Utilizzo dei social network e di applicazioni di messaggistica da parte degli operatori della Polizia di Stato

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N. 555DOC/C/SPEC/SPMAS/5428/19

Recentemente sono stati registrati episodi in cui operatori della Polizia di Stato, attraverso l’utilizzo di social nehwork o di applicazioni di messaggistica (ad esempio “WhatsApp”), si sono resi autori di esternazioni, spesso accompagnate da video, audio e foto, dal contenuto inappropriato e, in taluni casi, con profili di natura penale e/o disciplinare.
Alcuni poliziotti hanno anche pubblicato sui suddetti mezzi di comunicazione, attraverso la propria identità digitale, affermazioni sul proprio lavoro, foto in uniforme, spesso con armi di ordinanza, con indicazioni della sede di servizio o di residenza, nonché con le proprie generalità.

AI riguardo, si sottolinea innanzitutto che l’attività di polizia impone il massimo riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione potrebbe recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, oltre che alla propria ed a quella dei colleghi.

Sul terna è bene prendere le mosse dalla normativa Costituzionale (artt. 3, 15 e 21).

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È indubbio che la libertà di corrispondenza e di comunicazione nonché il principio di uguaglianza, per consolidata e antica giurisprudenza costituzionale, possono subire delle limitazioni in casi particolari, che, lungi dallo snaturarne il contenuto di diritto assoluto, fondamentale e inalienabile nel nostro ordinamento, ne rafforzano invece la ratio.

Infatti, corollario del principio di uguaglianza (‘) è il più generale principio di ragionevolezza alla luce del quale la legge deve regolare in maniera uguale situazioni simili ed in maniera diversa situazioni differenti, con la conseguenza che la disparità di trattamento trova giustificazione nella diversità delle situazioni disciplinate.

Orbene è pacifico che l’appartenente alla Polizia di Stato, rispetto alla generalità dei cittadini e anche agli altri pubblici dipendenti, è assoggettato ad un regime giuridico peculiare, in considerazione dei delicati compiti istituzionali (parere dell’Avvocatura Generale dello Stato n. 44192/2016 sez. IV).

Questa specifica disciplina giuridica (2), prevista da fonti normative o di natura provvedimentale, richiede tra l’altro all’operatore della Polizia di Stato l’obbligo di mantenere, in servizio e fuori dal servizio, un comportamento idoneo a non creare disdoro o imbarazzo all Amministrazione.

Si soggiunge, a tal proposito, che il comma 3 dell’art. 3 del D.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 – “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici” – stabilisce, tra l’altro, che “il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’intmagine della pubblica amministrazione”.

Peraltro, ogni singolo poliziotto gode presso l’opinione pubblica di una considerazione sociale, culturale e istituzionale connaturata alla funzione svolta che lo caratterizza, in via continuativa, come appartenente all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza; pertanto, la sua immagine di poliziotto è prevalente rispetto a quella come privato cittadino.

Tale peculiarità, propria dell’appartenente della Polizia di Stato, giustifica e impone ai medesimi di tenere un maggiore riserbo e una particolare cautela nell’esprimere, anche via web, opinioni, valutazioni anche di taglio critico, specie in ordine ai fatti che interessano l’opinione pubblica.

L’utilizzo dei social è dunque caratterizzato, oltre che dai limiti formali di cui si è detto, anche dai principi deontologici che connotano una categoria peculiare di dipendenti pubblici posta al servizio della Nazione, delle Istituzioni democratiche e dei cittadini, per la tutela dell’esercizio delle libertà e dei diritti ed il controllo sull’osservanza delle leggi, dei regolamenti, dei provvedimenti delle Autorità.

Atteso, come anzidetto, l’inevitabile rischio di commistione tra sfera privata e ruolo istituzionale, gli appartenenti alla Polizia di Stato sono tenuti ad un “riserbo” indirizzato a garantire l’imparzialità, la dignità e l’esemplare svolgimento delle funzioni che l’ordinamento demanda agli stessi, al di là delle proprie opinioni personali.

D’altronde anche l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.), benché riconosca ad ogni persona la libertà di espressione, prevede al secondo comma che “l’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono ntisure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, …’,

Pertanto, lo status giuridico rivestito da tutti gli appartenenti ai vari ruoli della Polizia di Stato richiede un comportamento ineccepibile ed esemplare anche nella partecipazione a discussioni sui “social forum on line”, ispirato all’equilibrio, alla ponderatezza, al rispetto delle altrui opinioni e ai doveri inerenti alla funzione svolta.

Si fa presente, nel contempo, che gli strumenti social, sebbene l’utente possa aver impostato specifiche restrizioni rispetto ai profili di privacy, non garantiscono la riservatezza della comunicazione e la possibilità di limitare con sicurezza i destinatari del messaggio.

A ciò occorre aggiungere come sia estremamente difficile rimuovere nel web in modo definitivo i post, le fotografie ovvero i video; infatti, la mera cancellazione degli account dei social network o l’eliminazione, seppure tempestiva, dei contenuti ritenuti inappropriati non escludono la successiva loro riproposizione, potendo questi essere stati acquisiti dagli utenti esterni attraverso la realizzazione di screenshot o salvataggi di pagine web, a testimonianza della tendenziale permanenza delle risorse una volta inserite in rete.

È di tutta evidenza, quindi, l’importanza del mantenimento della prudenza in un luogo privo di confini delimitati quale è l’ “universo on line”, dove l’indiscriminato accesso rischierebbe di rendere di dominio pubblico notizie-che per loro natura dovrebbero essere circoscritte ad un numero di persone limitato in virtù delle peculiari funzioni.

Si precisa, nell’occasione, che la pubblicazione di testi, immagini o qualsiasi altra manifestazione audio/videografica attinenti all’attività di servizio (passata, in corso o futura) in seno a spazi telematici anche in parte sottratti al pieno dominio dell’utente (incluse, dunque, molte applicazioni di messaggistica), espone le suddette attività a seri rischi, tra cui quello di compromissione dell’efficacia e della sicurezza dei servizi,

oltre a collidere con gli obblighi di mantenimento del segreto dell’ufficio. Ciò vale a maggior ragione laddove nelle informazioni e nei dati di cui sopra siano coinvolti terzi,

ove il doveroso rispetto della loro riservatezza è tutelato anche da una rigorosa specifica normativa, che prevede in caso di inosservanza ingenti sanzioni amministrative pecuniarie.

In ogni caso, ciascun appartenente alla Polizia di Stato ben può esprimere opinioni ma sempre ponderando oculatamente tempi, modi e caratteri delle proprie esternazioni in modo da tenere un comportamento improntato a “correttezza, imparzialità e cortesia” in linea con quanto previsto dall’art. 13 del D.P.R. 782/1985.

Infatti, le suddette esternazioni, tra cui un messaggio apparentemente innocuo o un like espresso in corrispondenza di un post recante commenti su fatti o personaggi balzati agli onori della cronaca, possono essere travisate e amplificarsi a dismisura nonché offrire a terzi una percezione dissonante o addirittura contraria ai valori rappresentati dalla divisa, determinando nocumento all’immagine di questa Amministrazione, in quanto potrebbero instillare nell’opinione pubblica l’idea che cdleterminate condotte o giudizi appartengano alla Polizia di Stato.

Lo status di poliziotto rende opportuna, altresì, una riflessione sull’importanza di non diffondere, sui social network, notizie attinenti alla propria persona e al proprio éntourage innanzitutto familiare (es. generalità, residenza, etc.), poiché i dati forniti telematicamente potrebbero essere utilizzati in modo improprio da terzi.

Appare, pertanto, opportuno ribadire che ogni operatore di polizia, in ossequio ai doveri prescritti dalla attuale disciplina ordinamentale, deve:

e nonrivelare a terzi informazioni e dati, né pubblicare notizie, immagini ovvero audio relativi ad attività di servizio che, anche se apparentemente insignificanti, possono arrecare nocumento all’efficacia dei servizi di polizia e, in generale, alla funzionalità dell’Amministrazione ovvero alla privacy di terze persone (3); =

e interagire nel web – anche attraverso la partecipazione a gruppi, chat, forum tenendo un comportamento sempre improntato al massimo rispetto dei principi costituzionali, delle libertà fondamentali, della dignità della persona e di non discriminazione, in linea con i doveri discendenti dal giuramento di fedeltà alla Repubblica, in modo da evitare che il contenuto delle esternazioni individuali, di qualunque tipo, anche non verbali, possa essere equivocato 0 addirittura travisato e comunque strumentalizzato, con conseguente nocumento all’immagine e imparzialità della Polizia di Stato;

e usare, pertanto, massimo equilibrio, cautela e attenzione nella partecipazione a discussioni su forum presenti sul web.

Va precisato, infine, che la pubblicazione di proprie foto in divisa o di altri elementi chiaramente distintivi (ad esempio l’arma di servizio), con l’indicazione delle proprie generalità, del luogo di residenza o di servizio e simili informazioni è quanto mai inopportuna, anche in assenza di rilevanza penale, dal momento che potrebbe prestarsi a usi distorti o impropri ad opera di altri soggetti, con eventuali conseguenti rischi anche per la sicurezza personale degli operatori o dei colleghi nonchè del loro nucleo familiare.

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