Disciplina: termini da osservare per la contestazione – Tar Veneto sent. 418/2013 del 17 gennaio 2013

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Disciplina: termini da osservare per la contestazione – 

Tar Lazio sent. 418/2013 del 17 gennaio 2013

N. 00418/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00260/2012 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

 

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 260 del 2012, proposto da:

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Pansini, con domicilio presso la

Segreteria del TAR Veneto;

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato in Venezia, nel domicilio di Venezia, San Marco, 63; Questura di Verona, Questore di Verona;

per l’annullamento

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2013 il dott. Roberto Vitanza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con provvedimento notificato in data 13 gennaio 2012 il ricorrente, agente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Verona, è stato sanzionato disciplinarmente con l’applicazione della pena pecuniaria perché al termine dell’incontro di calcio Hellas Veronas /Salernitana, sebbene fosse stato più volte richiamato ed invitato dai superiori ad interrompere un comportamento ritenuto eccessivo ed aggressivo durante l’esecuzione di un arresto di un tifoso, ha perseverato nella condotta ed ha manifestato nei confronti degli stessi un atteggiamento irriguardoso e minaccioso, non conforme al decoro delle funzioni degli appartenente all’Amministrazione della pubblica sicurezza.

Contro tale provvedimento reagiva la parte ricorrente affidando il ricorso ad un unico ed articolato motivo di gravame.

Il Collegio, attesa la singolare peculiarità della vicenda oggetto di scrutinio, ha ritenuto necessario ed indispensabile, proprio per verificare alcuni essenziali aspetti fattuali che sono emersi dagli atti di causa, ma non puntualmente esplicitati dalla parte resistente, ordinare all’Amministrazione di produrre il carteggio, non più oggetto di segreto istruttorio, già trasmesso alla competente Autorità giudiziaria.

Nei tempi assegnati l’Amministrazione ha adempiuto al prescritto incombente.

Per una esatta ed appropriata intelligenza della vicenda in contestazione è ora possibile ed opportuno ricostruire esattamente gli eventi in ogni caso connessi al fatto censurato al ricorrente.

In data 12 giugno 2011 si disputava, presso lo stadio Bentegodi di Verona, l’incontro di calcio tra la squadra della Hellas Verona e quella della Salernitana. 

Per l’occasione il ricorrente veniva comandato, in abiti civili, come autista a disposizione del dirigente del servizio di ordine pubblico (primo dirigente della Polizia di Stato dr. F. XXXX).

In merito il Collegio osserva, però, che dalla puntuale disamina degli atti di causa e di quelli successivamente acquisiti con l’istruttoria sopra ricordata, non consta l’esistenza della relazione che, al riguardo, avrebbe dovuto redigere il dirigente del servizio, attesi i significativi incidenti all’ordine pubblico, l’arresto di alcuni tifosi, nonché l’asserito anomalo comportamento del ricorrente, suo diretto collaboratore.

Comunque, anche in costanza di tale anomalia procedurale, il Collegio ha ricostruito i fatti di causa nei termini evidenziati dai documenti versati in atti, nonché attraverso quelli successivamente acquisiti.

Per quanto in questa sede interessa, gli avvenimenti per cui è causa, pur se preceduti da prodromici contrasti tra il ricorrente e l’ispettore superiore XXX (vedi pag. 3 della relazione dell’ispettore superiore XXX), principiano con il tentativo, operato da numerosi tifosi della squadra ospite, di “sfondare” un cancello della Tribuna est dello stadio.

Riferisce la parte ricorrente che il dirigente il servizio di ordine pubblico ordinava l’intervento del personale del reparto mobile onde impedire tale aggressione.

Pertanto, dopo aver aperto il predetto cancello, gli operatori di polizia, affrontavano i tifosi, cercando di individuare e fermare quelli che si erano distinti per aver sobillato le violenze ed aver lanciato, contro le forze dell’ordine, oggetti contundenti.

Il ricorrente, coadiuvato da un altro operatore del reparto mobile, riusciva, dopo una colluttazione, a fermare uno dei predetti tifosi il quale, però, si opponeva a viva forza al fermo, tanto che, nell’occasione, questi si era impossessato dello sfollagente del ricorrente e, con questo, aveva tentato di colpirlo.

Vinta la resistenza del citato tifoso, questi veniva, poi, accompagnato presso gli uffici di polizia e quindi arrestato.

Durante l’accompagnamento del predetto tifoso presso gli uffici di polizia, il dr. xxx, dirigente la locale DIGOS ed ivi in servizio, l’ispettore superiore xxx e l’ispettore della Digos di Salerno, che accompagnava i tifosi ospiti, censuravano l’operato del ricorrente, perché a loro dire, il predetto aveva operato l’arresto utilizzando modi troppo energici e non adeguati, che avevano, così, provocato ulteriori disordini da parte dei tifosi ospiti.

Ciò provocava la reazione verbale del ricorrente.

Contestualmente le opposte fazioni cercavano, con azioni violente, di aggredirsi vicendevolmente, provocando nell’area dello stadio disordini e tafferugli, arginati e contenuti dal contingente di polizia.

Il ricorrente ha, nell’immediatezza (13 giugno 2011), prodotto, al Questore, una articolata relazione in merito ai fatti accaduti il giorno prima allo stadio di calcio.

Conseguentemente il Questore di Verona, in data 15 giugno 2011, incaricava il dr. XXXdegli approfondimenti del caso.

Questi, però, si limitava a trasmettere una propria relazione datata 16 giugno 2011, con la quale riferiva di aver assistito solo alla parte finale della vicenda relativa all’arresto del tifoso, nonché all’alterco tra l’ispettore XXX, l’operatore della Digos di Salerno e l’assistente XXX, segnalando e convenendo circa la inopportunità del modo con il quali era stato operato il fermo del tifoso, che aveva, perciò, scatenato una ulteriore azione violenta dei tifosi salernitani.

Si riservava di trasmettere la relazione, in merito ai fatti, elaborata dal predetto ispettore superiore XXX.

In data 23 giugno 2011 il citato ispettore superiore ha prodotto la propria relazione al dr. XXX, che, poi, con nota del 24 giugno 2011, ha trasmesso, le tre indicate relazioni, sia al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Verona, che il Questore di Verona, senza procedere ad eventuali ed ulteriori accertamenti istruttori così come richiesti.

In particolare l’ispettore XXX, ha riferito, dopo una articolata ricostruzione dei prodromi dell’avvenimento in contestazione, di aver assistito direttamente all’episodio dell’arresto, riferendo che il ricorrente :”…si avventava su un supporter salernitano che stava inveendo contro la tifoseria locale, strattonandolo ripetutamente ed energicamente sebbene questi non mostrasse particolare animosità nei suoi confronti “ ( pag. 3 della relazione di servizio).

Lo stesso precisava inoltre che, nel mentre il ricorrente strattonava il suddetto tifoso, in ausilio dell’operatore di polizia era intervenuto anche personale del reparto mobile che, però, dopo le precisazione dell’ispettore XXX circa la reale dinamica dei fatti, desisteva, mentre il ricorrente continuava “ in maniera spropositata ed eccessiva nel suo intervento”, reagendo verbalmente anche alle osservazioni del suo superiore.

Le diverse versioni dei fatti riportate dai protagonisti sono, non solo antitetiche, ma, quella estesa dall’ispettore superiore XXX, contiene la descrizioni di un comportamento, non consentito,quantunque assunto dal ricorrente nel corso dell’arresto del tifoso..

Ciò avrebbe dovuto comportare, quanto meno, una successiva attività di verifica ed accertamento del fatto, anche se nei soli termini amministrativi, atteso che per tale episodio l’arrestato era già stato oggetto del processo per direttissima ed il giudice aveva convalidato l’arresto, comminando all’imputato, il divieto di assistere alle successive gare di calcio (relazione del dr. XXXdel 16 giugno 2011).

Osserva, altresì il Collegio che il comportamento, nell’occasione tenuto dal ricorrente, è già stato già compiutamente scrutinato dal magistrato inquirente che, dopo accurati accertamenti investigativi, ha escluso la natura penalistica dei fatti rappresentati.

Nondimeno la palese contraddizione rilevata nelle diverse versioni dei fatti, così come prospettata nelle relazioni in atti, avrebbe imposto, all’autorità amministrativa, un significativo ed attento scrupolo nella definizione ed esercizio delle sue esclusive potestà.

Or bene, risulta, senza ombra di dubbio, che il dr. XXX, incaricato dal Questore dei conseguenti accertamenti, si è limitato a trasmettere al giudice penale le sole relazioni di servizio dei protagonisti la vicenda in esame, senza svolgere alcun altro accertamento istruttorio, né ha, di contro, verificato quanto contraddittoriamente emergeva dalla mera disamina degli atti in argomento.

Dalla presente ricostruzione, pertanto, emerge chiaro ed incontestato che l’Amministrazione era a conoscenza della sostanziale dinamica dei fatti già dal giorno 24 giugno 2011, ossia dal momento della trasmissione della nota del dr. XXX al Procuratore della Repubblica di Verona ed allo stesso Questore di Verona e che questi, malgrado avesse informalmente richiesto al dr. XXX ulteriori accertamenti già in data 15 giugno 2011, non ritenne di dover sollecitare, nè  reclamare il puntuale adempimento istruttorio richiesto, ritenendo esaustiva la trasmissione degli atti al magistrato inquirente.

Quindi l’autorità amministrativa competente non ha, al tempo, ritenuto necessario sollecitare gli accertamenti istruttori richiesti e non svolti, né ha direttamente attivato alcun procedimento disciplinare per i fatti in esame.

Soltanto a seguito della risposta del Procuratore della Repubblica di Verona del 21 settembre 2011 che, in riscontro alla richiesta della Questura, rappresentava che :

“dagli approfonditi accertamenti investigativi svolti nei confronti del ricorrente e di altri operatori di polizia, non sono emersi, per l’episodio segnalato, ipotesi di reato”, l’Organo di pubblica sicurezza ha ritenuto opportuno avviare gli accertamenti istruttori prodromici all’attivazione dell’azione disciplinare, anche perché il Procuratore aveva chiesto alla Questura di essere notiziato delle iniziative disciplinari assunte e volte ad impedire, per il futuro, fatti analoghi.

In disparte il fatto che l’Autorità giudiziaria ha un’autonoma ed esclusiva iniziativa disciplinare nei confronti degli agenti di polizia giudiziaria in occasione dello svolgimento, come nel caso in questione, di atti comunque inerenti al processo penale ( art. 57 c.p.p. in uno con l’art. 16 del D.Lgs 28 luglio 1989, n.271), le ulteriori ed eventualmente contestuali evenienze amministrative di natura disciplinare non esigono, né l’impulso, né l’autorizzazione dell’A.G., ma la loro attivazione costituisce una esclusiva iniziativa dell’autorità amministrativa da assumere nei rigorosi termini di cui all’art. 103 DPR 3/1957.

Invece, consta dagli atti, che gli incombenti istruttori sono stati concretamente disposti, secondo le dirette indicazioni manoscritte dal Questore sulla riferita risposta della Procura della Repubblica, dopo oltre tre mesi dalla conoscenza dei fatti.

Ciò evidenzia, senza dubbio, che, non si è trattato di un’autonoma, ponderata e prudente valutazione dei fatti da parte del Questore, ma di un conseguente e conforme adeguamento alle implicite sollecitazioni dell’Autorità giudiziaria inquirente, atteso che, nel frattempo, non era intervenuta alcuna diversa definizione del fatto riferito all’A.G., ovvero modificata l’originaria prospettazione degli avvenimenti così come rappresentati nelle diverse relazioni in atti.

Né, in questa sede, la p.a. può invocare il noto principio secondo cui l’attivazione dell’azione disciplinare, è rispettosa dei tempi indicati dall’art. 103 citato, anche se i necessari e prodromici accertamenti istruttori hanno impegnato la p.a. in accertamenti complessi e temporalmente significativi.

In questo caso la constatata ed appurata inerzia della p.a., non giustificata da alcuna esigenza procedurale, che non ha predisposto adeguati accertamenti istruttori al momento stesso della conoscenza del fatto in esame, non può, poi, costituire una giustificazione in grado di dilatare i tempi della successiva contestazione disciplinare.

Non solo. Lo speciale sistema sanzionatorio, previsto dall’art. 12 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 per gli appartenenti alla Polizia di Stato, sebbene non preveda che la contestazione disciplinare all’operatore di polizia debba avvenire in un termine perentorio (T.A.R. Piemonte, sez I, 27 maggio 2005, n. 564), nondimeno, per espresso rinvio normativo, trova applicazione, in tali evenienze, l’art. 103 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in forza del quale la contestazione degli addebiti deve avvenire “subito”.

E’ opinione ormai consolidata e pacifica in giurisprudenza che ciò significhi una ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell’iter procedimentale (T.A.R. Veneto sez. I, 28 novembre 2002, n. 6427).

La p.a. ha, inspiegabilmente e illogicamente, procrastinato, senza alcuna ragione logica, per oltre tre mesi, gli accertamenti istruttori in merito ai fatti, attivati, invero, solo dopo “l’invito” del magistrato inquirente.

E’ di tutta evidenza che l’autonoma e distinta potestà in capo ai diversi poteri impone, all’Amministrazione, un diverso e pronto ordine temporale nell’attivazione dell’azione disciplinare, ovvero dell’accertamento dei necessari presupposti probatori, né, peraltro, dopo la segnalazione all’A.G., risultano elementi nuovi ed ulteriori, rispetto a quelli già noti e conosciuti, che, in quanto tali, avrebbero, comunque, giustificato il nuovo impulso istruttorio.

Consentire, di contro, che tale originaria inerzia della p.a. possa poi essere recuperata consentendo una conseguente dilazione dei tempi procedimentali per la contestazione disciplinare, significa pregiudicare oltremodo la posizione giuridica dell’incolpato.

Sul punto valga l’attuale e pacifico orientamento giurisprudenziale, ribadito e chiarito con la nota decisione della Plenaria n. 1/2009, nei termini in cui prevede l’autonoma attivazione dell’azione disciplinare, anche in costanza di fatti di penale rilevanza e, come tali, già segnalati all’A.G.

Solo l’esercizio dell’azione penale, ai sensi degli artt. 60 e 405 c.p.p., che si concretizza con la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 c.p.p. o con le analoghe richieste punitive avanzate al giudice penale, costituisce il presupposto ostativo all’attivazione o prosecuzione del procedimento disciplinare ( Cons.St., A.P. n.9/2009; Cons.Giust.amm.reg. Sic., 31 maggio 2012, n.481).

Nel caso di specie, quindi, non si capisce per quale motivo l’amministrazione ha ritardato, per oltre tre mesi, ogni minimo ed essenziale accertamento dei fatti in contestazione, per poi successivamente attivarsi malgrado la identità fattuale dell’originaria ricostruzione degli avvenimenti.

E’ insegnamento più volte ribadito dal Giudice amministrativo quello di una rapida definizione ed accertamento dei fatti disciplinari da parte della p.a. proprio per tutelare le fondamentali garanzie dell’incolpato (T.A.R. Puglia-Bari, sez. I, 15 novembre 2012, n. 1945).

La tardiva predisposizione di accertamenti istruttori ha, quindi, solo aggravato l’iter procedimentale e violato il principio di celerità dei procedimenti amministrativi, atteso che la p.a. non può utilizzare metodi e sistemi dilatori, non necessari, né indispensabili alla definizione del provvedimento nei termini e secondo la funzionalità ad essa propria.

L’aver procrastinato, senza alcuna plausibile ragione logico giuridica, i termini della opportuna verifica dei fatti, non può, poi, costituire la giustificazione per la tardiva contestazione disciplinare.

La sola percezione del fatto impone alla p.a. di attivarsi ed operare scelte immediate che possono e, in alcuni casi, devono comportare ulteriori approfondimenti istruttori, ma la tempistica per tale conseguente attività non può essere lasciata al mero arbitrio dell’Amministrazione.

Consentire, come nel caso in questione, che l’avvio dell’azione disciplinare sia affidata alle mere scelte temporali della p.a., significa pregiudicare oltremodo i diritti della parte, in spregio anche ai principi di valore costituzionale che presiedono ogni attività amministrativa con valenza limitativa della sfera giuridica altrui.Per tutti i suesoposti motivi il ricorso va accolto nei termini di cui in motivazione, proprio perchè la contestazione disciplinare, in questa sede censurata, è intervenuta dopo sei mesi dalla conoscenza, da parte della p.a., dei fatti contestati, così violando i tempi previsti dall’art. 103 D.P.R. 371957 in uno con l’art. 31 del D.P.R. 737/1981.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento censurato.

Condanna la parte resistente alle spese di lite che liquida in euro 2.500,00 (duemicinquecento), oltre IVA e CPA, nonché alla restituzione, come per legge, del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Bruno Amoroso, Presidente

Claudio Rovis, Consigliere

Roberto Vitanza, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


 

Commento a cura di Silvano Filippi

La contestazione disciplinare può essere differita solo in presenza di un rinvio a giudizio dell’incolpato (Non basta quindi l’iscrizione nel registro degli indagati. Sentenza del TAR Veneto nr. 418/2013).

La questione dei termini entro cui devono essere contestati gli addebiti, di cui la giurisprudenza già si è ripetutamente occupata, è stata recentemente trattata anche dal TAR di Venezia. Invero la sentenza nr. 418 del 2013 presenta profili di particolare interesse che meritano di essere qui presi in considerazione.

Nel caso di specie un operatore in servizio di ordine pubblico ad una partita di calcio aveva tratto in arresto un tifoso con modalità che alcuni superiori avevano ritenuto inopportune. Più in concreto, dopo aver censurato informalmente l’interessato nell’immediatezza dei fatti, hanno poi circostanziato l’accaduto in formali relazioni di servizio. La documentazione è stata quindi inviata alla Procura della Repubblica affinchè valutasse se la condotta dell’operatore integrasse gli estremi di reato. L’A. G. ha però valutato l’nsussistenza di responsabilità di natura penale, dandone comunicazione all’Amministrazione, che solo a quel punto ha avviato, con molta calma, l’azione disciplinare. Nella sostanza la contestazione degli addebiti è stata formalmente notificata all’interessato solamente sei mesi dopo i fatti.

In accoglimento delle ragioni proposte in sede di ricorso, il TAR del Veneto ha ritenuto che il tempo intercorso dallo svolgimento dei fatti eccedeva il ragionevole termine entro il quale l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere alla contestazione degli addebiti, così conformandosi ai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza in subiecta materia.

Secondo i quali, per quanto qui maggiormente interessa, il procedimento disciplinare deve rispondere a requisiti di trasparenza e di speditezza dell’azione amministrativa che sono imposti, prima ancora che dai principi generali dell’ordinamento, dalle specifiche disposizioni che il D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 prevede in tema di irrogazione di sanzioni disciplinari per il personale della Polizia di Stato.

Per meglio comprendere il senso del ragionamento occorre in primo luogo ricordare che ai sensi dell’art. 12 D.P.R. n. 737/1981 «Il superiore che rileva l’infrazione deve: far constatare, dopo essersi qualificato, la mancanza al responsabile…», mentre poi l’art. 14 (Contestazione degli addebiti e giustificazioni dell’interessato) disciplina il procedimento da osservare per la – contestazione e la successiva – irrogazione di sanzioni disciplinari più gravi del richiamo orale.

Il D.P.R. n. 737/1981 non prevede però espressamente un termine entro il quale deve essere notificata la contestazione degli addebiti. Tuttavia, in forza del rinvio previsto dall’art. 31 si dispone che «Per quanto non previsto dal presente decreto in materia di disciplina e di procedura, si applicano, in quanto compatibili, le corrispondenti norme contenute nel … D.P.R. 10 gennaio 1957, nr. 3», per i procedimenti disciplinari nei confronti del personale della Polizia di Stato trova applicazione l’art. 103 D.P.R. n. 3/1957, a mente del quale la contestazione degli addebiti deve essere fatta «subito», ovvero con la massima solerzia.

Il consolidato uniforme orientamento giurisprudenziale.

La giurisprudenza amministrativa è stata sovente chiamata a stabilire i termini di corretta applicazione dell’art. 103 D.P.R. n. 3/1957 nei procedimenti disciplinari relativi al personale della Polizia di Stato. Con quella che può essere considerata una massima ricorrente ha così ritenuto che in forza del richiamo (ex art. 31 D.P.R. n. 737/1981) ad eterointegrazione della procedura prevista ex art. 103 D.P.R. n. 3/1957 per gli impiegati dello Stato, per obiettive esigenze di omogeneità di trattamento devono necessariamente estendersi anche al personale della Polizia di Stato quelle garanzie previste per i procedimenti disciplinari degli impiegati dello Stato, tra cui la norma che impone di contestare «subito» gli addebiti (in questi termini si esprime ex plurimis TAR Lazio – Sez. Latina, n. 298/2007, confermata poi da Cons. Stato, Sez. VI, n. 3662/2010).

Alcuni significativi passaggi di sentenze che di recente si sono occupate della questione qui trattata consentono di meglio definire i termini della intempestività dell’azione disciplinare.

Si ritiene opportuno cominciare la rassegna dalla sentenza n. 1045/2005 del Consiglio di Stato, emblematica per l’ampia ed esaustiva disamina dei principi sottesi alla necessità che l’azione disciplinare sia attivata tempestivamente.

In essa si spiega infatti che «In materia di infrazioni, che possono sfociare in provvedimenti sanzionatori, vale invero, in generale, il principio della immediatezza soggettiva e relativa. Tale principio comporta che il datore di lavoro deve contestare i fatti subito dopo esserne venuto a conoscenza e ch’egli, acquisita tale conoscenza, può solo fare trascorrere il tempo strettamente necessario per gli accertamenti del caso, al fine di consentire una contestazione il più possibile specifica e circostanziata… Allo stesso modo, la disposizione contenuta nell’art. 103 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, che risulta applicabile ai procedimenti disciplinari dell’Amministrazione di pubblica sicurezza in virtù del rinvio operato dall’art. 31 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e che, com’è noto, fa obbligo all’amministrazione, una volta avuta contezza di una possibile infrazione disciplinare dal dipendente commessa, di contestargli “subito” i fatti a lui addebitati, sebbene non possa essere interpretata nel senso che tale contestazione debba essere fatta “immediatamente”, è tuttavia espressione di un principio generale, che vieta di ulteriormente procrastinare la contestazione medesima, una volta soddisfatta la esigenza di avere la conoscenza del fatto storico che integra la violazione, alla quale si perviene con gli accertamenti del caso; ciò al fine di esercitare il potere disciplinare in termini di ragionevolezza e di speditezza, esigenza rinvenibile nel procedimento disciplinare anche per le fasi successive alla contestazione degli addebiti, scandite da definiti termini perentorii ( v., in tal senso, Consiglio di Stato: VI, 20 giugno 2002, n. 3365; IV, 7 giugno 2004, n. 3619).

La sentenza precisa altresì che «il tempo decorso dall’accertamento del fatto potrebbe rivelare la mancanza di interesse all’esercizio del potere disciplinare», e che, in ogni caso, «la mancanza di una tempestiva contestazione si traduce in violazione delle garanzie del giusto procedimento disciplinare […]Va poi aggiunto che il principio della immediatezza della contestazione dell’addebito mosso al lavoratore e quello della tempestività della misura disciplinare discendono, altresì, dal precetto che impone di conformarsi alla buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, che, quale clausola generale, deve ritenersi incombente anche sulle parti del rapporto di pubblico impiego».

I medesimi principi sono stati ribaditi anche dalla sentenza n. 3873/2008 del Consiglio di Stato.

Oggetto di tale giudizio era una sanzione, più precisamente una pena pecuniaria, irrogata ad un Vice Questore Aggiunto, il quale, contattato telefonicamente nel corso della notte, non aveva ritenuto di far intervenire gli artificieri per un controllo ad un veicolo sospetto in sosta nei pressi dell’aeroporto di Bologna.

Un mese e mezzo dopo un giornalista viene a conoscenza di questa vicenda, e la diffonde in prima pagina sul quotidiano per il quale lavora, costruendo una tesi per la quale la Polizia di Stato sarebbe impreparata a fare fronte alle emergenze. L’Amministrazione, solo a quel punto, si è determinata ad avviare il procedimento disciplinare, il che è stato ritenuto dal T.A.R. Emilia Romagna, sede di Bologna, che aveva trattato quella vicenda in prime cure «sintomatico di un esercizio sviato del potere disciplinare».

Il Consiglio di Stato, al quale l’Amministrazione ha fatto ricorso, ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva annullato la sanzione inflitta, confermando, per quanto qui più interessa, che «nella specie, il fatto ritenuto disciplinarmente rilevante si è verificato nella notte tra l’11 e il 12 settembre 2001 mentre la contestazione dell’addebito è stata effettuata il 3 gennaio 2002, nonostante che del fatto fossero state presentate relazioni di servizio nel medesimo giorno del 12 settembre 2001; l’amministrazione si è indotta a dare inizio al procedimento disciplinare solo a seguito di articoli apparsi sulla stampa del 21 e 22 ottobre 2001 e della conseguente segnalazione prefettizia in data 22 ottobre 2001; sussiste la violazione dell’art. 103, comma 2, del d.p.r. n. 3/1957, il quale richiede l’immediatezza della contestazione degli addebiti».

Sulla medesima questione sono poi intervenute più di recente anche Cons. Stato, 3662/2010; Cons. Stato, n. 942/2010 e Cons. Stato, 5452/2009, tutte sentenze che hanno confermato i principi affermati dai precedenti dianzi citati.

Anche il TAR Veneto, frequentemente interessato da ricorsi in subiecta materia, ha fatto proprio il consolidato orientamento del Consiglio di Stato.

Si veda in proposito TAR Veneto, n. 1150/2004, che ha accolto il ricorso per l’annullamento di un provvedimento sanzionatorio con cui era stata irrogata una “pena pecuniaria” stabilendo «che la contestazione degli addebiti, in questo particolare caso, debba ritenersi tardiva. … l’ Amministrazione non deve lasciar trascorrere un notevole e ingiustificato lasso di tempo senza compiere attività istruttorie finalizzate all’acquisizione di elementi utili per procedere alla contestazione (C.S., sez. IV, n. 3365 del 20.6.2002), essendo ammissibile una certa dilazione solo nel caso in cui si sia in presenza di particolare complessità delle acquisizioni istruttorie (C.S., sez. IV, n. 1728 del 27.3.2002).»

E ancora, sempre in tema ricorso per l’annullamento di una pena pecuniaria inflitta ad un poliziotto, si veda TAR Veneto n. 265/2007, che ha accolto le ragioni del ricorrente poiché «oggettivamente, la contestazione degli addebiti è avvenuta a distanza di tempo (circa sei mesi) dai fatti, in violazione delle norme – confortate da cospicua giurisprudenza – circa la necessità che la contestazione avvenga in tempi ragionevolmente ravvicinati, specialmente allorquando – come nel caso di specie – non sia ravvisabile l’esigenza di indagini complesse».

Da ultimo si confronti anche TAR Veneto, n.3030/2008, secondo cui «se la norma di cui all’art. 103, nello stabilire che la contestazione degli addebiti deve avvenire “subito”, deve essere interpretata caso per caso, nel senso che il legislatore non ha individuato un termine fisso vincolante per l’amministrazione, con essa è stato comunque individuato un principio di ordine generale, per cui deve essere osservata una regola di ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione, da considerare caso per caso, in relazione alla gravità ed alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell’iter procedimentale».

Dai passi delle sentenze qui riportati, che costituiscono solo una parte della corposa univoca giurisprudenza, si ricava il principio che la tempestiva contestazione degli addebiti non è una facoltà, bensì un preciso ed ineludibile obbligo a carico dell’amministrazione, fondato sia su parametri normativi, sia sul rispetto del principio di trasparenza e sia, in ultima analisi, sul precetto di buona fede e correttezza immanente in ciascun rapporto sinallagmatico, tra cui non può non rientrare il rapporto di lavoro nel pubblico impiego, a pena di annullamento dell’irrogata sanzione.

Di talché una contestazione degli addebiti potrà dirsi correttamente formulata ove notificata all’interessato non appena concluse le verifiche e gli accertamenti prodromici che consentano di determinare quale sia la fattispecie disciplinare integrata dal comportamento in esame. 

La connessione del procedimento disciplinare con procedimento penale. L’ interpretazione dell’art. 11 D.P.R. n. 737/1981.

L’aspetto di maggior interesse della sentenza del TAR Veneto di cui ci occupiamo riguarda però la problematica della pendenza – della coesistenza – di un procedimento penale. L’art. 11 D.P.R. n. 737/1981 impone infatti la sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di un procedimento penale. La norma non chiarisce però quale sia il momento in cui può considerarsi pendente un procedimento penale.

Tale lacuna, che come vedremo è solo apparente, ha indotto l’’Amministrazione ad avviare il procedimento disciplinare solo dopo che la Procura della Repubblica aveva comunicato che non c’erano i presupposti per iniziare un’azione penale. Il ricorrente, invece, ha eccepito che l’azione disciplinare era stata esercitata tardivamente, sostenendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto immediatamente contestargli gli addebiti.

Il TAR del Veneto ha accolto le ragioni del collega ricorrente, aderendo alla prevalente interpretazione del Consiglio di Stato, che sul punto si è già ripetutamente espresso. Più precisamente l’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – Decisione n. 1 del 29 gennaio 2009 – aveva stabilito infatti che «la questione interpretativa posta dall’art. 11 del d.P.R. n. 737 del 1981 debba essere risolta nei sensi delineati dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, secondo cui presupposto ostativo all’attivazione o alla prosecuzione del procedimento disciplinare è l’esercizio dell’azione penale e la conseguente assunzione della veste di imputato del soggetto al quale è attribuito il fatto di rilevanza penale. L’esercizio dell’azione penale, ai sensi degli artt. 60 e 405 del c.p.p. si realizza con la richiesta del PM di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416 dello stesso codice e con gli altri atti con i quali si chiede al giudice di decidere sulla pretesa punitiva. A tale soluzione concorrono ragioni di ordine sistematico, suggerite dalle argomentazioni esposte dal Ministero dell’Interno nell’atto di appello, e ragioni di ordine logico desumibili dalla stessa formulazione dell’art. 11 del Dpr n. 737 del 1981. Quanto alle prime, deve affermarsi che l’art. 117 del T.U. delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con il Dpr 3/1957 (secondo cui:“qualora per il fatto addebitato all’impiegato sia stata iniziata azione penale, il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso”) possa valere come norma integrativa dell’art. 11 in discorso […] L’art. 117 completa dunque, ad avviso dell’Adunanza Plenaria, la disciplina dell’art. 11 indicando come momento in cui il procedimento disciplinare deve essere sospeso quello in cui viene esercitata l’azione penale e il soggetto acquista la veste di imputato».

È pertanto evidente che, secondo l’interpretazione dell’Adunanza Plenaria, fino al momento in cui non esiste una formale imputazione, l’Amministrazione non solo non deve interrompere il procedimento disciplinare che fosse in ipotesi già stato eventualmente instaurato, ma ha semmai il dovere di provvedere a contestare con la massima sollecitudine all’interessato le emergenti mancanze disciplinari.In tal senso si esprime anche Cons. Stato, 18.2.2010, n. 942, che in ossequio all’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, ha affermato non essere possibile «prendere in considerazione cause di ritardo non previste dal legislatore in una logica, del tutto condivisibile, secondo cui l’azione disciplinare per essere efficace deve seguire nell’immediatezza l’infrazione commessa dal dipendente. […] In ogni caso le giustificazioni addotte dall’amministrazione non sono convincenti ed, invero: a) non è esatto che l’amministrazione dovesse attendere l’esito di un procedimento penale che, lo si ribadisce, non è stato mai avviato, ed anzi, avrebbe dovuto iniziare immediatamente l’azione disciplinare salvo sospenderla in caso di avvio dell’azione penale da parte dell’autorità giudiziaria […]» (in senso conforme Cons. Stato 10.9.2009, n. 5452).

È importante sottolineare che la Decisione n. 1/2009 dell’Adunanza Plenaria altro non ha fatto che accogliere e far propria la tesi che il Ministero dell’Interno aveva sostenuto proprio in quello specifico caso: mentre infatti il dipendente sanzionato sosteneva che la sanzione era illegittima perché inflitta in pendenza del procedimento penale, la difesa erariale sosteneva invece, all’opposto, che la semplice assunzione della qualità di indagato non era determinante ai fini della sospensione del procedimento disciplinare. Nella decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1/2009 la tesi del Ministero dell’Interno viene esemplarmente sintetizzata con il seguente passaggio testuale: «Rileva ancora il Ministero dell’Interno che, alla luce dell’impianto del nuovo codice di procedura penale, come illustrato nella Relazione allo stesso codice, nel procedimento penale, inteso in senso lato, si deve distinguere una fase meramente procedimentale da una fase processuale penale. L’avvio del procedimento penale, che impone, ai sensi dell’art. 11 in discorso, la sospensione del procedimento disciplinare o ne impedisce la sua attivazione va individuato nel momento in cui incomincia la fase processuale. Questa ha inizio con l’esercizio dell’azione penale, cioè con l’assunzione da parte del soggetto al quale è attribuito il fatto costituente reato della veste di imputato».

In conclusione la recente sentenza del TAR Veneto ribadisce che il tempestivo esercizio dell’esercizio dell’azione disciplinare è un principio derogabile solo in presenza di tassative ipotesi, e che ogni ritardo ingiustificato si risolve in un vizio insanabile del procedimento, e quindi del provvedimento, disciplinare.

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