In vigore la legge sull’autonomia differenziata

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La legge sull‘autonomia differenziata recentemente approvata dal Parlamento propone una significativa redistribuzione dei poteri e delle risorse pubbliche in vari ambiti e riguarda ben 20 aree di competenza condivisa tra il governo centrale e le Regioni.

Si tratta del riconoscimento, da parte dello Stato, della possibilità per una regione a statuto ordinario di esercitare autonomia legislativa su materie di competenza concorrente e, in alcuni casi, su materie di competenza esclusiva dello Stato. Oltre a queste competenze, le regioni possono trattenere il gettito fiscale, che non verrebbe più redistribuito a livello nazionale in base alle necessità collettive.

Le materie di legislazione concorrente comprendono:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni
  • commercio con l’estero
  • tutela e sicurezza del lavoro
  • istruzione
  • ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi
  • tutela della salute
  • alimentazione
  • ordinamento sportivo
  • protezione civile
  • governo del territorio
  • porti e aeroporti civili
  • grandi reti di trasporto e di navigazione
  • ordinamento della comunicazione
  • produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia
  • previdenza complementare e integrativa
  • coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
  • valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali
  • casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale
  • enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

La concessione di “forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni a statuto ordinario è prevista dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, il quale specifica che tali attribuzioni possono essere concesse “con legge dello Stato su iniziativa della regione interessata”. Tuttavia, questo comma non è mai stato attuato a causa delle notevoli differenze economiche e sociali tra le regioni, che rendono particolarmente delicata e problematica l’approvazione di leggi in questo senso.

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Per questo, la legge approvata prevede il finanziamento dei livelli essenziali di prestazione (Lep) che rappresentano gli standard minimi di servizio necessari per garantire l’attuazione dei “diritti sociali e civili” tutelati dalla Costituzione italiana. Questi livelli sono fondamentali per assicurare un trattamento uniforme su tutto il territorio nazionale.

La legge quadro prevede che i Lep siano preventivamente individuati per diverse aree, tra cui istruzione, ambiente, sicurezza sul lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, comunicazione, energia e beni culturali. Tuttavia, ci sono ancora molti settori in cui i Lep non sono stati definiti, inclusi i servizi sociali e il trasporto locale.

Secondo il disegno di legge, che concede al governo un anno di tempo per determinare i Lep, in caso di mancata emanazione del decreto del presidente del Consiglio che dovrebbe stabilire l’entità dei Lep le regioni potranno comunque formulare un’intesa e in tal caso, i finanziamenti verrebbero distribuiti in base alla spesa storica della regione nell’ambito specifico in cui richiede l’autonomia.

Ovviamente, la spesa storica è più alta per le Regioni che dispongono di più risorse con la conseguenza che una spesa storica più bassa produrrà minori finanziamenti proprio a quelle regioni che dispongono di meno risorse accentuando ulteriormente le disuguaglianze già esistenti tra le diverse aree del paese.

Il rischio è che le regioni più ricche possano gestire autonomamente vari settori e sfruttare la propria situazione economica per offrire servizi migliori mentre le Regioni più in difficoltà avrebbero meno strumenti per raggiungere lo stesso livello. Per scongiurare questo effetto è stata prevista una Cabina di regia, nominata da una Commissione specifica per la definizione dei Lep, che opera sulla base dell’istruttoria condotta dal Comitato guidato dal giurista Sabino Cassese.

Lo scorso marzo, il Governo ha istituito il Clep (Comitato per i Livelli Essenziali di Prestazione), incaricato di determinare i costi e i fabbisogni concreti di ciascuno dei servizi pubblici, in supporto alla cabina di regia governativa per le Autonomie regionali differenziate.

La Cabina di regia avrà il compito di condurre una ricognizione del quadro normativo nazionale e regionale, e di individuare le materie o gli ambiti di materie riferibili ai Lep che riguardano i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. Successivamente, saranno determinati i livelli essenziali delle prestazioni e saranno definiti i costi e i fabbisogni standard nelle materie previste dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che la riforma sull’autonomia differenziata intende modificare.

Al termine di questo iter, entro un anno, la Cabina di regia preparerà uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) attraverso i quali saranno determinati i Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Infine, entro aprile 2026, il Governo dovrà aver definito il quadro normativo di riferimento per procedere all’individuazione dei trasferimenti di competenze e risorse dallo Stato alle regioni a statuto ordinario. La Cabina di regia avrebbe dovuto concludere i suoi lavori entro la fine del 2023, ma è stata prorogata di un altro anno dal decreto Milleproroghe.

Il Governo, entro 24 mesi dall’entrata in vigore del ddl, dovrà emanare uno o più decreti legislativi per determinare i livelli e gli importi dei Lep. Una volta avviato il processo, Stato e Regioni avranno 5 mesi di tempo per raggiungere un accordo. Le intese potranno avere una durata massima di 10 anni e potranno essere rinnovate. In alternativa, potranno terminare anticipatamente con un preavviso di almeno 12 mesi.

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