Riportiamo il testo della nota inviata dal Siulp, congiuntamente ad altre Organizzazioni rappresentative del Comparto, al Ministro dell’Interno e al Ministro della Pubblica Amministrazione il 16 luglio 2024:
“…da tempo il Siulp ha intrapreso una serie di iniziative finalizzate a regolare e rendere stabili le relazioni sindacali nel rispetto dei principi di trasparenza e democrazia.
Ciò si è reso particolarmente necessario in ragione delle modifiche e innovazioni apportate nell’ultimo Contratto Collettivo di Lavoro per il personale non dirigente delle forze di Polizia ad ordinamento civile, successivamente sfociate in un contenzioso giurisdizionale giunto sino al Consiglio di Stato.
L’ultimo atto di questo pernicioso e controverso percorso si è concretizzato con la pubblicazione di una circolare, a firma del Capo della Polizia, che pare voler disattendere la decisione giurisprudenziale del Supremo organo della giustizia amministrativa, nella parte in cui definisce i termini applicativi dell’accordo sindacale sul calcolo della rappresentatività, così come recepito dall’art. 30 del d.P.R. 20 aprile 2022, n. 57.
Invero, con la nota dipartimentale in questione è stato comunicato alle OO. SS. rappresentative della Polizia di Stato che, circa le determinazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1603 del 19.2.2024, “si è rilevata la necessità di richiedere l’autorevole parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, anche al fine di prevenire ulteriori sviluppi contenziosi in materia”.
Atteso che la pronuncia in questione ha statuito i criteri ermeneutici in tema di calcolo della rappresentatività delle associazioni sindacali aggregate in forma federativa e di attribuzione dei relativi contributi versati dagli iscritti, riteniamo del tutto fuori quadro, e foriera di incrinare i rapporti con il Siulp, la scelta di subordinare l’applicazione della stessa al parere di un organo di parte e per giunta con la manifestata pretesa di attribuire ad esso efficacia vincolante.
Infatti, proprio perché si discute di un accordo contrattuale disciplinato da fonti normative specifiche, eventuali dubbi non potevano che essere chiariti attivando la procedura di raffreddamento dei conflitti prevista e disciplinata dall’art. 8, commi 2 e 3 del D. Lgs. 195 del 12.5.1995 e dall’art. 29 del d.P.R. 164 del 18.6.2002, sottoponendo la questione controversa alla preposta Commissione paritetica “avente natura arbitrale” deputata a elaborare un parere vincolante nel merito entro i trenta giorni successivi alla richiesta, ovvero, laddove i contrasti interpretativi fossero di rilevanza generale per tutto il personale interessato, ricorrendo al Ministro per la Pubblica Amministrazione “formulando apposita e puntuale richiesta motivata per l’esame della questione interpretativa controversa”.
Di tal che, come si è appena spiegato, il Dipartimento della P.S. ha scientemente inteso ignorare il richiamato dato normativo allo scopo di sottrarsi alle stringenti determinazioni della superiore curia amministrativa.
Un’opzione che va severamente criticata anche perché, oltre a collidere insanabilmente con i già richiamati presidi ordinamentali, non tiene conto che la medesima norma di cui siamo ad occuparci regola anche le relazioni sindacali della Polizia Penitenziaria.
Un’evidenza restituita dalla constatazione che le rispettive organizzazioni sindacali sono state coinvolte come contro interessate nel giudizio definito dalla pronuncia del Consiglio di Stato in menzione.
Non è insomma revocabile in dubbio che il tentativo di imporre un’interpretazione unilaterale, che siamo qui a denunciare, eccede il perimetro entro cui deve essere contenuta l’iniziativa di ciascuna singola Amministrazione.
Ma ciò che più desta sconcerto è dover prendere atto che nonostante i chiari principi declinati dal Consiglio di Stato si sia avvertita la necessità di ottenere un parere che dovrebbe, secondo quanto si afferma nella circolare del Capo della Polizia, “prevenire ulteriori contenziosi in materia”.
Va infatti osservato che la sentenza presupposta alle riflessioni qui svolte si è concentrata su due essenziali questioni. In primo luogo, ha accolto le ragioni con le quali era stata eccepita l’illegittimità dell’art. 30 del d.P.R. 57/2022, nella parte in cui non prevedeva la possibilità per le singole sigle confluite nella federazione di mantenere propri sottocodici su cui dovevano essere versati i contributi degli iscritti. Una statuizione che, diversamente da quanto enuncia l’ambigua stesura della circolare in narrativa, non presenta alcun tipo di difficoltà, atteso che si tratta di un sistema rodato da oltre 20 anni di esperienza.
Constatazione, non a caso, enfatizzata dal Consiglio di Stato per respingere la tesi secondo la quale tale forma di ripartizione avrebbe ingenerato problematiche organizzative.
L’altro argomento trattato dal Supremo Collegio amministrativo, che viene invece surrettiziamente sottaciuto dalla circolare dipartimentale, è quello relativo all’esegesi dell’art. 30, co. 1 del d.P.R. 57 del 2022, a tenore del quale si prevede che “Ai soli fini dell’accertamento della rappresentatività le organizzazioni sindacali che abbiano dato o diano vita, mediante fusione, affiliazione o in altra forma di aggregazione associativa ad un nuovo soggetto sindacale devono imputare sul codice unico del nuovo soggetto sindacale le deleghe delle quali risultino titolari, attraverso il modulo unico di iscrizione depositato presso le amministrazioni, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto del nuovo soggetto sindacale.
Per le medesime finalità, le suddette deleghe saranno conteggiate purché il nuovo soggetto succeda effettivamente nella titolarità delle deleghe che ad esso vengono imputate o che le stesse siano, comunque, confermate espressamente dai lavoratori a favore del nuovo soggetto”. In definitiva, secondo il novellato impianto ordinamentale possono oggi essere conteggiate, ai fini della rappresentatività, le sole deleghe riferite al codice unico della federazione, sia essa di nuova costituzione o già esistente in precedenza.
Ed è esattamente questo l’approdo a cui è pervenuto il Consiglio di Stato con, la più volte citata, sentenza n. 1603, secondo cui “si tratta qui di contemperare due esigenze diverse, entrambe meritevoli di tutela:- da un lato, conteggiare le deleghe (e, quindi, la rappresentatività) sulla base dei contributi sindacali attribuiti al codice unico delle aggregazioni/federazioni; – dall’altro, (continuare a) consentire – mediante un’operazione informatica di carattere meramente amministrativo-contabile, come tale non suscettibile di incidere sulla misurazione della rappresentatività – il necessario mantenimento dell’autonomia patrimoniale delle singole sigle, da ritenersi meritevole di tutela nel rispetto delle libertà associative garantite dall’art. 39 Cost. N. 08039/2023 REG.RIC”.
Un assetto organizzativo, prosegue la pronuncia, che non rappresenta “un eccessivo aggravio per il singolo lavoratore”, il quale è chiamato ad “esprimere un’unica delega, avendo cura di precisare sia il codice unico meccanografico da utilizzare per il calcolo della rappresentatività sindacale, sia il sub-codice da (continuare a) utilizzare unicamente per l’imputazione contabile – e quindi per l’accreditamento sul pertinente conto corrente – del contributo associativo trattenuto sulla sua busta paga. Va da sé che tale incombenza non può che gravare sulle singole organizzazioni interessate, che dovranno a tal fine adoperarsi presso i propri aderenti e del resto, come anche in questo caso condivisibilmente rilevato dal TAR. nella sentenza gravata sia pure con riferimento ad un diverso profilo, “o il sindacato mantiene un rapporto costante e diretto con i lavoratori che rappresenta (con ciò che ne consegue in termini di prossimità e di continua interlocuzione con gli stessi, e quindi – di relativa facilità di acquisizione dell’atto di conferma) o semplicemente non è (non assolvendo alla funzione di effettiva rappresentanza per cui la libertà sindacale è tutelata e promossa dalla normativa vigente, a partire dall’art. 39 Cost.), sicché l’adempimento richiesto dalla nuova normativa (non solo è volto a tutelare la libertà dei singoli lavoratori) ma è del tutto ragionevole e sostenibile per le organizzazioni sindacali, tenuto conto della finalità propria del sindacato, che – come si è detto – presuppone la prossimità del sindacato al lavoratore (realizzata anche attraverso le ramificazioni territoriali delle diverse organizzazioni)”.
Un enunciato giurisprudenziale, mai come in questo caso, didascalico e privo di margini di opacità.
Di qui, risulta essere particolarmente bizzarra la scelta dell’amministrazione alla luce della constatazione che quanto stabilito dal Consiglio di Stato corrisponde esattamente alla tesi difensiva fatta valere dalla stessa Avvocatura dello Stato. Per quanto la nostra esperienza ci abbia insegnato a non provare stupore di fronte a comportamenti contraddittori posti in essere da organi dello Stato, una simile incoerenza esorbiterebbe dai limiti della ragionevolezza. Ma c’è di più.
Prima dell’entrata in vigore dell’art. 30 del d.P.R. 57/2002, l’attribuzione della rappresentatività in capo alle federazioni sindacali era regolata dall’art. 35 del d.P.R. 164/2002, che pure aveva dato origine a contrasti interpretativi trattati in tre diversi pareri del Consiglio di Stato, ai quali l’Amministrazione ha, per circa 20 anni, acriticamente ancorato l’applicazione della coeva disciplina. In altri termini, mentre in precedenza il Dipartimento della P.S. si era accontentato di meri pareri, oggi, con singolare mutamento di impostazione, ritiene non basti l’esito di una controversia su cui da mesi si è formato il giudicato.
Una divagante opacità che, al netto dei danni materiali derivanti dal ritardo nell’attuazione di un fondamentale istituto contrattuale, sta producendo, quantomeno per quel che concerne le scriventi sigle, effetti che potrebbero incrinare irrecuperabilmente le relazioni sindacali.
Ecco perché, Signori Ministri, per quanto di competenza del Ministro della Pubblica Amministrazione, considerando che i contrasti interpretativi interessano il sistema delle relazioni sindacali delle forze di polizia ad ordinamento civile, non vediamo altra soluzione che formulare la presente quale “apposita e puntuale richiesta motivata per l’esame della questione interpretativa controversa” che dovrà essere trattata e definita in sede di apposito tavolo di confronto presso il Dicastero di riferimento, auspicabilmente con ogni consentita urgenza. In attesa di un cortese quanto urgente riscontro, si porgono distinti saluti.”