Uso di strumenti di ripresa visiva o sonora non in dotazione da parte delle forze di Polizia
Nel n. 3 del 25 gennaio 2018 ci siamo occupati della problematica relativa alla liceità delle riprese effettuate nei confronti dei rappresentanti delle forze di polizia nel corso di operazioni di controllo o presenti in manifestazioni o avvenimenti pubblici.
L’occasione ci era stata fornita dalla newsletter n. 359 del 7 giugno 2012 con cui il Garante della privacy, in risposta a un quesito del Ministero dell’interno relativo alla liceità dell’acquisizione e della diffusione in rete di immagini riprese da privati nel corso di controlli della polizia, affermava la legittimità di tali riprese purché ciò non fosse espressamente vietato dall’Autorità pubblica e a condizione che l’uso delle stesse riprese rispettasse i limiti e le condizioni dettate dal Codice in materia di protezione dei dati personali.
Ricordiamo che, nella circostanza, il Garante ribadiva il principio che dette immagini e filmati rientrano nella definizione di dato personale, e sia la loro acquisizione che ogni forma di diffusione costituiscono un trattamento di dati ai quali si applica la disciplina del Codice privacy.
Oggi, invece, ci occupiamo dello stesso problema ma a parti invertite, e cioè se ed entro quali limiti possa essere consentito all’appartenente alle Forze dell’Ordine di far autonomamente uso di strumenti di ripresa visiva e/o
sonora non rientranti tra quelli previsti nella dotazione individuale o di reparto, riprendendo immagini video e audio, di persone e situazioni nel corso della propria attività istituzionale.
Il destro ci viene, stavolta, offerto dalla giurisprudenza amministrativa. Il provvedimento che proponiamo all’attenzione dei nostri lettori è la Sentenza n. 00427/2021 del 15 maggio 2021 del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima).
La questione di fatto concerne il ricorso proposto da un dipendente della Polizia di Stato per l’annullamento di una sanzione disciplinare irrogatagli perché, in più occasioni, durante servizi di ordine pubblico, “del tutto autonomamente e senza autorizzazione dei superiori gerarchici ed in violazione delle normative, ordinamentali ed interne di servizio, ha fatto uso di strumenti di captazione visiva e/o sonora non rientranti tra quelli previsti nella dotazione di reparto o individuale, occultati sulla sua persona, riprendendo immagini video e audio, di persone e situazioni, senza i prescritti presidi di garanzia per coloro che venivano ripresi. Nell’immediatezza, il medesimo non ha informato il dirigente del servizio delle evidenze delle riprese, neanche quando dalle stesse emergevano ipotesi di reato o spunti investigativi, che se prontamente condivise, avrebbero potuto sviluppare indagini mirate al perseguimento degli autori del reato. Con tale condotta, ha svolto funzioni che esulano dal suo status di operatore di Reparto mobile, travalicandone i limiti, per il soddisfacimento di un interesse economico personale, realizzato in più occasioni, attraverso la riscossione di somme di denaro a titolo di ristoro, quale parte offesa nel reato di oltraggio a pubblico ufficiale, determinando, così, uno sviamento delle finalità pubbliche ed istituzionali che un appartenente alla Polizia di Stato è chiamato a perseguire”.
Diciamo subito che il TAR ha rigettato il ricorso confermando la sanzione al ricorrente.
Il Tribunale ha osservato, nel merito, che in nessuna direttiva emanata dal Dipartimento della P.S. si paventa la possibilità che gli operatori di polizia impegnati nei servizi di ordine pubblico possano utilizzare apparati di proprietà personale o, comunque, possano effettuare riprese in assenza di uno specifico ordine del dirigente responsabile del servizio o di che ne fa temporaneamente le veci.
Peraltro, secondo i giudici, le riprese effettuate dalla Polizia Scientifica e le successive indagini della DIGOS consentono normalmente di individuare gli autori di condotte vietate dal Codice penale e dalla L. n. 401/1989 e s.m.i., come confermato dal crescente numero di D.A.SPO. adottati dai Questori fino alla primavera del 2020.
Alla luce delle considerazioni che precedono il Tribunale ha respinto il ricorso per l’annullamento della sanzione disciplinare, ritenendo la rilevanza disciplinare dei seguenti comportamenti e cioè:
- avere effettuato le riprese mediante apparecchiature di proprietà privata e quindi non rientranti nella dotazione di reparto o individuale;
- avere occultato tali dispositivi all’interno della divisa e averli utilizzati senza autorizzazione dei superiori gerarchici;
- non avere informato, con la dovuta immediatezza, la catena gerarchica del contenuto delle video-registrazioni, nemmeno quando dalle stesse emergevano ipotesi di reato o spunti investigativi;
- avere informato i superiori solo dopo aver svolto un’autonoma attività di cernita del materiale acquisito, attività alla quale il ricorrente non era preposto in quanto non impiegato in un gabinetto della Polizia Scientifica, né ad ufficio investigativo, né ad una sezione di Polizia Giudiziaria.
A margine del commento alla sentenza del TAR Marche dobbiamo ricordare che il Dipartimento della pubblica sicurezza, con la circolare del 26 settembre 2023 ha aggiornato le precedenti indicazioni impartite con la circolare del 24 ottobre 2019.
Gli operatori della polizia di Stato, specifica innanzitutto la nota, «in relazione alle delicate funzioni che sono chiamati ad assolvere, sono assoggettati a un particolare regime giuridico. Ciò impone nell’utilizzo delle piattaforme di messaggistica e dei social media una rigorosa disciplina comportamentale, che, proprio con riferimento agli episodi evidenziati, si concretizza principalmente nel dovere di non rilevare a terzi informazioni e dati, ne di pubblicare notizie, immagini ovvero audio relativi ad attività di servizio che, anche se apparentemente insignificanti, possono arrecare nocumento all’efficacia dei servizi di polizia e, in generale, alla funzionalità dell’Amministrazione, ovvero alla privacy di terze persone».
In buona sostanza gli operatori di polizia hanno un dovere di riserbo e continenza. Doveri «la cui violazione, in aggiunta ai riflessi negativi sull’immagine della polizia di Stato, comporta oltre all’applicazione di sanzioni disciplinari anche la configurabilità di responsabilità penali, correlate all’eventuale violazione delle disposizioni a presidio del segreto degli atti di indagine e del segreto d’ufficio». La ripresa audio video di un’attività istituzionale è di fatto una parte integrante della relazione di servizio e quando l’attività si qualifica di polizia giudiziaria la questione assume connotazioni ancora più delicate e complesse.
Recentemente, inoltre, anche il Garante per la protezione dei dati personali ha sanzionato il Viminale proprio per la diffusione illecita di foto e video di persone identificate o identificabili. Con una correlata responsabilità erariale del soggetto responsabile e una possibile responsabilità anche di carattere penale e civile dello stesso.
Pertanto, conclude la circolare, se l’operatore di polizia ha necessità di raccogliere documentazione fotografica ed audiovisiva per specifiche attività di indagine, «gli operatori possono utilizzare i dispositivi di ripresa privati quando siano indisponibili gli strumenti in dotazione a ciò destinati o gli operatori adibiti allo specifico servizio, con la precisazione che a tali riprese devono ritenersi applicabili le prescritte norme penali e disciplinari. In tali casi, le riprese fotografiche e audio – video effettuate per finalità di polizia dovranno essere tempestivamente trasferite sul supporto di memoria digitale messo a disposizione dall’ufficio incaricato di conservare la documentazione probatoria e cancellate dal dispositivo personale».