Responsabilità per i commenti sui social

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La Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Pătraşcu c. Romania del 7 gennaio 2025 ha precisato che l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione non è compatibile con la Convenzione se le autorità nazionali non hanno considerato l’interesse generale della questione controversa, precisando che una responsabilità per commenti di altri, considerati diffamatori, non può essere ammissibile se non vi sia un preciso quadro normativo, anche nel caso di utilizzo di espressioni sferzanti delineando il perimetro entro il quale può essere affermata una responsabilità per i commenti altrui apparsi sulla propria pagina Facebook.

Il ricorso ha tratto origine da un ricorso contro una condanna al risarcimento dei danni riportata da un cittadino rumeno che aveva pubblicato un post provocando un’azione civile da parte di persone che si erano ritenute diffamate sia dal post che dai commenti di terzi comparsi in calce a quest’ultimo.

Il ricorrente nel ricorso proposto alla Corte Europea, ha eccepito che la condanna sia per i propri contenuti sia per i commenti di terzi costituisse una violazione dell’articolo 10 della Cedu. La Corte ha accolto il ricorso con le seguenti motivazioni.

Con riferimento ai contenuti pubblicati dal ricorrente, i giudici di Strasburgo hanno rilevato come il giudice di merito aveva omesso di svolgere una compiuta analisi sul contributo che le esternazioni pur sferzanti del ricorrente avevano offerto a un dibattito di interesse generale. Inoltre, i giudici rumeni non avevano tenuto in conto dell’apporto dato dagli attori in giudizio, con il loro operato, alla più ampia circolazione dei commenti asseritamente diffamatori, oltre che il potenziale effetto dissuasivo rispetto all’esercizio della libertà di espressione di una pronuncia di condanna. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha così concluso che i giudizi nazionali non avevano dimostrato che la limitazione fosse necessaria a tutelare un interesse sociale rilevante e proporzionata a tale scopo.

Per ciò che concerneva, invece, i commenti di utenti terzi apparsi in calce ai post Facebook del ricorrente, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rilevato come le norme dell’ordinamento nazionale rilevanti non contenessero alcuna indicazione circa l’obbligo per il titolare di una pagina di un social network di monitorare i messaggi pubblicati da terze parti, né sulle le modalità di un eventuale siffatto controllo.

Secondo la Corte di Strasburgo, i giudici nazionali si sono spinti oltre il significato letterale e immediato delle disposizioni invocate per affermare la responsabilità del ricorrente. Le norme applicate dai giudici nazionali non possono considerarsi sufficientemente chiare e dettagliate per mettere al riparo i cittadini da possibili ingerenze delle autorità pubbliche nell’esercizio della libertà di espressione. Tali basi giuridiche non hanno individuato il perimetro e le modalità per l’esercizio da parte del ricorrente della libertà di espressione anche rispetto alla moderazione di contenuti di terzi in modo da garantire il livello di protezione richiesto in una società democratica. La Corte ha così dichiarato la violazione dell’articolo 10 della Cedu anche con riguardo alla condanna per i contenuti di terzi.

 

 

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