Differente regolamentazione sul piano previdenziale tra personale civile e militare

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Il riconoscimento della specificità del ruolo delle Forze di Polizia non vale ad escludere la differente regolamentazione sul piano previdenziale tra personale civile e militare

Con la Sentenza n. 33 del 28 febbraio 2023, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che i criteri di calcolo del trattamento pensionistico, riferito alla quota retributiva della pensione, previsti dall’art. 54, commi 1 e 2, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), siano estesi in favore del personale della Polizia penitenziaria.

La decisione della Corte è importante poiché sancisce definitivamente il principio della inapplicabilità dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973 al personale delle Polizia a ordinamento civile.

Giova ricordare che a favore di detto personale è recentemente intervenuto l’art. 1, comma 101, della legge n. 234 del 2021, il quale ha previsto che «al personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla data del 31 dicembre 1995, di un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, effettivamente maturati, si applica, in relazione alla specificità riconosciuta ai sensi dell’articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, l’articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini del calcolo della quota retributiva della pensione da liquidare con il sistema misto, con applicazione dell’aliquota del 2,44 per cento per ogni anno utile». Tale norma, tuttavia, ha decorrenza economica solo a far data dal 1° gennaio 2022, e non si applica ai ratei a decorrere dal pensionamento ed antecedenti al gennaio 2022. La rimessione alla Corte Costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge n. 395 del 1990 aveva il sostanziale scopo di estendere ex tunc l’articolo 54 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 al personale civile del Comparto Sicurezza.

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Invero, secondo la Sezione Regionale della Corte dei Conti che ha sollevato la questione di legittimità, l’attuale assetto normativo determina comunque una ingiustificata lacuna con una portata discriminatoria nei confronti delle forze di Polizia a status civile rispetto alle altre Forze di polizia a ordinamento militare (Arma dei carabinieri e Corpo della guardia di finanzia). Tale lacuna sarebbe stata solo parzialmente colmata dalla disposizione di cui all’art. 1, comma 101, della legge n. 234 del 2021, restando escluso dal nuovo sistema di calcolo il trattamento pensionistico dal momento del pensionamento fino al 31 dicembre 2021.

Come già anticipato la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione. Vediamo come e perché.

Secondo i giudici della Consulta la distinzione, quanto al trattamento pensionistico, tra il personale a ordinamento civile e quello a ordinamento militare risulta chiaramente dal testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato (d.P.R. n. 1092 del 1973), che distingue nettamente, salvo che nelle disposizioni generali, tra il personale civile (Capo I del Titolo III della Parte I) e quello militare (successivo Capo II).

In particolare, argomenta la Corte, diversa è la misura del trattamento previsto, per l’uno e l’altro personale, rispettivamente dall’art. 44 per quello civile e dall’art. 54 per quello militare.

L’art. 44, primo comma, stabilisce che la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile; detta percentuale è aumentata del 1,80 per cento per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’80 per cento.

In  simmetria,  l’art. 54,  primo e  secondo  comma,  prevede  che  la pensione  spettante  al

militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile. Tale percentuale è aumentata del 1,80 per cento per ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo. Anche la pensione così determinata non può superare l’80 per cento della base pensionabile.

Sotto questo profilo, il trattamento pensionistico risulta più favorevole per il personale militare in ragione della base pensionabile più elevata (44 per cento in luogo di 35 per cento), e del fatto che nell’ipotesi ancora più specifica in cui il militare cessi dal servizio permanente o continuativo per raggiungimento del limite di età, senza aver maturato l’anzianità di almeno quindici anni di servizio utile, di cui dodici di servizio effettivo, allorquando la pensione è pari al 2,20 per cento della base pensionabile per ogni anno di servizio utile.

Vi è, invero, una riconosciuta specificità del ruolo delle Forze di polizia (art. 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183 la quale ha comportato, ad esempio, che a tutto il personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico sono stati conservati gli istituti dell’accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata, così come, nel codice dell’ordinamento militare sono state rese applicabili al personale delle Forze di polizia a ordinamento civile specifiche disposizioni previdenziali per le invalidità di servizio (artt. 2177 e seguenti del d.lgs. n. 66 del 2010).

Tuttavia, ciò non è sufficiente a giudizio della Corte, per stabilire il principio della totale unicità di regolamentazione per il personale delle Forze di Polizia.

Al riguardo, viene richiamata la recente sentenza n. 270 del 2022 con cui la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale – sollevata in riferimento alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost. – degli artt. 13 e 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973, nella parte in cui non prevedono, e dunque non consentono, l’applicazione anche ai funzionari della Polizia di Stato del computo gratuito ai fini pensionistici degli anni di durata legale del corso di laurea richiesto per l’accesso alle rispettive carriere; beneficio previsto invece per gli ufficiali dei Corpi militari dello Stato e, dunque, anche per quelli dell’Arma dei carabinieri.

Segnatamente, secondo il giudice delle leggi “pur in presenza di interventi legislativi volti a un allineamento del regime ordinamentale del personale appartenente al comparto sicurezza, non può essere configurato nell’ordinamento un principio di piena omogeneità di regolazione fra personale militare e personale civile del comparto di pubblica sicurezza e ha evidenziato che «persiste la strutturale diversità tra i rispettivi status che determina differenti soluzioni sul piano normativo e che è all’origine della dicotomia nelle discipline previdenziali fra impiego civile e impiego militare presente nel d.P.R. n. 1092 del 1973».

In conclusione, secondo la Corte Costituzionale, il più favorevole trattamento riservato al personale militare – quanto al calcolo della quota retributiva della pensione nel sistema cosiddetto misto della riforma del 1995, come risultante dal combinato disposto dell’art. 54 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell’art. 1, comma 12, della legge n. 335 del 1995, non può assurgere a tertium comparationis, idoneo a implicare, sul piano della conformità all’art. 3 Cost., la necessaria estensione fin dall’epoca della smilitarizzazione (e quindi ex tunc) di tale normativa speciale al personale delle polizie a status civile.

Si ha, quindi, che questa differenziazione, riconducibile al generale diverso regime pensionistico del personale civile e di quello militare, non lede il principio di eguaglianza sì che la sollevata questione di legittimità costituzionale va ritenuta non fondata.

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