Il Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, ha confermato la decisione del Tar Lazio n. 4281/2021 che aveva respinto la richiesta di sospensiva avanzata da 4 cittadini non vaccinati secondo i quali il meccanismo di contenimento dell’epidemia delineato dal legislatore nazionale comporterebbe un pregiudizio della riservatezza sanitaria in contrasto con la disciplina europea sulla protezione dei dati sanitari.
L’atto consesso Amministrativo ha rilevato che, “in ogni caso, non essendo stata dimostrata l’attualità del pregiudizio lamentato dai ricorrenti, restando salva la libera autodeterminazione dei cittadini che scelgono di non vaccinarsi, risulta prevalente l’interesse pubblico all’attuazione delle misure disposte attraverso l’impiego del Green pass, anche considerando la sua finalità di progressiva ripresa delle attività economiche e sociali”.
Si tratta dell’ Ordinanza 17 settembre 2021, n. 5130 del Consiglio di Stato, Sezione Terza che ha confermato la decisione del Tar Lazio n. 4281/2021 che aveva respinto la richiesta di sospensiva avanzata sul presupposto che il meccanismo di contenimento dell’epidemia delineato dal legislatore nazionale comporterebbe un pregiudizio della riservatezza sanitaria in contrasto con la disciplina europea sulla protezione dei dati sanitari, sulla base del presunto contrasto dell’impugnato DPCM, nonché della normativa primaria su cui esso si basa, con la disciplina dell’Unione europea e con la Costituzione italiana, con particolare riferimento alla protezione dei dati personali sanitari.
I Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che la pronuncia cautelare di rigetto, adottata in primo grado, meritasse di essere integralmente confermata, per via della carenza di una adeguata rappresentazione, ad opera della parte ricorrente, del periculum in mora, connotato dagli indispensabili requisiti di gravità ed irreparabilità, atteso che, da un lato, il prospettato rischio di compromissione della sicurezza nel trattamento dei dati sensibili connessi alla implementazione del cd. Green pass appare rivestire carattere meramente potenziale (non potendo ritenersi insito, ai presenti fini e per la sua astrattezza, nella qualificazione come “attività pericolosa” del trattamento dei dati, ex artt. 15 D.lvo n.196/2003 e 2050 c.c.).
Si legge, inoltre, nelle motivazioni del provvedimento che “gli appellanti, dichiarandosi contrari alla somministrazione del vaccino, nel pieno esercizio dei loro diritti di libera autodeterminazione, non subiscono lesioni del diritto alla riservatezza sanitaria in ordine alla scelta compiuta, dal momento che l’attuale sistema di verifica del possesso della certificazione verde non sembra rendere conoscibili ai terzi il concreto presupposto dell’ottenuta certificazione (vaccinazione o attestazione della negatività al virus);
Considerato che, in ogni caso, eventuali concrete ed effettive lesioni future del diritto alla riservatezza sanitaria potranno essere contrastate mediante gli strumenti amministrativi e processuali (anche cautelari) ordinari”.
Il provvedimento del Consiglio di Stato evidenzia, altresì che il D.P.C.M. impugnato ha a oggetto la definizione degli aspetti di regolamentazione tecnica dell’istituto del cd. Green pass, in attuazione della disposizione normativa delegante (art. 9, comma 10, D.L. n.52/2021), essendo ad esso estranei, invece, i contenuti regolatori, inerenti alle attività sociali, economiche e lavorative realizzabili dai soggetti vaccinati, o in possesso di un’attestazione di “negatività” al virus, cui gli appellanti riconducono i lamentati effetti discriminatori: contenuti che sono propri di atti aventi forza di legge (in particolare, Dd.Ll. n.105/2021 e 111/2021), la cognizione della cui compatibilità, costituzionale ed unionale, non potrebbe essere devoluta, recta via ed in mancanza di eventuali specifici atti applicativi di cui siano destinatari gli odierni appellanti, al giudice amministrativo adito in sede cautelare, nemmeno al fine di investire delle relative questioni i Giudici (costituzionale ed europeo) competenti, fermi restando gli ulteriori approfondimenti che il giudice di primo grado svolgerà in fase di merito.
Il Consiglio di Stato non ha mancato, infine, di sottolineare come proprio la graduale estensione della certificazione verde abbia oggettivamente accelerato il percorso di riapertura delle attività economiche, sociali e istituzionali concludendo:
- che le contestate prescrizioni del D.P.C.M. impugnato trovano copertura di fonte primaria nel D.L. n. 52/2021 il cui precetto normativo va applicato per come incorporato dalla legge di conversione n. 87/2021;
- che le prescrizioni stabilite dal Garante per la riservatezza dei dati personali mantengono la loro efficacia nei confronti delle misure applicative di copertura dell’autorità sanitaria nazionale cui spetta il coordinamento delle iniziative occorrenti;
- che il “green pass” rientra in un ambito di misure, concordate e definite a livello europeo e dunque non eludibili, anche per ciò che attiene la loro decorrenza temporale, e che mirano a preservare la salute pubblica in ambito sovrannazionale per consentire la fruizione delle opportunità di spostamenti e viaggi in sicurezza riducendo i controlli;
- che la generica affermazione degli appellanti secondo cui “allo stato delle conoscenze scientifiche” non vi sarebbe piena immunizzazione e quindi si creerebbe un “lasciapassare falso di immunità”, si pone in contrasto con ampi e approfonditi studi e ricerche su cui si sono basate le decisioni europee e nazionali volte a mitigare le restrizioni anti covid a fronte di diffuse campagne vaccinali”.