Disegno di legge in materia di anticipo delle spese per la tutela legale per il personale delle Forze di Polizia. Osservazioni critiche
Riportiamo in testo della lettera inviata all’Ufficio per le Relazioni Sindacali in data 25 giugno dalla Segreteria Nazionale:
“Il testo del progetto di legge che ci è stato sottoposto presenta almeno due profili meritevoli di approfondimento. Uno di natura testuale, l’altro di natura sistemica.
Va infatti in primo luogo segnalato come nel primo comma della disposizione si prevede che la somma che può essere corrisposta al dipendente indagato per fatti di servizio – sia che ricorrano i presupposti di cui alla D.L. 67/1997, convertito con L. 135/1997, sia che si versi invece sul fronte della tutela per l’uso delle armi di cui alla L. 152/1975 – “compatibilmente con le disponibilità di bilancio dell’amministrazione di appartenenza, una somma che, anche in modo frazionato, non può superare complessivamente l’importo di 10.000 euro per ciascuna fase del procedimento”.
Manca però la chiara indicazione che tali somme sono rilasciate a titolo di anticipo, e per l’effetto si potrebbe addirittura pervenire ad una lettura restrittiva rispetto a quella disciplinata dall’attuale assetto ordinamentale, intendendosi che può essere erogata una somma nel massimo pari a 10 mila euro per ciascun grado di giudizio. Vero è che nei commi successivi si parla di somme corrisposte a titolo di anticipo, ma è bene evitare equivoci in un ambito che, come dimostrano le controversie insorte, presenta asperità ermeneutiche di non scarso momento.
Venendo ora alla prospettiva sistemica, sappiamo che la possibilità di erogare anticipi per le spese legali è contemplata innanzitutto dall’art. 18 del D.L. 67/1997 convertito dalla L. 135/1997, e prevede, per quanto più interessa, che “Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”.
Ma oltre alla norma summenzionata, di portata generale, il personale della Polizia di Stato si può avvalere anche della specifica disposizione contrattuale – regolata da ultimo con l’art. 12 del DPR 39/2018 – che consente l’anticipo delle spese legali in misura massima di euro 5.000 attraverso fondi rotativi prelevati dalle risorse per il contratto di lavoro.
Orbene, fermo restando quanto precede, il vero punto dolente della materia di cui siamo ad occuparci è rappresentato da una norma di un decreto legge introdotta con il fine di contenere la spesa pubblica nel 2005.
Il riferimento è all’art. 3 bis del D.L. 31 marzo 2005, n. 45, convertito in legge 31 maggio 2005, n. 89, rubricato come “Adeguamento delle disposizioni in materia di tutela legale”, a tenore del quale si vuole che: “1. Per le anticipazioni dovute al personale destinatario delle disposizioni di cui all’articolo 32 della legge 22 maggio 1975, n. 152, e all’articolo 18 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, per le quali il parere dell’Avvocatura dello Stato non sia pervenuto all’amministrazione competente entro il termine di quarantacinque giorni, la stessa amministrazione, ferma restando l’applicazione degli articoli 40 e 63 del decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 2002, n. 164, e delle disposizioni relative alla ripetizione delle somme anticipate, può procedere, nel limite del 30 per cento della richiesta di anticipazione, in applicazione del regolamento recante determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali, di cui al decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, in conformità al parere di congruità rilasciato dal competente Consiglio dell’ordine degli avvocati”.
In applicazione di questa disposizione, secondo quanto abbiamo avuto modo di riscontrare seppur empiricamente, le istanze di anticipo, anche quelle richieste ai sensi della norma contrattuale, vengono diffusamente respinte sulla scorta di una valutazione dell’Avvocatura che, con una prognosi ex ante, basata sul solo dato degli atti delle indagini preliminari, nega in via sistematica la concessione dell’anticipo.
Si deve segnalare come la richiesta del parere all’Avvocatura dello Stato anche per quanto concerne l’erogazione degli anticipi richiesti ai sensi delle previsioni contrattuali appare contrastare con i principi dell’ordinamento, in quanto le rispettive somme sono accantonate da quelle rese disponibili per gli incrementi retributivi. In altre parole, un istituto che era stato immaginato proprio al fine di ovviare alle lungaggini della procedura ordinaria ed evitare la sottoposizione al parere dell’Avvocatura subisce oggi – rectius, da anni, come da noi in più occasioni denunciato – una compressione che, per quanto abbiamo avuto modo di spiegare poc’anzi, presenta rumorose contraddizioni con i criteri che presidiano i ben distinti perimetri normativi in considerazione. Se, infatti, l’anticipo è previsto da una disposizione contrattuale che deroga in melius alla disciplina generale, non può ad essa essere estesa l’applicazione di una norma che vale per tutto il resto del pubblico impiego. Ecco perché nutriamo soverchianti perplessità circa la prassi che viene oggi seguita dall’organo interno che tratta le richieste di anticipo.
Di talché, al netto delle riserve sulla corrente interpretazione, resta il fatto che la discutibile richiesta del parere si rivela come un vero e proprio nodo gordiano che impedisce, sulla scorta di un giudizio puramente ipotetico, che l’interessato possa veder accolta la propria istanza. Non solo. L’art. 3 bis del D.L. 45/2005 testé citato prevede che se l’Avvocatura non esprime il proprio parere entro 45 giorni, l’Amministrazione può concedere un anticipo nel limite del 30% del richiesto e/o del massimale previsto. Ciò vuol dire che nei pochi casi che sfuggono alla tagliola dell’Avvocatura il dipendente può, nella migliore delle ipotesi, ottenere un anticipo di non oltre 3.500 euro. Che data la media dei compensi richiesti dai penalisti si rivela poco più che una mancetta, costringendo l’interessato ad attingere alle proprie risorse patrimoniali, con notevoli ricadute sui bilanci famigliari.
In definitiva, se non si rimuove questo ostacolo, con l’attuale rigidità ermeneutica applicata dall’Avvocatura, l’aumento del massimale della somma che può essere anticipata rischia di rimanere una opzione meramente eventuale, negata ad una consistente parte di dipendenti.
Di talché, delle due l’una. O si vincola il parere negativo dell’Avvocatura a criteri severi e non aleatori quali quelli oggi applicati, che finiscono con il lasciare il giudizio sulla concessione dell’anticipo ad una discrezionalità assoluta. O si rimuove in nuce la criticità, prevedendo che la concessione dell’anticipo non è assoggettata ad alcun parere preventivo dell’Avvocatura. Soluzione, quest’ultima, che per quanto si è avuto modo di dire sarebbe da suggerire almeno per quel che riguarda gli anticipi erogati in ossequio alla norma contrattuale della cui interpretazione, è appena il caso di ricordarlo, sono al più competenti le parti che hanno sottoscritto le relative intese.
Diversamente, ovvero in assenza di una correzione di rotta dalla lamentata prassi, aumentare la soglia dell’anticipo si rivelerà un, per quanto apprezzabile, inutile sforzo legislativo, e rimarranno parimenti irrisolte tutte le ben note criticità che provocano insopportabili oneri a carico delle migliaia di poliziotti che, in virtù dell’iscrizione nel registro degli indagati come atto dovuto, finiscono con inquietante frequenza per doversi difendere in dispendiosi percorsi processuali.
Cordiali saluti”.