Attribuzione dell’indennità “di amministrazione”

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Attribuzione dell’indennità “di amministrazione” di cui alla legge 22 giugno 1998 n. 221, ai dipendenti della Polizia di Stato in servizio presso le Sezioni di P.G.

 Il Consiglio di Stato (Sezione Seconda), con la Sentenza n. 09188/2022 del 27 ottobre 2022, ha definito, in senso negativo, la questione relativa alla sussistenza del diritto degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria in servizio presso le sezioni di polizia giudiziaria, a percepire l’indennità giudiziaria (ora denominata di amministrazione), corrisposta dal Ministero della Giustizia per l’espletamento delle attività di supporto amministrativo agli uffici dei Pubblici Ministeri ai sensi della legge 23 giugno 1988, n. 221,  che ha esteso, a decorrere dal I gennaio 1988, al personale dirigente e alle qualifiche equiparate delle cancellerie e segreterie giudiziarie e al personale delle qualifiche funzionali dei ruoli dei detti uffici, l’indennità che l’articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 aveva istituito per i soli magistrati ordinari.

Tale estensione è riconosciuta per i gravosi oneri incombenti sul personale addetto allo svolgimento delle relative attività e quindi anche al personale comandato, distaccato o comunque fuori ruolo, purché effettivamente addetto ai servizi amministrativi.

Il contenzioso era stato sollevato adducendo, a sostegno della pretesa azionata, lo svolgimento di specifiche mansioni di cancelleria di supporto amministrativo agli uffici del Pubblico Ministero, con mansioni analoghe a quelle del personale di segreteria (non rientranti in quelle attribuite istituzionalmente alle sezioni di polizia giudiziaria).

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Al riguardo, va ricordato che con nota del 25 gennaio 2021, consultabile sul nostro sito al seguente link: https://siulp.it/attribuzione-dellindennita-di-amministrazione-presso-le-sezioni-di-p-g/, l’Ufficio per le Relazioni Sindacali del Dipartimento aveva riscontrato la richiesta di chiarimenti della Segreteria Nazionale (il cui testo è stato pubblicato sul n. 10/2019 di questo notiziario Flash), rappresentando che la questione segnalata era oggetto di valutazione da parte del Consiglio di Stato dopo che alcuni TAR avevano accolto determinati ricorsi collettivi sottolineando che, sulla questione della natura dell’indennità giudiziaria di cui all’art. 2 della legge n. 221/1988, la giurisprudenza amministrativa aveva più volte espresso l’orientamento secondo cui detta indennità non è diretta a compensare le prestazioni svolte nella struttura dell’organizzazione giudiziaria, ma solo ad indennizzare il personale amministrativo delle cancellerie giudiziarie “per i compiti intensi e delicati di natura burocratico amministrativa svolti presso tali specifici uffici, e ciò indipendentemente dall’appartenenza ai ruoli dell’amministrazione giudiziaria e purché il personale sia effettivamente addetto ai servizi amministrativi”.

La decisione del Consiglio di Stato di cui oggi ci occupiamo ha riformato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Prima, del 26 novembre 2020, n. 1517, accogliendo l’appello delle Amministrazioni pubbliche interessate e per l’effetto rigettando i ricorsi accolti in primo grado.

Nelle motivazioni della decisione si legge che dall’oggetto della controversia vanno escluse le analoghe rivendicazioni avanzate da “soggetti, muniti o meno delle qualifiche di polizia giudiziaria, chiamati a prestare servizio presso uffici giudiziari in forza di comandi, distacchi o qualsivoglia altra forma di “prestito” di risorse umane all’amministrazione della giustizia, lato sensu intesa (ivi compresa, cioè, la magistratura contabile e amministrativa)”.

I Giudici chiariscono che il d.lgs. n. 165/2001 ha previsto, all’art. 2, comma 3 che: «l’attribuzione  di  trattamenti  economici può avvenire  esclusivamente  mediante  contratti

collettivi […] o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali. Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dal relativo rinnovo contrattuale».

Tale rinnovato quadro normativo sarebbe sufficiente, secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato (sentenze nn. 3241, 3244, 3283, 3285 e 3286 del 2021) per escludere qualsivoglia rivendicazione di un emolumento accessorio di fatto non più esistente nel mondo del diritto, ovvero di altro, comunque denominato, siccome attribuibile solo dalla contrattazione collettiva. In sintesi, nessun rilievo avrebbe oggi la verifica in concreto della effettività delle mansioni svolte, non essendo più riconducibile alle stesse la relativa voce salariale accessoria, a prescindere dal nomen iuris alla stessa attribuito.

Peraltro, secondo i Giudici, la normativa invocata si riferisce al solo personale appartenente alle qualifiche funzionali dei ruoli delle cancellerie e segreterie giudiziarie nonché degli archivi notarili, peraltro di livello dirigenziale o equiparato (art. 1 della medesima l. n. 221 del 1988), nonché, a decorrere dal 1° gennaio 1989, a quello successivamente individuato, dall’art. 1 della l. n. 51 del 1989. Pertanto, una volta venuto meno il diritto alla relativa percezione da parte degli originari destinatari non si vede come lo stesso possa essere mantenuto in capo a soggetti che ne rivendicano l’assimilazione in termini di mansionario.

Diverso, secondo l’alto consesso amministrativo, è il caso dell’assegnazione di personale non ad un qualsiasi ufficio dell’amministrazione giudiziaria, ma a quella peculiare articolazione interna alla Procura della repubblica che è la sezione di polizia giudiziaria.

Le sezioni di polizia giudiziaria sono composte da aliquote attinte alla polizia di Stato, all’arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza, integrate, quando lo richiedano particolari esigenze di specializzazione dell’attività, da personale di altri organi (si pensi alle polizie locali o alle capitanerie di porto).

Lo stato giuridico e la carriera del personale sono interamente regolati dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza.

Di particolare interesse, infine, la previsione dell’art. 56 c.p.p., comma 3, laddove si dispone l’esonero ope legis «dai compiti e dagli obblighi derivanti dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza non inerenti alle funzioni di polizia giudiziaria, salvo che per casi eccezionali o per esigenze di istruzione e addestrative, previo consenso del capo dell’ufficio presso il quale la sezione è istituita». La norma riprende quanto già indicato dall’art. 59, comma 3, c.p.p., laddove vieta di distogliere gli appartenenti alla sezione dall’attività di polizia giudiziaria, se non per disposizione del magistrato dal quale dipendono, ovvero colui che dirige gli uffici presso i quali le sezioni sono istituite.

Dunque, “l’oggettivo e stabile impiego in mansioni esclusivamente amministrative costituisce una anomalia disfunzionale alle qualifiche, evidentemente ricorrente nella prassi per sopperire a croniche carenze di organico, ma non per questo elevabile a sistema, di fatto riconoscendone la legittimità”.

Di ciò è prova anche nelle circolari dell’organo di autogoverno richiamate dalla difesa erariale (21 novembre 2002 e 9 giugno 2005), ove si effettua un formale «richiamo» agli uffici ad un corretto utilizzo del personale delle proprie sezioni di p.g., non senza aver chiarito, tuttavia, che l’investigazione “pura” non può assumere un valore assolutistico e totalizzante, giusta la necessità di supportare il p.m. anche in ambiti più strettamente pianificatori, di controllo o gestionali, non necessariamente alieni dalle funzioni di indagine.

L’assegnazione alla sezione di p.g., dunque, non si colloca nell’ambito dei normali strumenti di scambio nell’utilizzo del personale tra distinte amministrazioni (es. comando o distacco), ma costituisce una specifica modalità di declinazione del rapporto di dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dal Pubblico ministero di cui all’art. 109 della Costituzione.  Tra le  tre  ipotesi  previste  dall’art.  56 c.p.p.  (servizi,  sezioni,  appunto,  e

 

ufficiali e agenti, rispettivamente declinate alla lett. a), b) e c), essa costituisce quella connotata da maggiore compenetrazione relazionale, tant’è che il Procuratore incide sia sugli utilizzi alternativi da parte dell’Amministrazione di appartenenza, sia sui percorsi di carriera. Ma non ne modifica lo status, che è quello di titolari di qualifiche di polizia giudiziaria chiamati a svolgere anche un ruolo di sostanziale sovrintendenza sulle indagini confluite nei fascicoli facenti capo all’ufficio di procura presso il quale sono incardinati.

Per quanto concerne, poi, il parere rilasciato dalla Sez. I del Consiglio di Stato, n. 334 del 2019, i giudici chiariscono che proprio in quanto risponde a un quesito della Corte dei conti, concerne gli obblighi remunerativi del personale con qualifiche di p.g. comandato o utilizzato in via di fatto negli uffici della stessa, che in alcun modo può essere assimilato a quello di cui alle sezioni di p.g. considerato che la differenza della tipologia dell’accordo intercorrente fra le due amministrazioni interessate emerge implicitamente dalla formulazione dello stesso quesito.

In sintesi, secondo il Consiglio di Stato, ai dipendenti della Polizia di Stato, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, in servizio presso le sezioni di P.G. non spetta l’indennità giudiziaria, non più prevista neppure per il personale amministrativo, né qualsivoglia indennità sostitutiva della stessa prevista dal CCNL Ministeri perché il rapporto di lavoro con l’istituzione di provenienza non è affatto venuto meno, né è minimamente mutata per effetto dell’applicazione alla sezione di polizia giudiziaria la sua regolamentazione a livello legale e/o contrattuale.

D’altra parte, come rilevato dalla Corte di Cassazione (sez. lav., 5 ottobre 2016, n. 19916, e 18 luglio 2017, n. 17742), nel caso di personale di altri comparti assegnato presso uffici giudiziari non rileva la natura delle mansioni e dei compiti svolti dai lavoratori dipendenti da altre Amministrazioni, essendo dirimente ai fini del riconoscimento dell’indennità solo la specifica posizione ordinamentale propria dei dipendenti del Ministero della Giustizia.

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