Attività di servizio in ambito transfrontaliero – Secondo il Consiglio di Stato spetta la sola indennità di missione nazionale
Sulla controversa questione del trattamento economico spettante per i servizi di controllo congiunto in ambito transfrontaliero la posizione restrittiva adottata dall’Amministrazione, giusta la quale va corrisposta l’indennità di missione nazionale e non quella, più remunerativa, di missione internazionale, è stata riconosciuta come corretta dal Consiglio di Stato.
La sentenza n. 9233 del 25 novembre 2025 del Supremo consesso ha infatti statuito che il personale impiegato in attività di servizio svolte sul territorio di stati confinanti sulla base di accordi bilaterali conclusi tra i rispettivi organi di governo rientra tra quelle indicate dall’ 13, comma 16, del D.P.R. 51/2009, recettivo del contratto di lavoro delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare e che, quanto all’indennità spettante, stante l’espresso rinvio che la norma contrattuale opera all’art. 10 della L. 836/1973, al personale interessato deve essere riconosciuto il trattamento economico di missione ordinaria nazionale.
L’intervento del Consiglio di Stato era stato stimolato dal ricorso promosso da un gruppo di operatori della Polizia di Stato in servizio presso il Settore di Frontiera di Tarvisio, che per l’attività di servizio da loro svolta in territorio austriaco avevano invocato l’applicazione dell’art. 1, co. 1 del R.D. 941/1926, norma risalente e tuttavia ancora oggi vigente, che prevede l’attribuzione dell’indennità di missione internazionale ai dipendenti “civili e militari dello Stato, destinati in missione all’estero”.
A supporto delle loro pretese gli operatori hanno richiamato l’orientamento ermeneutico adottato dal TAR Lombardia Milano. La Curia lombarda aveva infatti osservato come l’art. 10 della L. 836/1973, che per l’appunto prevede l’attribuzione della missione ordinaria nazionale, circoscrivesse il perimetro applicativo ai soli servizi svolti “presso le stazioni di confine o presso le dogane situate in territorio estero”, e quindi alle sole “aree ricadenti comunque nel territorio dello Stato (le zone di confine), oppure di zone assoggettate a un regime di non esclusiva pertinenza dello Stato, ma sottoposte a regole di matrice internazionale (le zone doganali internazionali situate in territorio estero” (così, ex multis, TAR Milano, n. 1326/2022; tra le più recenti cfr. TAR Milano, n. 16/2025).
Situazione ben diversa, secondo i giudici milanesi, dal pattugliamento in territorio dello stato estero svolto congiuntamente ad operatori delle corrispondenti forze di polizia, trattandosi di un servizio “effettuato in maniera dinamica e non limitato a un ambito ristretto e specifico (tipo l’area doganale), e non afferente ad attività collegate né con le stazioni ferroviarie di confine né con l’ambito doganale… Quanto a quest’ultimo aspetto si può affermare che il citato art. 10 è una norma speciale rispetto a quella (generale) contenuta nel R.D. n. 941/1926”. Dovendosi poi tenere conto, precisano ancora le richiamate pronunce, che l’art. 13, co. 16 del DPR 51/2009 “opera un espresso rinvio all’art. 10 della legge n. 836 del 1973 e che, in ogni caso, si tratta di una fonte di natura secondaria (di Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile), come tale insuscettibile di derogare alle previsioni contenute in un atto normativo avente forza di legge (ossia il R.D. n. 941 del 1926) (così TAR Lombardia – Milano, n. 16/2005).
In sede di ricorso era stato altresì evidenziato come l’art. 13, co. 16 del DPR 51/2009 facesse espressamente riferimento ai servizi “derivanti da forme di cooperazione transfrontaliera individuate dagli accordi internazionali vigenti”. E siccome l’accordo italo – austriaco che aveva regolato le attività di pattugliamento congiunto transfrontaliero – così come quello concluso con la Svizzera – era stato sottoscritto e reso attuativo solamente nel 2014, quindi 5 anni dopo che era stato firmato il contratto recepito dal DPR 51/2009, non era plausibile estendere forzosamente gli effetti dell’intesa negoziale ad accordi transfrontalieri conclusi in un momento successivo.
Disattendendo tutte le argomentazioni sviluppate il Consiglio di Stato ha ritenuto meritasse di essere valorizzata l’interpretazione proposta dall’Amministrazione, quella cioè secondo la quale questa tipologia di servizi era chiaramente inquadrata dall’ambito del combinato disposto degli artt. 10 L. 836/1973 e 13, co. 16 del DPR 51/2009, considerando dirimente ai fini della decisione la constatazione che la norma generale di cui agli artt. 1 e 2 del R.D. 941/1926 è “riferita al lavoratore che svolge missione all’estero per un arco di tempo. Ciò si evince chiaramente dall’art. 2 del regio decreto il quale specifica che “Le indennità per l’estero sono dovute dal giorno in cui si passa il confine o si sbarca all’estero, fino al giorno in cui si ripassa il confine o si prenda imbarco per il ritorno”. Il trattamento di missione all’estero, salva diversa previsione derogatoria, pertanto non è applicabile al singolo turno lavorativo ordinario svolto oltre confine sulla base di accordi internazionali”.
Se, dunque, non interverranno modifiche al descritto impianto ordinamentale, per le attività transfrontaliere effettuate in attuazione di accordi intergovernativi continuerà ad essere riconosciuto il trattamento di missione ordinaria nazionale.





