevaricato dai violenti, ci siamo schierati da subito, senza se e senza ma con il popolo ucraino e contro gli invasori. Perché riteniamo che nelle democrazie avanzate debba valere la forza della ragione, e non la ragione dei forti.

Ed è a questa regola che noi ispiriamo il nostro agire quotidiano, in ossequio ai valori costituzionali che abbiamo giurato di difendere. Perché ciò significa, in ultima istanza, onorare l’essenza delle ragioni contenute nelle rivendicazioni del Movimento Democratico dei Poliziotti per la riforma che ha portato al varo della legge 121/81.

IL VALORE DELLA RIFORMA

Spesso, troppo spesso, ho ascoltato presunti “padri” della riforma, e con essi molti altri che di quella straordinaria stagione poco o nulla sanno, affermare che l’essenza della L.121/81 è la smilitarizzazione dei poliziotti.

Valutazione semplicistica e non puntuale, che non rende merito ad uno straordinario processo riformatore che ha rappresentato, e tuttora rappresenta, un pezzo fondamentale di storia del nostro Paese e di evoluzione del nostro sistema democratico.

Ridurre una così epocale ed illuminata scelta legislativa, adottata in un momento estremamente drammatico per il nostro paese e per la stessa tenuta della nostra democrazia, ad una mera operazione di maquillage “togli le stellette e metti gli alamari” , è politicamente miope e socialmente ingeneroso.

Chiedo scusa se mi accaloro su questo punto. Ma è esattamente questo il perno di tutto il processo riformatore che ha positivamente condizionato non solo la politica della sicurezza negli ultimi 42 anni nel nostro paese, ma ha parimenti rafforzato e difeso la nostra democrazia e la nostra civile convivenza.

La vera portata della riforma, a dispetto di chi ha un approccio semplificatorio, fu la “smilitarizzazione della funzione di polizia”. E quindi la revisione delle regole attraverso cui rafforzare e conservare la democrazia nel nostro ordinamento. Parliamo di una legge introdotta nell’ordinamento nel momento in cui lo Stato era posto sotto assedio, con il fuoco incrociato della criminalità organizzata e dell’eversione che ogni giorno mieteva vittime innocenti. Omicidi e stragi che hanno insanguinato le pagine della storia del periodo che viene individuato come quello in cui è stata posta in essere la “strategia della tensione”. E lo Stato, anziché cedere alla facile tentazione di mettere il suo destino nelle mani di chi propugnava la necessità di tornare al mito dell’uomo forte al comando, anche svincolato dal rispetto delle regole democratiche pur di ripristinare un ordine pubblico di facciata, scelse di aprire le istituzioni ai cittadini. Di rendere una casa di vetro quella che, fino ad allora, aveva rappresentato una entità opaca e sfuggente, che era servita, fino ad allora, a reprimere le istanze di giustizia sociale che le piazze invocavano.

Fu così che il glorioso disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, sino a quel momento al servizio dei pochi, dei potenti, contro i tanti che chiedevano dignità di lavoro e certezza di vivibilità, si trasformò nella attuale meravigliosa Polizia di Stato. La migliore Polizia al mondo. E non si tratta di una mia personale valutazione, posto che a tributare questo commendevole successo sono non solo gli Italiani, che confermano da anni il loro massimo gradimento per la nostra Istituzione, ma anche pregevolissimi osservatori internazionali.

Una licenza autocelebrativa che mi auguro sia condivisa da quanti oggi sono qui ad onorare il Siulp con la loro presenza.

Un risultato che affonda le sue radici in quella vera e propria rivoluzione che, oltre ad essere organizzativa ed ordinamentale, fu prima ancora una svolta culturale.

I mezzi dell’allora Reparto Celere si spostarono da dietro i cancelli delle fabbriche, dove gli operai protestavano per una dignità del lavoro e per condizioni lavorative ed economiche accettabili, tra cui spesso si trovavano anche gli stessi familiari dei poliziotti, alla testa e alla coda dei cortei, per garantire l’esercizio del diritto democratico di manifestare.

La Legge 121/1981 dette avvio anche ad un nuovo sistema integrato della gestione della Pubblica Sicurezza, che trovava nel coordinamento, a cura del Capo della Polizia – Direttore Generale della P.S., e del Questore, quale Autorità tecnica territoriale di P.S., il momento più esaltante ed efficace per l’attuazione delle politiche della sicurezza indicate dall’Autorità nazionale.

La intrinseca potenzialità di evoluzione, che come detto è stata frutto della pregevole lucidità degli estensori della legge di riforma, ha consentito alla Polizia di Stato di affrontare le sfide tipiche che incontra una democrazia avanzata, che altro non è se non la capacità di coniugare sicurezza e libertà. Una vocazione che la rinnovata Polizia di Stato ha dimostrato di saper padroneggiare compiutamente. L’equilibrio tra le due facce della stessa medaglia, sicurezza e libertà, è stato assicurato attraverso una saggia equilibratura che ha considerato la libertà come valore assoluto e la sicurezza come il metro attraverso il quale le forme di governo democraticamente scelte dai cittadini consentono di misurare i diritti di cittadinanza attiva sanciti dalla nostra costituzione.

È questo il terreno dove si misura la capacità del nostro agire e la qualità del nostro servizio. Garantire la sicurezza senza la libertà non sarebbe di per sé difficile. Basti pensare per un attimo al coprifuoco, o ad altre forme di costrizione alla libera circolazione, come quella imposta dalla pandemia. Garantirla senza intaccare le libertà, pur nei limiti di esplicazione di essa previsti dalla legge, è la vera sfida a cui quotidianamente siamo chiamati nel nostro servizio. Una difficoltà che, non a caso, abbiamo avuto modo di sintetizzare nel sincretismo “gestire l’ingestibile”.

Perché il lavoro del poliziotto, come dice un caro amico e questore tuttora in servizio, è fatto di sacrifici, sangue e sudore. E, aggiungo io, empatia.

Sono queste le doti che abbiamo utilizzato negli anni della pandemia. Equilibrato senso di umanità che hanno indotto il Presidente Mattarella a conferire alla nostra Bandiera la medaglia d’oro al valor civile. Un ulteriore argomento, ove mai ve ne fosse il bisogno, per manifestare la nostra gratitudine al Presidente della Repubblica.

Tra i tanti effetti provocati dalla crisi pandemica, se non altro, ve ne anche uno che ha schiarito le idee a più di qualcuno e rimesso ogni cosa nel suo giusto alveo. Non abbiamo timore di essere smentiti se affermiamo che sono stati proprio la dedizione e l’impegno dei dipendenti pubblici a fornire un insostituibile sostegno al nostro Paese, così come ai paesi dell’area eurounitaria. Il loro impegno, con grandi sacrifici e gravi perdite, ha garantito beni e servizi essenziali anche nel periodo del lockdown, ed ha consentito di preservare la coesione sociale pur di fronte a decisioni difficili che avrebbero potuto far rovinosamente precipitare il nostro equilibrio sociale.

A tutti coloro che si sono impegnati in questa difficile prova, a tutti i caduti, ai nostri 20 deceduti e agli oltre 30.000 contagiati, un sentito ringraziamento per quanto hanno fatto senza indugiare un solo attimo per il bene collettivo e la sicurezza nazionale.

Ricordo ancora, quando nel febbraio del 2020 è iniziata questa battaglia contro il Covid, quando cioè affrontavamo un nemico sconosciuto che aveva messo in affanno i più illustri scienziati, abbiamo siglato accordi solo grazie ai quali è stato possibile lavorare nelle migliori condizioni di sicurezza possibili secondo le conoscenze di quei momenti. Lo abbiamo fatto assumendo decisioni che in quel momento apparivano come estremamente impopolari.

Abbiamo sostenuto l’adozione del green pass, abbiamo contribuito ad incentivare la somministrazione dei vaccini nei nostri uffici, abbiamo financo invocato l’obbligo vaccinale, pur garantendo il più possibile coloro che, per scelta, avevano sensibilità diverse dalle nostre.

A tale proposito consentitemi un ringraziamento sentito e doveroso nei confronti dei nostri colleghi della Direzione centrale di Sanità per lo spirito di abnegazione, il sacrificio, la professionalità e la tenacia con cui si sono completamente messi a disposizione. E tanto anche quando, all’inizio della crisi sanitaria, mancavano i presidi di protezione. Ciò nonostante hanno, tutti indistintamente, lavorato senza sosta per pianificare gli interventi e per concretamente offrire alle nostre donne ed ai nostri uomini ogni possibile ausilio per prevenire il rischio di contagio, assistendoli altresì durante la fase del decorso della malattia.

Un supporto fondamentale e insostituibile che deve non solo essere rafforzato come dotazioni e come organico, ma che deve anche essere reso più appetibile per i giovani medici e sanitari che non trovano, ad oggi, l’offerta di lavoro presso la Polizia di Stato come sufficientemente attrattiva. Chiederemo per questo alla Ministra Lamorgese, al Sottosegretario Molteni e al capo della Polizia di stimolare il decisore politico ed il legislatore per portare alla rapida approvazione di un mirato intervento legislativo.

IL TRENO DELLA LEGALITA’ E LA TUTELA DELLE HELPING PROFESSION

Nel lontano 1986, ben 36 anni orsono, nel lanciare la prima vertenza sicurezza il SIULP, segnalava come, da lì a poco, l’Italia si sarebbe dovuta organizzare per affrontare il fenomeno immigrazione. Lo dicemmo in un momento in cui il nostro Paese era noto nel mondo per essere il paese degli emigranti con le valigie di cartone tenute assieme dallo spago, e appena 4 anni prima che il Parlamento fosse costretto a varare la prima legge che disciplinava l’ingresso e il soggiorno degli stranieri.

Volevamo denunciare, e far comprendere, quali fossero le criticità di un sistema statale che agiva con la logica settore per settore, piuttosto che ragionare nella prospettiva di una osmosi unitaria di tutte le articolazioni che avevano titolo e competenza nella materia. E per questo introducemmo il concetto del treno della legalità, sulla cui natura dei rispettivi vagoni già mi sono soffermato in apertura dell’odierna relazione. Perché volevamo spiegare, con una metafora di immediato impatto, come, in un convoglio ferroviario, se i vagoni viaggiano a velocità diversa è inevitabile il deragliamento.

Ed è esattamente ciò che si verifica diuturnamente. Un esempio emblematico è quello dell’emergenza carceri. Da circa 41anni (non dico di prima perché ancora non ero in Polizia) si parla del sovraffollamento dei penitenziari. E questo quando, all’altro capo del convoglio, si registrano numeri crescenti di arresti. Una situazione che determina un evidente corto circuito, perché il treno della sicurezza, per poter funzionare, richiede che vi sia un percorso virtuoso che assegna alla reclusione chi viene arrestato.

Il fatto che la popolazione carceraria, attualmente stimata in circa 54mila detenuti, di cui un terzo in attesa di giudizio, è ampiamente superiore alla capacità ricettiva, ha provocato una sequela di condanne derivanti dalla violazione dello spazio minimo garantito a ciascun detenuto, pari a circa 100 euro giornaliere per ciascun caso di denuncia. In precedenza per diminuire la pressione si ricorreva ad amnistie o indulti. Strumenti che vanificavano l’azione di contrasto delle forze di polizia, e verso i quali insorgeva più d’una perplessità. La soluzione per evitare le critiche populiste è stata decisamente peggiore, per non dire incommentabile. Per allargare virtualmente lo spazio minimo a disposizione di ciascun detenuto si è infatti deciso, nientemeno, di lasciare aperte le porte delle celle.

Ed è così che siamo passati dalle porte girevoli alle porte aperte.

Con la conseguenza che questa volta a farne le spese sono i colleghi della polizia Penitenziaria, i quali, dovendo sorvegliare con una sola persona un’intera sezione sovraffollata, si trovano alla mercé delle violenze di persone non esattamente interessate al rispetto della divisa, e sono quotidianamente vittime di aggressioni e pestaggi. Il tutto nel silenzio assordante di tutti. Tranne che dei sindacati di polizia.
Eppure, rispetto alla garanzia dei diritti umani dei detenuti, registriamo numerose associazioni che costantemente operano per verificarne il rispetto, e annualmente pubblicano report per informare la Commissione parlamentare dedicata circa l’andamento del fenomeno.

Che in una democrazia ci sia chi si adopera per il rispetto dei diritti umani dei detenuti, peraltro su mandato di commissioni parlamentari, mi sembra sia cosa giusta e doverosa, soprattutto quella che opera per il rispetto dei 9,5 metri quadrati al netto delle suppellettili. Quello che veramente non riesco a comprendere, nonostante tutti gli sforzi, è come mai questo diritto non si garantisce anche a chi lavora e a chi, come il personale in uniforme, serve e rappresenta lo Stato nel garantire l’ordine e la sicurezza pubblica, e la lotta alla criminalità.

Mi piacerebbe sapere, tra l’altro, cosa ne pensano queste associazioni, e la connessa Commissione parlamentare, degli alloggi messi a disposizione delle donne e degli uomini in uniforme. Li invitiamo cordialmente a venirne a prendere visione, impegnandoci ad accompagnarli in una visita guidata, e a dirci se in quelle stanze i diritti umani sono garantiti.

Ma tornando al tema delle violenze patite dagli operatori, siamo ormai ad una situazione di allarme generalizzato. Registriamo oggi un’aggressione ogni tre al personale in uniforme e, se estendiamo la disamina a tutto quello delle helping profession (infermieri, insegnanti, ferrovieri, ecc.) arriviamo addirittura ad una ogni 3 minuti.

La situazione è talmente grave che ormai molti dei lavoratori interessati, traumatizzati da esperienze vissute personalmente o a cui hanno assistito, si rifiutano di andare al lavoro perché temono per la loro incolumità.

Per cercare di destare le anime particolarmente assopite del decisore politico e legislativo, il SIULP ha promosso persino una raccolta di firme per una legge ad iniziativa popolare che, pur riscuotendo un grande consenso, corre il rischio comunque di arrivare in ritardo rispetto all’urgenza con cui si deve dare una soluzione a questo problema.

Ecco perché anche oggi, oltre ad esprimere solidarietà a tutte queste vittime dell’inerzia del legislatore e degli esecutivi, chiediamo ai Parlamentari presenti e ai rappresentanti del Governo di farsi carico della questione, chiarendoci se c’è o meno la volontà di volerla affrontare.

Sia ben chiaro. Nessuno, men che meno il Siulp, invoca irragionevoli aumenti di pena. Ma tra questo e il nulla, crediamo si possa trovare una soluzione mediana che preveda sanzioni certe e immediate. Come ad esempio sanzioni amministrative di cospicua entità, o lavori socialmente utili che non siano troppo blandi.

Quello che sicuramente non si può continuare a tollerare, con l’astenia delle preposte istituzioni, è che un lavoratore debba accettare supinamente la totale impunità di chi lo aggredisce mentre presta la sua opera.

Se a tutto ciò sommiamo la grave crisi delle agenzie educative, della formazione alla responsabilità, alla cittadinanza attiva, all’inclusione, al rispetto del diverso e al senso civico, ecco che il deragliamento è assicurato e irreversibile.

Pensate per un attimo, senza rammentare cosa accade nei cantieri della TAV dove tra poco sarà più alto il costo per i servizi di O.P. che quello dell’opera, a quanto accaduto nella paciosa Orio al Serio durante un intervento che una Volante aveva fatto per interrompere gare clandestine di giovani a bordo di scooter. Se vige e si amplifica il senso di impunità, perché la massima deterrenza che lo Stato è in grado di assicurare si risolve con una denuncia, che non si sa se e quando – salvo prescrizione quasi certa – esplicherà i suoi effetti, è facile comprendere il perché quei giovani, al sopraggiungere della Volante anziché scappare hanno tentato di salire con lo scooter sopra l’auto della polizia.

Appare difficile chiedere alle giovani generazioni responsabilità in assenza di esempi virtuosi che non vengono loro consegnati. Ecco perché riteniamo urgente e improcrastinabile un intervento legislativo che, attraverso norme specifiche che, oltre ad applicare sanzioni accessorie di natura amministrativa (es.: confisca dei mezzi o degli strumenti utilizzati per commettere i reati) e a implementare i mezzi di difesa degli operatori, prevedano presidi punitivi di immediata efficacia che svolgano funzione di deterrenza.

Oggi non ci interessa fare una disamina di chi sono le responsabilità. Sarebbe lungo e infruttuoso a nostro giudizio. Vogliamo riaccendere il motore della riflessione sociale e dell’iniziativa politica in un dibattito che preveda, oltre alla presenza del SIULP e, ne siamo certi, della CISL, la partecipazione di tutti coloro che condividono l’esigenza di introdurre, nei sensi in premessa, l’argomento nell’agenda delle priorità sociali del Paese.

Il problema è delicato e complesso, e richiede una forte discontinuità nei modelli di analisi e di interpretazione. L’approccio tradizionale, settore per settore, non basta più. Serve un pensiero integrato, in grado di connettere aspettative e bisogni molto diversi tra loro, in grado di conciliare finalità, modelli organizzativi, strumenti di concertazione e partecipazione.

E’ una sfida alta, che affrontiamo con attenzione rigorosa e con il legittimo orgoglio della nostra visione e dei nostri valori.

Ci sono circa seicentomila lavoratori e lavoratrici, nel settore deputato a garantire sicurezza e giustizia. Moltissimi di loro rischiano la vita ogni giorno, e troppi l’hanno già perduta. Queste persone sono una risorsa preziosa e insostituibile: studiano, lavorano, combattono, si oppongono al degrado e tentano di costruire, ogni giorno, una risposta credibile al nostro crescente bisogno di sicurezza.

Molti ci chiedono risposte che la politica non riesce a dare. Molti ci chiedono una presenza costante, che la politica non riesce a garantire. Vogliono proposte e idee che la politica non riesce a pensare. Abbiamo tutti bisogno di risposte vere, non di rassicurazioni generiche.

C’è un divario eccessivo tra il livello dei bisogni dei cittadini e dei lavoratori e quello delle risposte che la politica riesce a dare. Questa sproporzione, che diventa una ferita grave nel corpo della Repubblica, può essere colmata solo con la partecipazione convinta dei cittadini, dei lavoratori e delle rappresentanze sociali del Paese.

La “questione sicurezza e giustizia” non riguarda solo il rapporto tra politica e magistratura. Non è questione “tecnica” e men che meno che riguarda pochi. Interessa la collettività, e per questo deve essere assicurato alla società civile diritto di essere ascoltata attraverso le sue rappresentanze organizzate, a partire dal livello territoriale. Perché per il SIULP il territorio è il punto di partenza di ogni nuova politica dell’Ordine e della sicurezza pubblica.

Sul territorio vivono i cittadini, sul territorio si manifestano i rischi ed i problemi per la sicurezza, sul territorio si schierano le risorse per contrastare il crimine.

Il perno del rapporto moderno tra società civile e polizia passa attraverso la presenza nel territorio, la collaborazione attiva e il dialogo con il cittadino. Vogliamo una nuova funzione di polizia che aderisce al territorio, motiva il poliziotto a confrontarsi col cittadino ed obbliga la dirigenza a mettere a fuoco gli obiettivi, ed a valutarne i risultati conseguiti insieme all’utente. Questo tipo di rapporto produce sicurezza perché il cittadino sa che la Polizia c’è, che la può contattare, che è al suo servizio e che conosce i suoi bisogni.

Risultato che non si può raggiungere senza stabilire una rete di relazioni con tutte le componenti del territorio: dalle imprese agli enti locali, ai servizi pubblici, dall’associazionismo civile al tessuto commerciale ed ai governi locali. Ecco in che modo si rende visibile il valore del coordinamento e del decentramento.

Per fare questo passaggio culturale dalla visione frazionata e gerarchica alla visione integrata, civile e democratica della sicurezza non serve una riforma. Quasi tutto quello che serve c’è già. Lo aveva già previsto la L. 121/1981. Manca solo la volontà di dar corso alle iniziative di stimolo.

Nella logica dell’integrazione, è necessario che ciascuno faccia ciò che sa fare meglio. La magistratura svolga la funzione giudicante nella massima autonomia e le Forze dell’Ordine svolgano quella investigativa, nell’altrettanto massima autonomia.

Noi vogliamo recuperare la professionalità investigativa, rilanciando la funzione territoriale perché solo chi opera sul territorio conosce quella realtà. Vogliamo alimentare e far crescere una cultura della sicurezza serena e non urlata, che riconosca la professionalità dell’investigatore nel pieno rispetto delle competenze dell’Autorità giudiziaria, convinti del fatto che, in un paese democratico, il vaglio della magistratura sull’attività di polizia rimane l’unica vera, salda garanzia di trasparenza e di legalità.

Ci sono molte soluzioni a costo zero. Per modernizzare e riscrivere la funzione dell’Ordine Pubblico rispetto ai territori ed alle esigenze della cittadinanza è necessario ridisegnare le presenze sul territorio, basandoci sul concetto chiave di coordinamento e integrazione.

Per qualificare il momento della determinazione delle policy, bisogna renderlo partecipativo, mettendo a punto un sistema stabile di confronto che coinvolga i territori, magari arricchendo i contenuti dei Comitati per l’Ordine Pubblico già istituiti.

Per combattere l’obsolescenza delle competenze e la delegittimazione degli operatori e per introdurre nella progettazione dei servizi i criteri di qualità della prestazione, flessibilità, autonomia bisogna garantire investimenti in formazione e riqualificazione oltre che la partecipazione.

Per risolvere la questione della Dirigenza, della sua autonomia e dell’ambito delle reali responsabilità, è necessario garantire l’equilibrio dei poteri e la trasparenza delle valutazioni sui meriti e gli sviluppi di carriera.

Ma se si vuole davvero mettere mano al settore della Sicurezza e della Giustizia, allora è necessario mettere a punto un modello certo di relazioni sindacali.

Senza un metodo di confronto definito, tanto i progetti tecnocratici di cambiamento quanto i progetti gattopardeschi di conservazione dell’esistente sono destinati a sbriciolarsi.

Senza la partecipazione dei lavoratori non si costruisce niente di stabile.

Le risposte possibili, per il SIULP, sono l’organizzazione dei servizi come “filiera” delle soluzioni ai problemi dei cittadini.

La compresenza di molti soggetti diversi e specializzati ci consente di introdurre, per la prima volta nell’Amministrazione Pubblica, il concetto di “filiera” così come noi lo intendiamo. Ogni apparato organizzato è composto di parti diverse. L’obiettivo è quello di trasformare i pezzi separati nelle parti comunicanti di un sistema che funziona come una macchina messa a punto bene.

La diversità acquista valore se mettiamo in comune tutte le risorse che abbiamo, seguendo la stessa logica con coerenza.

La diversità produce valore se fa parte di un progetto condiviso, nel quale ognuno ritrova un ruolo definito e dei vantaggi tangibili.

Alla domanda: “che tipo di sicurezza offriamo?” ciascun segmento della filiera risponde con il proprio strumento specifico (il contrasto al crimine, la lotta al cyber crime, la lotta all’evasione, il controllo del traffico, l’emergenza incendi, la repressione delle frodi, la programmazione delle risorse boschive, ecc.), ma la “filiera della Sicurezza e Giustizia”, nel suo insieme, realizza qualcosa di nuovo ed originale, che non è la semplice somma delle parti.

I cittadini non trovano soltanto la soluzione dei propri problemi, ma stabiliscono rapporti diretti di confronto sugli obiettivi e sulle risorse, in modo da creare un processo di partecipazione e condivisione trasparente su tutti e due i lati.

Ma per fare tutto ciò occorre il ruolo forte dei cittadini e dei lavoratori nel processo di riforma del paese.

Più cerchiamo risposte ai nostri bisogni, più ci rendiamo conto che ci serve un pensiero divergente, visionario, utopistico. Dobbiamo recuperare il respiro ampio che ha guidato la ricostruzione del dopoguerra. Abbiamo una quantità enorme di problemi da risolvere e pochi mezzi per farlo, un sistema economico in crisi e strumenti culturali del passato, che non sono applicabili, non ci aiutano a disegnare il nuovo. Anzi, ci sono di ostacolo.

Lasciamo per un momento il terreno della disquisizione tecnica, del dettaglio, del particolare, per “ragionare in largo”. Pensiamo al sistema Paese, recuperando, innanzitutto, la funzione ed il senso nobile della politica: misura della democrazia, disegno del futuro, strumento di elaborazione di valori umani.

Siamo di fronte ad un modello di competizione che rimette in discussione diritti, qualità e valori, creando le condizioni per una diffusione capillare dell’insicurezza, dell’insoddisfazione, dell’ansia e della povertà.

Non possiamo accettare questa logica che riduce ogni cosa al suo prezzo. Abbiamo il bisogno/dovere di pensare un’etica nuova, una visione dell’uomo diversa da quella che rende la nostra società indifferente.

La visione del SIULP è quella di una politica attiva che si confronta con il sindacato, che riforma il Paese e tutela cittadini e lavoratori.

Noi vogliamo andare a passo spedito verso la società solidale vogliamo affermare la realizzabilità di una società più giusta e, quindi, più sicura. Nella nostra visione c’è un Paese che guarda alla sicurezza come politica sociale, come prodotto della filiera integrata della qualità della vita, non come un risultato chiuso in sé stesso, difeso solo con le armi e la forza.

Nella nostra visione ci sono soluzioni che conciliano i diritti dei cittadini con quelli dei lavoratori del settore, che mettono insieme i forti a tutela dei deboli, che mettono insieme il meglio per condividere le migliori condizioni di vita.

Ecco perché abbiamo lavorato per migliorare gli strumenti negoziali e le relazioni sindacali.

In questo progetto, il coordinamento e l’integrazione servono a mettere insieme parti che fino ad oggi sono rimaste separate nella logica dei settori, mentre diventano correlate ed attive nella logica della filiera della qualità della vita che vogliamo realizzare.

In questo progetto, la chiave di volta è rappresentata dalla costruzione di un quadro chiaro ed affidabile di relazioni negoziali, per arrivare a costruire un sistema pubblico che sia filiera coerente, capace di produrre servizi correlati ai bisogni dei cittadini e compatibili con le risorse disponibili.

Nel nostro progetto vogliamo garantire l’equilibrio dei poteri decisionali e delle funzioni. Per questo chiediamo con forza investimenti in formazione: per difendere i livelli di professionalità reale e valorizzare i potenziali di cui disponiamo, per dare trasparenza ai percorsi professionali ed agli strumenti di valutazione.

Si costruisce il futuro andando verso il futuro. Qualunque viaggio comincia con un passo. Compreso questo.

L’obiettivo primario dell’iniziativa SIULP è di contribuire alla diffusione di una cultura integrata della sicurezza e della giustizia, che interpreta i bisogni dei singoli cittadini, delle famiglie, delle comunità locali, dei territori del Paese.

Il tema sicurezza e giustizia, nel nuovo progetto SIULP, si allarga verso un’accezione più ampia, diventa parte della trama di civiltà dei diritti e della convivenza che abbiamo contribuito a disegnare in questi anni.

Per questo, avvertendo la necessità di avere strumenti che ci consentano di fare analisi e interventi sempre più veloci rispetto alle richieste dei cittadini, abbiamo lanciato la sfida per trasformare la polizia di prevenzione in polizia di predizione. Una innovazione che richiederà l’ennesima rivoluzione culturale della nostra gente prima ancora che organizzativa e ordinamentale. Una scelta però inevitabile che va fatta e governata tenendo conto di tutti gli aspetti, compresi quelli etici e sociali, che investe e le eventuali criticità che ne potranno scaturire. Non per ultimo la preoccupazione che l’intelligenza artificiale possa sopraffare e sostituire quella umana. Ma su questo tema abbiamo dedicato una sessione specifica, mettendo insieme le migliori professionalità e la massima autorità del nostro Paese, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Franco Gabrielli quale Autorità delegata alla sicurezza nazionale, e pertanto non mi soffermo oltre.

LA DEVIANZA GIOVANILE E LE BABY GANG

Quanto sinora rappresentato crediamo possa a pieno titolo essere considerato tra i fattori dei comportamenti deviati da parte di alcuni giovani. Un fenomeno estremamente allarmante e pericoloso. Più delle stesse baby gang, come affermato da attenti poliziotti che stanno analizzando e seguendo il fenomeno. Un’affermazione che il SIULP condivide e fa propria perché mentre quando parliamo delle Baby gang ci riferiamo ad una struttura organizzata, definita dove ogni suo appartenente ha un ruolo codificato, il fenomeno della devianza giovanile, sicuramente agevolato per effetto della presunta immunità, può interessare ogni singolo giovane nel momento in cui, unendosi al gruppo, al “branco” cosi si dice in gergo, assume gli stessi comportamenti degli altri pur essendo, apparentemente, lontano da quei tipi di atteggiamenti. Ciò significa che ci troviamo di fronte ad un fenomeno che può essere ampliato anche solo dall’effetto emulativo e, in quanto tale, può interessare ogni singolo ragazzo, anche chi nella quotidianità sembra estraneo e lontano da questi atteggiamenti.

Questo è un altro dei motivi per giungere quanto prima ad un tavolo che disciplini sul piano nazionale le modalità operative di intervento bilanciando tutti gli interessi in campo ma garantendo immediatezza e certezza della sanzione.

LE CRITICITA’ DEI TAGLI: L’INNOVAZIONE COME SOLUZIONE

Le criticità emerse durante la fase pandemica hanno confermato la denuncia che da oltre 15 anni il Siulp sta facendo. Il blocco del rinnovo dei contratti, quello del tetto salariale e soprattutto del turn over, insieme al taglio degli organici operati con la legge Madia, per effetto della pandemia che ha costretto ad un nuovo parziale blocco degli arruolamenti, ha fatto emergere in tutta la sua drammaticità la gravissima carenza di organico e la grave emorragia che si verificherà da qui al 2030. Entro quella data ben 40.000 degli attuali 95.000 poliziotti in servizio, per raggiunti limiti di età, lasceranno il servizio.

Se a questi si dovessero aggiungere coloro i quali hanno i requisiti per accedere alla pensione di anzianità, l’emorragia salirebbe a quota 50.000 circa.

Una situazione che corre il rischio di paralizzare il sistema sicurezza e pregiudicare la lotta alla criminalità organizzata e eversiva. Ma anche su questa tematica abbiamo dedicato un’altra sessione specifica per affrontarla nel dettaglio alla presenza del Capo della Polizia e del Ministro Lamorgese.

CONCLUSIONI

Questa è la visione del SIULP per le sfide dei prossimi anni.

Lo scorso congresso dissi che avrei voluto un SIULP che si basasse sulla concretezza più che sulla retorica, che confermasse la sua indiscussa soggettività, che guardasse ai nuovi orizzonti europei e alle nuove sfide forte dei suoi primi trent’anni, consapevole di essere protagonista del futuro; che fosse responsabile, forte, imparziale e capace di contrastare ogni interlocutore quando assumeva la veste di nemico; che fosse ricco di ideologie differenti ma capace di sintesi; che diventasse sempre più organizzazione e sempre meno un insieme di gruppi al seguito di qualcuno; che sapesse sempre dove andare e cosa fare.

Allora avevo un sogno. Oggi, questo sogno, grazie a tutti Voi si è realizzato, è una realtà.

Oggi, dopo questo complicato e lungo mandato, voglio dire che ho visto il SIULP che volevo. Lo vedo perché questo SIULP è lo stesso SIULP che tutti i suoi iscritti volevano, forte, autorevole e presente nel garantire i diritti di libertà e di dignità, finalmente anche ai Colleghi militari.

Avevamo bisogno di stabilire una meta, un punto d’approdo anche per i prossimi anni, e io ve ne ho indicate alcune.

Spetta a voi ora decidere se questa è la nostra rotta, e chi debba essere il timoniere. Sono Felice, adesso, di nome e di fatto, perché ho fatto tutto quello che potevo fare, e di più, credetemi, per ora, non si poteva.

Ma questo è stato possibile solo grazie a Voi. A Voi che oggi deciderete il futuro del nostro SIULP.

Grazie e buon lavoro a tutti.

Viva l’Italia, viva il SIULP, viva la Polizia di Stato.

 

Relazione introduttiva

Advertisement