Rotta balcanica – Riammissioni – criticità.

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Ultimo aggiornamento 16/01/2021

Rotta balcanica – Riammissioni – criticità. Richiesta chiarimenti per salvaguardia del personale operante.

Riportiamo il testo della lettera inviata in data 12 gennaio u.s. al Ministro dell’Interno, Pref. Luciana Lamorgese:

“Pregiatissima Signora Ministra,

la questione della riammissione dei cittadini migranti che accedono al territorio italiano dalla c.d. rotta balcanica è, da mesi, oggetto di un acceso dibattito pubblico. Animato principalmente da organizzazioni non governative, dei cui temi si sono però appropriati anche esponenti parlamentari.

I quali ultimi, sia in occasione di incontri pubblici che con formali interrogazioni inoltrate nella sede istituzionale, hanno rilanciato le severe critiche sulla gestione della crisi di cui siamo ad occuparci preannunciando, in caso di non risposte denunce all’A.G. per accertare se i comportamenti degli operatori di polizia siano corrispondenti alle norme vigenti.

La problematica non è affatto inedita, visto che le polemiche in menzione hanno avuto inizio verso la tarda primavera dello scorso anno. Allorquando la frontiera nordestina è stata sottoposta ad una crescente pressione migratoria che ha messo in seria difficoltà gli uffici della Polizia di Stato preposti ai controlli di frontiera, anche con inevitabili ricadute sugli uffici amministrativi delle questure territoriali chiamate ad adempiere agli incombenti di competenza.

Una congiuntura resa ancor più drammatica dalla concorrenza dell’emergenza sanitaria che, in ossequio al rispetto dei rigorosi protocolli di prevenzione, ha imposto ulteriori appesantimenti alle già non agevoli condizioni di lavoro sopportate dal personale impegnato ad arginare questa inarrestabile marea di umana disperazione.

Invero nemmeno noi siamo ad occuparci di questo fenomeno epocale per la prima volta.
Infatti le crescenti criticità operative, determinate oltre che dall’inadeguatezza delle risorse umane e logistico-strumentali soprattutto dall’assenza di chiare disposizioni circa le modalità operative da seguire per eseguire le riammissioni, sono state oggetto di risalenti, plurime accorate segnalazioni delle nostre segreterie provinciali di riferimento, di cui ci siamo resi interpreti presso le articolazioni ministeriali di riferimento.

Ma non è della carenza degli organici e dell’inadeguatezza delle strutture interessate da questa diuturna pressione che siamo a voler discutere oggi, non certo perché il tema non meriti di essere approfondito, che anzi, per quella che è l’impressione che ci viene restituita da chi opera in prima linea su questo desolante scenario, non è lontano il momento in cui, in mancanza di un tempestivo rafforzamento complessivo dell’apparato, cominceranno ad essere avvertiti i primi sintomi premonitori di una vera e propria paralisi operativa.

In altri termini vogliamo sottolineare che è sbagliato pensare che per affrontare strutturalmente questa vicenda si possa continuare a fare affidamento solo sulla meritoria dedizione delle donne e degli uomini della Polizia di Stato. Questa impostazione non può essere più consentita dopo defatiganti mesi in cui le pressanti esigenze di servizio sono state soddisfatte solo grazie a – o forse sarebbe più corretto dire al prezzo di – sacrifici e pesanti compressioni delle relazioni personali e familiari dei colleghi interessati. E dunque, ferme restando tutte le – sinora disattese – rivendicazioni circa le dianzi rinnovate doglianze, dobbiamo nostro malgrado segnalare come sia rimasta irrisolta anche la nostra, oggi assai più cogente, richiesta di dipanare l’ingarbugliato groviglio normativo che regola le riammissioni verso la Slovenia e quindi le modalità operative da seguire che oggi le ONG, ma ora anche gli esponenti politici, dichiarano illegittime.

Non è certo un caso se, stanti le soverchianti incertezze ermeneutiche, all’inizio del 2020 è stata la stessa Segreteria del Ministero dell’Interno a sentire la necessità di chiarire come, nonostante lo ius superveniens di fonte comunitaria, dovesse continuare a trovare applicazione l’accordo bilaterale italo sloveno sui rimpatri del 1996. E se, per fornire gli opportuni raccordi operativi, sono poi stati convocati specifici tavoli tecnici che hanno visto, tra l’altro, la partecipazione delle autorità di P.S. delle province di Gorizia e Trieste.

Purtroppo queste linee guida, che sono rimaste confinate al tavolo istituzionale e mai rese disponibili in formali disposizioni operative, sono proprio quelle stigmatizzate con inusitata ruvidità dagli esponenti di organizzazioni non governative e dai componenti dei rami parlamentari a cui abbiamo fatto cenno in apertura della presente.

Le ambiguità nelle distoniche risposte fornite da diversi canali governativi che si sono succedute non hanno evidentemente contribuito a ricomporre le ricordate contrapposizioni, offrendo anzi nuovi spunti di disapprovazione al fronte della contestazione, che oltre ad aver portato la protesta all’attenzione della pubblica opinione minaccia ora, sempre che già non l’abbia fatto, di formalizzare le proprie ragioni anche in sede giurisdizionale.

Tornano quindi, in tutta la loro consistenza, le inquietudini e le perplessità che già avevamo avuto occasione di partecipare al Suo Dipartimento con una nostra nota dello scorso 13 luglio, nella quale avevamo segnalato le opacità nelle disposizioni operative e la sostanziale mancanza di direttive politiche chiare e specifiche circa le regole d’ingaggio da seguire in caso di rintraccio dei migranti, soprattutto in relazione alle c.d. riammissioni informali, disciplinate sì dal vigente accordo bilaterale con la Slovenia, che però contrasterebbe con le previsioni dell’accordo di Dublino, che, essendo ancora formalmente in vigore, richiederebbero procedure di maggior garanzia nei confronti di chi abbia manifestato l’intenzione di richiedere la protezione internazionale.

Orbene, se in quella circostanza avevamo rappresentato come queste incertezze andavano ad esporre gli operatori della Polizia di Stato, già gravati da condizioni di servizio estreme, ad un ulteriore sovraccarico emotivo derivante dalle potenziali iniziative degli attivisti e dei politici che si sono dimostrati particolarmente sensibili alle vicissitudini in narrativa, il quadro normativo non ben definito, per non dire confuso e a volte persino contraddittorio con il quale ci si confronta, suscita oggi nuove apprensioni, non essendo affatto da escludere che il fronte critico decida, come già ha preannunciato, e sempre che già non l’abbia fatto, di sottoporre le proprie tesi al vaglio dell’autorità giudiziaria.

Nel qual caso sarebbe l’intera filiera della Polizia di Stato, in assenza di uno stabile approdo interpretativo della normativa di riferimento, che rischierebbe di vedersi sottoposta a rigorosa disamina processuale l’odierna prassi operativa. Un’esperienza purtroppo niente affatto inedita a quelle latitudini, fortunatamente conclusa con l’accertamento dell’assoluta infondatezza del teorema accusatorio, ma con frustrazioni morali, e ricadute professionali devastanti, in sintesi con insopportabili costi umani provocati dall’estenuante attesa di un verdetto per il quale si sono dovuti attendere otto lunghi anni.

Un supplizio la reiterazione del quale crediamo vada scongiurato ad ogni costo.

I poliziotti, quindi, non possono essere ulteriormente lasciati in balia delle lamentate incertezze interpretative. Non può essere loro imposto di orientarsi in un coacervo normativo che districare il quale dovrebbe essere avvertito come una doverosa assunzione di responsabilità in chi ha le prescritte competenze politiche ed istituzionali.

Ed è per questo che, confidando nella Sua consueta sensibilità ed attenzione alle problematiche che attengono al personale, siamo a richiederLe di farsi parte attiva affinché vi siano direttive operative chiare e univoche su cui possa fare affidamento chi è chiamato ad operare nella fascia di confine con la Slovenia, così assicurando un equilibrato e sereno adempimento della mission istituzionale a cui è preposto, senza dover convivere con l’affanno di subire linciaggi mediatici o, peggio ancora, calvari giudiziari.

Conoscendo la Sua sensibilità e l’attenzione che pone per il personale delle Forze di Polizia in generale e per quello della Polizia di Stato in particolare, confidiamo in un Suo cortese e tempestivo intervento per ridare serenità a chi opera sul quel fronte su un terreno estremamente delicato e complesso atteso che decide della vita delle persone.

Con sentimenti di elevata e rinnovata stima”

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