Il taglio della pensione di reversibilità in caso di cumulo con altro reddito del beneficiario non può essere più alto del reddito stesso. Il principio, enunciato dalla Corte Costituzionale con una sentenza del 2022, viene ora recepito dall’INPS, con Circolare n. 108 del 22 dicembre 2023. La Corte Costituzionale aveva definito illegittima la legge 335/1995 nella parte in cui, in caso di cumulo tra pensione ai superstiti e redditi aggiuntivi non prevede un limite alla decurtazione effettiva, rapportato alla concorrenza dei redditi stessi.
L’INPS procederà, pertanto, al riesame d’ufficio dei trattamenti pensionistici interessati, con il ricalcolo delle spettanze. Il punto controverso riguardava i parametri utilizzati per stabilire le percentuali di decurtazione della pensione di reversibilità a fronte di redditi aggiuntivi del beneficiario, indicati nella Tabella F allegata alla legge 335/1995, che prevedono quanto segue:
- con reddito fino a tre volte il trattamento minimo INPS, la pensione è interamente cumulabile con i redditi del beneficiario;
- con reddito superiore a tre volte il minimo INPS, la pensione è cumulabile per il 75% con i redditi del beneficiario (riduzione del 25%);
- con reddito superiore a quattro volte il minimo INPS, la pensione è cumulabile per il 60% con i redditi del beneficiario (riduzione del 40%);
- con reddito superiore a cinque volte il minimo INPS, la pensione è cumulabile per il 50% con i redditi del beneficiario (riduzione del 50%).
- Il trattamento derivante dal cumulo non può comunque essere inferiore a quello che spetterebbe se il reddito risultasse pari al limite massimo delle fasce precedenti.
Tuttavia, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, la decurtazione non può comportare una riduzione superiore ai redditi percepiti. Di conseguenza