Attività del lavoratore in malattia e legittimità del licenziamento

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La Corte di Cassazione, con alcuni recenti provvedimenti, ha nuovamente affrontato il tema della compatibilità tra l’assenza per malattia e lo svolgimento di attività extralavorative.

Con l’ordinanza n. 23747 del 4 settembre 2024, è stato definito il caso riguardante un dipendente licenziato perché, pur essendo assente dal lavoro per infortunio, era stato sorpreso a svolgere alcune attività in un bar di sua proprietà. Nello specifico, “utilizzava la mano infortunata per compiti leggeri come fumare, usare il cellulare e stringere la mano degli interlocutori”.

Sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, la Cassazione ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva qualificato tali attività come “insignificanti” e, soprattutto, insuscettibili di compromettere la guarigione del lavoratore ritenendo, pertanto, illegittimo il licenziamento.

Pertanto, lo svolgimento di attività, anche extralavorativa, durante un’assenza per malattia o infortunio, non integra di per sé un illecito disciplinare, salvo che l’attività sia tale da ritardare la guarigione del lavoratore o comprometterne la salute (Cass. n. 13063/2022) o consenta di presumere l’assenza della patologia lamentata, dimostrando una possibile simulazione della stessa (Cass. n. 26496/2018).

In diritto, i giudici di piazza Cavour hanno richiamato principi consolidati secondo cui, ai fini della legittimità del licenziamento per giusta causa, incombe sul datore di lavoro l’onere di provare che l’attività svolta dal dipendente durante l’assenza sia potenzialmente idonea a compromettere la guarigione o ritardare il rientro in servizio e che sussista un nesso causale tra tale attività e un eventuale pregiudizio per la salute del lavoratore, che ne ostacoli il recupero.

Secondo i giudici di piazza Cavour, in base all’art. 5 della L. n. 604 del 1966, è il datore di lavoro che deve fornire prova certa e documentata della concreta idoneità dell’attività contestata a ritardare la guarigione e il conseguente rientro in servizio.

E’, pertanto, a carico del datore di lavoro – l’onere di provare tutti gli elementi di fatto che integrano la fattispecie che giustifica il licenziamento e, dunque, “di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato e secondo cui lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede”(Cass. n. 26496/2018).

Secondo la Corte solo qualora risulti dimostrabile che l’attività extralavorativa possa concretamente aggravare le condizioni di salute, è possibile configurare una violazione dei doveri declamati dal codice civile agli artt. 2104 e 2105.

La seconda decisione della Corte di Cassazione è quella contenuta nell’ordinanza n. 28255 del 4 novembre 2024 che ha definito il caso di un dipendente licenziato poiché ripreso da un’agenzia investigativa nello svolgimento di attività come la guida di un’autovettura, il trasporto di borse e l’utilizzo di un cellulare con l’arto interessato dall’infortunio, attività che il datore di lavoro riteneva potenzialmente incompatibili con la patologia in corso. Anche in questo caso la Cassazione ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva escluso che tali attività potessero aggravare la lesione alla spalla o pregiudicare il decorso della guarigione. Ciò, sulla base del fatto che le prescrizioni mediche dell’INAIL non prevedevano limitazioni di movimento al momento degli accertamenti investigativi.

Un terzo provvedimento della Cassazione dirime la questione della compatibilità tra assenza per malattia e partecipazione a competizioni sportive.

Si tratta dell’ordinanza n. 23852/2024 che ha definito il caso di un lavoratore licenziato per aver preso parte, durante un periodo di malattia, a una partita di calcio in un campionato regionale.

Nella fase di merito il licenziamento era stato confermato in primo e secondo grado. Nel caso di specie, secondo la Corte d’Appello, la condotta del lavoratore è di tipo artificioso perché tale comportamento è diretto, attraverso la simulazione di uno stato di malattia, non solo all’assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione in orario di lavoro a una partita di calcio già programmata (quindi, un’attività che comporta uno sforzo fisico gravoso).

La Cassazione ha confermato il licenziamento affermando che, anche qualora la malattia comprometta la possibilità di svolgere la prestazione che è oggetto del rapporto di lavoro, potrebbe comunque accadere che le residue capacità psico-fisiche possano consentire al dipendente di compiere altre e diverse attività. Tuttavia, il compimento di altre attività da parte del lavoratore in malattia potrebbe giustificare il licenziamento per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.

Questo può accadere nel caso di fraudolenta simulazione della malattia (che si potrebbe presumere nell’ipotesi in cui la diversa attività accertata sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia) ovvero quando, in relazione alla natura e alle caratteristiche dell’infermità denunciata e alle mansioni lavorative svolte, la diversa attività contestata sia idonea a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche.

Per tali ragioni, secondo la Corte, praticare un’attività sportiva può legittimare il licenziamento per giusta causa, quando tale attività sia incompatibile con la malattia per la quale si è assenti dal lavoro. Infatti, in questi casi, il comportamento del lavoratore lede i doveri di fedeltà, correttezza e buona fede verso il datore e ciò può giustificare la formulazione di una sanzione disciplinare e, nei casi più gravi, il licenziamento.

Infine, con l’ordinanza n. 172 del 7 gennaio 2025, la Sezione Lavoro della Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro può licenziare legittimamente chi trasmette un certificato di malattia falso per giustificare le assenze dal lavoro. Analoga conseguenza è consentita dalla legge anche in caso di abbandono del posto di lavoro, omessa tempestiva comunicazione dell’assenza per malattia o gravi offese fisiche e verbali ai colleghi.

Nel caso giunto alla cognizione della suprema corte di legittimità, il giudice di secondo grado aveva stabilito che le condotte addebitate al lavoratore subordinato erano provate e costituivano gravi violazioni e inadempimenti contrattuali, sia considerate in modo singolo sia in modo unitario. Erano, cioè, tali da far venir meno irreversibilmente la fiducia del datore di lavoro nella correttezza dei suoi futuri adempimenti.

La bontà della ricostruzione dei fatti è stata confermata dalla Cassazione con l’ordinanza in oggetto, che ha anche il pregio di ricordare che – secondo sua costante giurisprudenza (cfr. Cass. n. 18836 del 2017; Cass. n. 26764 del 2019) laddove il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al lavoratore una pluralità di episodi rilevanti sul piano disciplinare, ognuno di essi considerato in modo autonomo è base idonea per giustificare la sanzione.

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