Il principio è stato affermato dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) con la Sentenza n. 01457/2021 del 5 novembre 2021.
La questione di fatto inerisce alla pretesa di un nutrito gruppo di dipendenti della Polizia di Stato che presentava un ricorso per l’accertamento del diritto a vedersi corrispondere quanto spettante a titolo di buono pasto giornaliero sostitutivo del servizio mensa obbligatoria di cui alla legge n. 203/1989 con pagamento dell’importo corrispondente al controvalore dei buoni pasto dovuti negli ultimi cinque anni antecedenti al deposito delle istanze di liquidazione dei buoni pasto medesimi, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
I ricorrenti affermavano di essere impiegati in servizi esterni ed interni con turnazione di almeno sei ore articolata in orari che non consentirebbero loro di fruire delle mense convenzionate in quanto dislocate in punti della città non facilmente raggiungibili e destinate a dipendenti pubblici la cui pausa pranzo ricade tra le ore 12,30 e le ore 14,30.
Gli stessi ritenendo, pertanto, di aver diritto alla fruizione dei buoni pasto alternativi alla mensa obbligatoria e chiedevano che venisse loro ristorato il danno derivante dalla mancata fruizione dei buoni pasto negli ultimi 5 anni.
I Giudici del TAR Toscana hanno ritenuto, nel merito, fondato il ricorso.
Nelle motivazioni della Sentenza si legge che: “”Il buono pasto è un beneficio che viene attribuito allo scopo di far sì che, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore, al quale viene così consentita – laddove non sia previsto un servizio mensa – la fruizione del pasto, i cui costi vengono assunti dall’Amministrazione, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa, nelle ipotesi in cui l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente stabilito per la fruizione del beneficio (ex multis: Cassazione civ. sez. lav., 14/07/2016 n.14388). La natura di tale indennizzo impone quindi che le esigenze essenziali che esso tende a soddisfare (ossia la fruizione del pasto durante la pausa dopo un certo numero di ore lavorate) debbano poter essere soddisfatte, in sua assenza, in termini di effettività e concretezza (T.A.R. Roma, sez. II, 03/11/2009, n.10767). E ciò esclude, quindi, che la semplice presenza di una o più mense nel territorio cittadino o il fatto che il domicilio del lavoratore si trovi nel medesimo comune possano costituire condizioni idonee al recupero fisico del dipendente qualora non siano concretamente raggiungibili durante la pausa o per raggiungerli questi debba impiegare tutto il tempo a sua disposizione vanificando gli effetti della interruzione dell’attività lavorativa.
Sicché, laddove le fonti normative prevedono, in alternativa al buono pasto, la “possibilità” di gestione di una mensa tale locuzione deve essere intesa come messa a disposizione del personale di una mensa fruibile nei termini di cui si è detto, senza che tale concreta fruibilità possa essere irrigidita da prassi o circolari che se non modellate su situazioni reali rischiano di vanificare lo scopo a cui il beneficio è preordinato””.
Muovendo da tali assunti ermeneutici il Collegio ha disposto una verificazione tesa appunto ad appurare i tempi necessari per raggiungere con i mezzi pubblici da ciascuna caserma ove i ricorrenti prestavano servizio: a) la sede della mensa più vicina operante nei cinque anni precedenti la proposizione del ricorso e tenendo conto delle chiusure intervenute medio tempore e degli eventuali servizi convenzionati; b) il domicilio di ciascun ricorrente qualora sita nel Comune di Firenze.
L’esito della verificazione, eseguita in termini particolarmente curati e puntuali, è stato, in sintesi, che solo in pochissimi casi si sono registrati tempi inferiori ai 30 minuti (e comunque sempre superiori ai 16/20 minuti con i mezzi pubblici).
Lo stesso verificatore ha quindi osservato che, considerando il tempo necessario per accedere ai carrelli (o preparare le pietanze per chi tona a casa) e per consumare il pasto, il rispetto dei tempi di rientro sarebbe impossibile o comunque molto difficoltoso. Dovendosi peraltro in tale valutazione tener conto che la pausa lavorativa, essendo preordinata al recupero fisico e psichico del dipendente, non può trasformarsi in una stressante rincorsa del tempo nella quale questi dovrebbe cronometrare gli spostamenti o trangugiare cibarie in tutta fretta nel costante timore di rientrare in ritardo.
Il diritto al buono pasto è stato, pertanto, riconosciuto con condanna dell’Amministrazione a corrispondere ai ricorrenti una somma pari al valore di un buono pasto per tutte quelle giornate lavorative in cui gli stessi hanno eseguito turni di lavoro che avrebbero dato loro diritto alla fruizione della mensa. E ciò per il quinquennio precedente alla notifica del ricorso, con maggiorazione degli interessi legali dal dovuto al saldo.